Medio Oriente: scenari e speranze post pandemia.

Medio Oriente: scenari e speranze post pandemia.

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La pandemia sta avendo effetti devastanti ovunque…è un serio cambiamento nella storia dell’umanità? In parte lo sarà di sicuro, forse soprattutto in Medio Oriente dove situazioni di gravità diventeranno sempre più ingestibili. Un quadro esauriente nell’articolo di Paolo Brusadin

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Medio Oriente: scenari e speranze post pandemia.

Ad oggi tutti i paesi mediorientali, seppur con diverse gradazioni, sono alle prese con la pandemia da Covid 19, come peraltro il resto del mondo; il problema “comune” più grave da risolvere nel breve/medio periodo.

Buona parte dei Paesi della regione sono stati abbastanza reattivi, con tutti i limiti infrastrutturali, strutturali e organizzativi, nel cercare di rallentare la diffusione del virus ed evitare la saturazione degli ospedali.

Certo la situazione è complessa e potrebbe ulteriormente aggravarsi anche perché in alcuni Paesi particolarmente instabili tra cui l’Iraq, il Libano (peraltro in default economico), la Siria, lo Yemen, la Libia ed altri ancora, la fascia di popolazione più povera si trova davanti a due scelte: prendersi il rischio di uscire e di contrarre il virus con una possibilità potenziale di rimanere in vita, oppure blindarsi in casa e morire di fame.

In Siria il 35% della popolazione soffre d’insicurezza alimentare e 12 milioni di persone dipendono completamente dagli aiuti internazionali. Nello Yemen 17 milioni di cittadini, oltre il 60% della popolazione, combattono ogni giorno contro le difficoltà di reperire cibo che sconfina sempre di più verso la malnutrizione acuta.

Non si può non menzionare la penosa situazione dei campi profughi in Libano e Giordania dove milioni di persone vivono ammassate senza possibilità alcuna di distanziamento sociale e di norme igieniche per il contenimento del contagio.

Oltre ai devastanti effetti in termini di vite umane, la pandemia sta già causando in tutti i Paesi della regione gravi problemi economici a causa del combinato disposto di vari fattori tra cui il forte calo della domanda interna ed estera, il crollo del prezzo del petrolio a causa della restrizione dei voli aerei, la riduzione degli scambi intra-regionali e mondiali, i rallentamenti e le interruzioni della produzione, l’affievolimento della fiducia dei consumatori, il deterioramento della situazione finanziaria, il sensibile calo dei mercati azionari e il conseguente balzo degli spread delle varie obbligazioni sovrane.

Le misure poste in atto in quest’ultimi due mesi (compreso il mese di maggio consacrato al Ramadan che ha visto rivoluzionati i secolari riti, le preghiere, le feste e ridotto le numerose espressioni della solidarietà), stanno danneggiando tutti i settori economici chiave dei Paesi, in particolare il turismo (in Egitto le cancellazioni nei soggiorni turistici hanno superato l’85%) e l’industria.

Al di là dell’imperativo che dovrebbe essere alla base delle azioni governative di tutti i Paesi della regione e predisporre, senza riserve e al massimo delle capacità, le azioni necessarie per salvaguardare quanto più possibile la vita dei propri cittadini, è altresì fondamentale cercare di evitare che la crisi sanitaria dia sfogo a una perdurante recessione economica con conseguenti riverberi sulla tenuta sociale.

Pertanto, la Pandemia nel volgere di poco tempo ha già messo a nudo ed in modo inequivocabile la fragilità politica, economica e sociale di un’intera regione.

Alcuni Paesi, in primis i paesi più solidi e strutturati, tra cui l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, si sono già attivati con alcune misure ad hoc per differire il pagamento delle imposte, per rinviare i rimborsi dei prestiti erogati, per aumentare i finanziamenti agevolati per le piccole e medie imprese.

Molti Paesi tra cui l’Egitto, il Libano, il Marocco, la Giordania e la Tunisia dovranno affrontare a breve il problema dei mancati introiti delle rimesse dei lavoratori emigrati che per il Cairo valgono 25 miliardi di dollari, mentre per Beirut rappresentano il 13% del Pil.

Paesi in cui non si può escludere una virulenza dell’emergenza sociale che le autorità locali sino a oggi sono riuscite, seppur a fatica, a contenere.

L’unico effetto positivo della pandemia è stato il congelamento delle proteste di piazza in molti Paesi, tra cui l’Iraq, il Libano e il Marocco e una fragile tregua di una guerra nello Yemen che perdura dal marzo 2015.

Come sarà il Medio Oriente post-pandemia? Difficile prevederlo ma pensiamo che la regione manterrà una sua centralità nello scenario internazionale con un riallineamento delle alleanze intra-statuali che solo pochi mesi orsono sembravano granite.

Da monitorare gli sviluppi futuri della situazione in Iran che, per sopravvivere alla pandemia, si è aperta alla Cina, pronta a colmare gli spazi vuoti lasciati dagli Stati Uniti d’America e dagli europei.

Così com’è da seguire l’atteggiamento e il ruolo della penisola arabica nell’affrontare le conseguenze economiche legate alla questione petrolifera.

Non si può però ignorare ciò che succederà nei prossimi mesi in Nord Africa, in particolare in Libia (sull’orlo di una prolungata guerra civile e l’ingombrante presenza della Russia e della Turchia) e nella sponda orientale del Mediterraneo tra israeliani e palestinesi.

Su quest’ultimo fronte aperto da decenni, sarebbe bello (un sogno) che il problema della pandemia contribuisse, in qualche misura, a ridurre le tensioni, peraltro accresciute in questi ultimi tempi a seguito dell’annuncio da parte del nuovo Governo di emergenza nazionale di Benyamin Netanyahu di annettere parte del territorio occupato della Cisgiordania, come previsto dal piano di pace predisposto dal Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Ciò ha provocato un immediato irrigidimento della controparte palestinese (Organizzazione per la liberazione della Palestina – OLP) che prontamente ha manifestato l’intenzione di svincolarsi da tutti gli accordi raggiunti sia con gli Stati Uniti, sia con Israele.

Sarebbe bello che far fronte comune alla pandemia fosse l’occasione per un serio riavvicinamento, considerando il fatto che in Israele una buona percentuale delle figure professionali in prima linea contro il Covid 19 è palestinese (17% dei medici, 24% degli infermieri e 4% dei farmacisti).

Il quadro descritto è decisamente complicato, destinato presumibilmente a peggiore anche perché il Medio Oriente è inserito in un contesto instabile e costellato di crisi irrisolte e perduranti che, nel corso del tempo, hanno portato alla decomposizione di molti Stati che, di fatto, non esistono più e, soprattutto, non sono più in grado di svolgere efficacemente le azioni precipue a protezione dei propri cittadini.

Purtroppo il contatore delle persone che perderanno la vita in conseguenza della pandemia, della fame e dei conflitti nelle prossime settimane è destinato a salire. Morti che, parafrasando una famosa citazione di Platone …”sono gli unici che hanno visto la fine della guerra…”.

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