Il Medio Oriente è una regione strategica molto importante per gli stati del Mediterraneo, sia a nord sia a sud. Nonostante quanto asserisce il Ministro degli Esteri e uno dei suoi Sottosegretari, sembra che l’Italia sia alquanto assente dal punto di vista attivo e propositivo. Speriamo di aver torto in questa ‘sensazione’. Di seguito una accurata analisi per comprendere lo scenario del Medio Oriente, di Paolo Brusadin, esperto del settore.
Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini
Continuiamo a rimanere concentrati sul Medio Oriente, una regione che, come affermato più volte, ci fornisce, quasi quotidianamente, spunti di riflessione.
Dopo aver analizzato le “nuove relazioni” tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, focus ora sul piccolo Regno del Bahrein (due mari in arabo), ex protettorato britannico ma strategicamente importante per la sua posizione geografica, nodo di scambio commerciale tra l’Egitto, l’antica Mesopotamia e l’India.
Il Bahrein ha una popolazione musulmana a maggioranza sciita, anche se la famiglia regnante el Kalifa è sunnita e al potere da due secoli.
Dopo gli Emirati Arabi Uniti anche il Bahrein, con la mediazione statunitense, ha avviato le relazioni diplomatiche con Israele firmando tecnicamente una dichiarazione di pace, non un trattato vero e proprio. Comunque sia, il Medio Oriente non si può più considerarlo un monolite nei riguardi dello storico nemico.
I due Stati dunque si scambieranno gli ambasciatori, apriranno sedi diplomatiche permanenti ed inizieranno una collaborazione in molti settori economici, da quello tecnologico a quello agricolo.
Per decenni la maggior parte dei Paesi arabi ha strenuamente boicottato Israele, riconosciuto quale male assoluto, insistendo sul fatto che mai ci sarebbe stato un avvicinamento sin quando non si sarebbe trovata una soluzione al conflitto palestinese.
Le prospettive e i dettami evidentemente cambiano giacché, anche se la questione palestinese permane statica e ingarbugliata, con una popolazione che sembra aver perso la speranza di veder riconosciuti i propri diritti stabiliti dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, il Bahrein si aggiunge agli Emirati Arabi Uniti, all’Egitto (1979) e alla Giordania (1994) nel riconoscere lo Stato d’Israele.
Non sappiamo quanto i nuovi accordi conclusi saranno leali e sinceri, intanto possiamo certificare che la pace tra Israele e la Giordania e l’Egitto è una pace “fredda”, valida solo per scopi di natura militare.
Il nuovo accordo è una tappa importante verso una normalizzazione in Medio Oriente, ma solo intermedia, preparatoria verso possibili passi successivi molto più significativi, come l’avvicinamento tra Israele e l’Arabia Saudita, il vero “tappone di montagna”, faticosissimo da raggiungere.
Continuando con la metafora ciclistica potremo dire che, sia gli Emirati Arabi Uniti, sia il Bahrein, hanno svolto un ruolo da gregari nel tirare la volata al Regno più potente.
Il Bahrein peraltro è da considerarsi un gregario molto fedele dell’Arabia Saudita che nel 2011, alle prime avvisaglie di una primavera araba in grado di minacciare il piccolo Regno, non esitò ad inviare delle proprie truppe per sedare gli animi e salvare il Re Hamad bin Isa el Khalifa.
E ancor prima l’Arabia Saudita ha iniziato a tessere la tela per ricucire i rapporti con Israele, a partire dal 2002 quando la Lega Araba abbozzò i primi segnali d’apertura sulla questione palestinese.
Certo è che se tra Israele e Arabia Saudita ci sarà accordo, non creerà entusiasmo tra la popolazione israeliana, men che meno in quella palestinese e musulmana in generale.
Ritornano d’attualità le parole pronunciate nel corso del Vertice Economico del Medio Oriente e Nord Africa nel 1994 dall’allora Segretario di Stato americano Warren Christopher quando affermò che la missione della sua Amministrazione era di trasformare “…la pace fatta dai governi in una pace tra le persone…”.
Al contrario, la nuova situazione probabilmente esacerberà ancor di più gli animi della Turchia, di Hamas, dei vari gruppi jihadisti e, soprattutto, dell’Iran, il vero collante tra Israele e le monarchie del Golfo.
Basta leggere le dichiarazioni di Netanyahu “…l’inizio di una era di pace…”, salutando l’accordo con il Bahrein che, al pari di Israele, condivide la stessa ostilità verso l’Iran.
In effetti, a più riprese, Manama ha accusato Teheran di strumentalizzare la comunità sciita bahrenita contro la dinastia regnante sunnita.
Al pari, il Ministro degli Esteri del Bahrain, Abdullatif bin Rashid el Zayani, ha dichiarato che il ripristino delle relazioni tra i due Paesi favorirà la fine del conflitto tra Israele e Palestina, salvaguardando al tempo stesso i diritti del popolo palestinese.
Si ricorda che nel maggio 2018 proprio il Bahrein, unitamente all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, ha pubblicamente sostenuto il ritiro degli Stati Uniti d’America dall’accordo sul nucleare iraniano.
Sempre il Bahrein, a seguito dell’incidente tra Israele e Iran nel maggio 2018 in Siria, ha sostenuto il diritto degli israeliani a difendersi contro gli attacchi degli iraniani.
Entrambi i Paesi nel 2019 hanno partecipato alla Conferenza internazionale sulla sicurezza, tenutasi a Varsavia, in cui s’è parlato della crescente influenza regionale dell’Iran e, sempre nello stesso anno, i Ministri degli Esteri e israeliano si sono incontrati negli Stati Uniti d’America.
Successivamente, il funzionario israeliano Dana Benvenisty-Gabay ha partecipato al Gruppo di Lavoro sulla sicurezza marittima e aerea a Manama.
Infine, il Bahrein ha pubblicamente elogiato l’accordo di pace tra Israele gli Emirati Arabi Uniti, proclamando che avrebbe contribuito alla stabilità e alla pace nella regione e, come segno tangibile della cooperazione tra le parti, ha concesso il sorvolo sul proprio territorio agli aerei israeliani.
L’Oman (prossimo nuovo gregario?), si è subito espresso con favore alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e il Bahrein, avendo optato già da qualche tempo per una linea di apertura verso Israele, certificata dalla visita nel 2108 di Netanyahu al sultano Qaboos bin Said.
Per contro, l’Autorità palestinese ha definito l’accordo una pugnalata alle spalle del popolo della Palestina.
In questo scenario in movimento, in cui molti altri Stati hanno preso una posizione chiara a favore del nuovo corso delle relazioni diplomatiche, tra cui il Qatar e l’Egitto, fa rumore il silenzio proprio dell’Arabia Saudita, in assetto attendista.
A ben vedere, Riyad ha più di un motivo per restare in disparte, fii kaualis – dietro le quinte, come dicono gli arabi.
Due le ragioni più evidenti, un’interna all’Arabia Saudita e l’altra esterna. La monarchia saudita deve fronteggiare la forte resistenza interna dei settori religiosi più conservatori, contrari ad ogni apertura verso Israele, che condizionano le decisioni della casa reale e, altresì, deve stare attenta alle possibili ritorsioni iraniane.
Infatti, il sabotaggio con i droni di alcune infrastrutture petrolifere saudite nel maggio 2019 ha evidenziato una sostanziale vulnerabilità del regno e la sua impossibilità ad esporsi, quanto meno in questa fase.
E l’Iran? Di certo, a questi mutamenti che potrebbero sensibilmente modificare gli scenari e gli assetti geostrategici regionali, non rimane e non rimarrà passivo.
Intanto, nel corso delle ultime settimane ha intensificato la pressione sullo stretto di Hormuz, con lo scopo di amplificare le già esistenti tensioni.
Nel frattempo, l’Iran sta sempre più potenziando i contatti e le trattative diplomatiche con la Cina per arrivare a un accordo bilaterale che potrebbe consentire al gigante asiatico di utilizzare i porti iraniani, andando così a ridisegnare sensibilmente gli equilibri di forza esistenti nella regione.
Senza tralasciare gli eventuali mutamenti nelle relazioni tra Pechino e Washington, per ora in una prolungata fase di stallo.
I motivi di scontro tra le due superpotenze sono molteplici, compreso quello economico, con al centro un Iran che potrebbe essere anche la causa di future tensioni a livello europeo, sia con l’Unione Europea con capofila la Germania, sia con la Russia di Putin molto attiva nella regione mediorientale, in particolare in Siria.
Tutto è in evoluzione, in un Medio Oriente dove persiste una sola certezza, certificata dalla storia, in cui nulla si decide con l’azione politica bensì con quella militare e, comunque sia, è sempre decisivo nel determinare gli equilibri geopolitici mondiali.
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