Bahrein: l’unicità, le affinità con la Siria e il ruolo strategico di questo piccolo Regno.

Bahrein: l’unicità, le affinità con la Siria e il ruolo strategico di questo piccolo Regno.

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Un interessante excursus sulla situazione geopolitica del Bahrein, soprattutto alla luce dei recenti fatti in quel quadrante strategico.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Questo piccolo Regno, ex Protettorato britannico, indipendente dal 1971 e dal 2002 anche ex Emirato, è situato su un arcipelago costituito da 33 isole di origine corallina posto nell’insenatura formata dalla penisola del Qatar. Tra le isole, la più grande è quella di Bahrein, di quasi 600 chilometri quadrati, collegata con l’Arabia Saudita da un semplice ponte lungo 25 chilometri. Tra tutte le altre, le più importanti sono Sitra, Muharraq, Umm Nasan, Hawar. 

Il Regno, sin dall’antichità, ha sempre esercitato un rilevante ruolo strategico in virtù della sua posizione geografica, nodo di scambio commerciale e marittimo tra l’Egitto, l’antica Mesopotamia e l’India.

A onor del vero, bisogna però riconoscere che questo piccolo Stato ai più s’è rivelato solo dal 2004, a seguito della sua entrata nel circuito delle  gare di automobilismo di Formula Uno e la costruzione dell’avveniristico Bahrein International Circuit.

Il Bahrein (in arabo significa due mari) ha una popolazione a maggioranza musulmana sciita (60%), ma con la particolarità di avere un Sovrano sunnita, della dinastia el Khalifa, che da due secoli governa ininterrottamente, seppur tra passate e presenti tensioni. 

Dal 1999 è al potere l’Emiro Hamad bin Isa Al Khalifa, succeduto al Padre Isa Ibn Salman el Khalifa, mentre il Governo è presieduto da Khalifa bin Salman el Khalifa…della serie “tutto in famiglia”.

Il  mosaico religioso della popolazione è completato da un 20% di sunniti,  mentre si contano più della metà di cristiani nel restante 20%, insieme ad altre minoranze religiose. 

Una mappatura religiosa diametralmente opposta rispetto a quella della  Siria di Bachar el Assad dove una minoranza alauita, una costola dissidente dello sciismo, governa su una maggioranza sunnita.

Nel recente passato anche il Bahrein non è stato immune alle manifestazioni di piazza, anche violente, di una popolazione scontenta per la situazione politica e socio-economica. Comunque sia, il vento della “primavera araba” non ha soffiato più di tanto e s’è sgonfiato rapidamente, anche per il “fattivo contributo” della vicina Arabia Saudita. Ricostruiamo le tappe principali del 2011, un anno importante nella storia recente del Bahrein: 14 febbraio, l’opposizione dei sciiti alla dinastia indice, sull’onda delle proteste in Nord Africa, una giornata della rabbia; 15 febbraio,  viene occupata dai manifestanti la piazza più importante della capitale Manama; 17 febbraio, le forze di opposizione in Parlamento annunciano l’abbandono dell’aula e chiedono le dimissioni del governo. Ci sono scontri di piazza e morti; 20 febbraio, il Segretario di Stato USA Clinton chiede al Bahrein di tornare al più presto a percorrere la via delle riforme; 26 febbraio, si dimettono molti ministri e rientra dall’esilio il leader del partito sciita al Haqq; 8 marzo, i movimenti sciiti al Haqq, Wefaq e Movimento per la libertà annunciano la costituzione di una “Coalizione per la Repubblica”; 13 marzo, si susseguono gli scontri; 14 marzo, in attuazione di una decisione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, truppe dell’Arabia Saudita entrano in Bahrein, con il beneplacito del governo, per contribuire al “ristabilimento della sicurezza e tutela delle infrastrutture strategiche. 

Come spunto di riflessione, si rimarca una differenziazione nella copertura mediatica della televisione del Qatar Aljazira: molto bassa, quasi inesistente per le manifestazioni di piazza in Bahrain, martellante e massiva in Egitto, in Siria e  in Libia. 

Dunque, possiamo asserire che è stato fatto tutto il possibile per depotenziare “il vento” rivoluzionario e bloccarlo alle porte dei Paesi del Golfo.

Come tutte le monarchie, anche in Bahrain c’è un cortocircuito tra governanti e sudditi che ambiscono ad aver un Parlamento più forte e democratico, una società civile attiva ed una stampa più libera ed emancipata. 

Il Bahrain è considerato un Regno liberale sul piano economico, anche se l’attuale congiuntura non è favorevole. 

Nonostante le dimensioni limitate, il mercato del Bahrain ha una discreta incidenza a livello regionale in quanto membro fondatore del Gulf Cooperartion Council – GCC, anche se la crescente dipendenza alla lunga può costituire una vulnerabilità.

La combinazione tra scarse risorse energetiche ed una popolazione in costante crescita ha creato forti squilibri finanziari che, fortunatamente, potranno essere sanati nel prossimo futuro grazie alla recente scoperta, all’interno delle proprie acque territoriali, di un nuovo giacimento petrolifero.

In tale contesto, si rileva la presenza della Società italiana Eni che, recentemente, ha firmato un accordo per lo sfruttamento  del nuovo giacimento, alla presenza del Ministro locale del Petrolio, Mohammed bin Khalifa el Khalifa.   

A ben vedere, ci sono due affinità che accomunano il Bahrain con la Siria: a) una comune avversione al concetto di democrazia, con l’utilizzo della violenza come risposta alle rivendicazioni della popolazione, non invasiva e soft in Bahrain, molto più brutale in Siria; b) la presenza dell’Arabia Saudita con la dinastia  el-Saud da sempre impegnata a contenere la spinta sciita iraniana. 

Per una questione di prossimità geografica l’influenza saudita è molto più marcata in Bahrain, giacché solo 400 chilometri dividono Riyadh da Manama. Una vicinanza particolarmente invasiva che il Bahrain cerca d’arginare in tutti i modi. Basti pensare ai ripetuti tentativi sauditi d’imporre una moneta unica e creare una federazione tra gli eserciti. 

E’ di tutta evidenza la dura opposizione degli sciiti emiratini,  che in alcun modo possono accettare un’unione, peraltro vincolante, con una monarchia sunnita.

Ciò è la conseguenza della valenza strategica del Bahrein, motivata dalla necessità per l’Arabia Saudita di avere un vicino sempre allineato sulle sue posizioni e fuori portata dalla destabilizzante influenza degli Ayatollah.

Avere un regno dei due mari solido è anche un’esigenza degli Stati Unti d’America, consci che un’eventuale tensione nel Bahrein potrebbe riverberarsi in tutta la regione mediorientale e che, l’eventuale fine della dinastia el Khalifa a causa del prevalere della componente sciita, determinerebbe delle conseguenze  geostrategiche imprevedibili.

Una preoccupazione crescente, anche in virtù del riacutizzarsi delle tensioni tra Iran e Stati Uniti d’America legate al vituperato accordo sul nucleare.

Ecco perché sul territorio bahrenita da anni è di stanza la United States Fifth Fleet – Quinta Flotta statunitense che agisce nel Golfo Persico, nel Mar Rosso, nel Mar Arabico e in parte nell’Oceano Indiano, alle dirette dipendenze dello United States Central Command – CENTCOM.

Il Quartier Generale è nella base navale NSA Bahrein – Naval Support Activity Bahrein  a Manama e conta, tra marinai, avieri e personale civile, più di 16 mila persone.

Si ricorda che la Quinta flotta nel corso degli ultimi anni ha condotto svariate operazioni di guerra, tra cui la Desert Schield – Scudo del Deserto, negli anni 1990-91 e la Inherent Resolve  iniziata nel 2014. 

La Desert Schield è stata l’operazione militare (gli esperti la definiscono la più vasta operazione di posizionamento logistico difensivo ed offensivo avvenuta dopo la Seconda Guerra mondiale),  che precedette la guerra del Golfo contro Saddam Hussein, mentre la Inherent Resolve è stata, e lo è ancora, un’operazione militare contro lo Stato Islamico (quel poco che è rimasto), in Iraq e in Siria. Non si può non menzionare la guerra in Afghanistan del 2011, la guerra in Iraq nel 2003 e l’operazione Enduring Freedom – libertà duratura, avviata dopo gli attentati dell’11 settembre. Epiche e celebrate in molti film le battaglie navali della Quinta flotta durante la Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico, tra cui la conquista di Okinawa e le battaglie delle Marianne, delle Filippine e di Iwo Jima.

Bahrain dunque da considerare quale avamposto di prima linea, nel caso di un’ipotetica guerra contro l’Iran e contro tutte le forze ad essa associate, tra cui le milizie irachene, gli Hezbollah libanesi e gli Houthi yemeniti. 

Un Regno in allarme in considerazione del recente sabotaggio del terminal petrolifero di Fujarah degli Emirati Arabi Uniti ubicato sulle coste del Mar Arabo e che si trova solo a circa 150 km dallo Stretto di Hormuz, con il danneggiamento da parte di “sconosciuti” di due petroliere saudite, una emiratina ed una norvegese. 

Senza dimenticare il danneggiamento, da parte di droni lanciati dagli Houthi, di alcune stazioni di pompaggio lungo l’oleodotto saudita in cui scorrono circa cinque milioni di barili di petrolio al giorno, prima d’arrivare ai terminal nel Mar Rosso.

Nel frattempo, come difesa preventiva, i Paesi GCC, con le loro marine militari, hanno intensificato i pattugliamenti marittimi, soprattutto nelle acque del Golfo Persico.

Alla luce di quanto evidenziato, molti interessi si concentrano su questo piccolo arcipelago, già centrale in passato nelle melliflue dinamiche geostrategiche e pronto oggi a rivestire un ruolo significativo nel Golfo Persico e in Medio Oriente.

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