Emirati Arabi Uniti – EAU: l’accordo con Israele apripista per una rimodulazione dei rapporti regionali.

Emirati Arabi Uniti – EAU: l’accordo con Israele apripista per una rimodulazione dei rapporti regionali.

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E’ indubbio l’interesse politico economico verso gli Emirati Arabi soprattutto dopo i recenti avvenimenti politici internazionali. Una analisi di Paolo Brusadin.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Gli eventi di questi ultimi giorni ci spingono a rimanere ancora concentrati sugli Emirati Arabi Uniti, riprendendo l’incipt dell’articolo precedente su un Medio Oriente che è una regione che ci fornisce, quasi quotidianamente, spunti di riflessione.

Il 13 agosto scorso il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha annunciato la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra gli EAU ed Israele.

Per la verità qualche segno che ciò potesse realizzarsi si era intravisto ma ciononostante i più sono rimasti sorpresi.

Di certo la preparazione è stata lunga giacché, secondo alcune rivelazioni apparse sui media locali, il premier israeliano Benyamin Netanyahu già nel 2018 in gran segreto ed accompagnato dal Direttore del Mossad Yossi Cohen, avrebbe visitato gli Emirati Arabi Uniti ed incontrato il Principe della Corona Mohammed bin Zayed.

Inevitabilmente l’Iran ha prontamente manifestato la propria contrarietà, definendo l’accordo una pugnalata inferta dagli EAU alle spalle non solo del popolo palestinese ma di tutti i musulmani.

Non s’è fatta attendere nemmeno la ancora più dura reazione della Turchia che, pur intrattenendo stabili relazioni diplomatiche ed economiche con Israele, in quest’ultimi tempi è assurta al ruolo di paladina della causa palestinese dichiarando che i popoli della regione non dimenticheranno e non perdoneranno mai il comportamento ipocrita degli emiratini.

Stessa posizione peraltro dei palestinesi che considerano l’accordo un vero e proprio tradimento alla causa.

L’apertura degli EAU verso Israele non è il frutto di un colpo di testa dei suoi governanti, bensì il risultato di una lenta preparazione avvenuta in questi ultimi anni.

Il fondato timore di rimanere soli a fronteggiare l’Iran, a seguito di un velato disimpegno degli Stati Uniti d’America nella regione e del rifiuto francese e tedesco d’inviare proprie forze navali a presidiare il Golfo, hanno favorito una graduale intensificazione dei legami con Israele, pur non chiudendo totalmente al dialogo con gli Ajatollah (non a caso nel passato gli EAU erano definiti la “finestra” iraniana sul mondo).

Così facendo, l’accordo renderebbe de facto gli EAU il primo Stato arabo del Golfo e terzo Paese arabo, dopo l’Egitto (accordo di pace firmato a Washington il 26 marzo 1979 a seguito degli accordi di Camp David tra Anwar el Sadat e Menachem Begin con la mediazione di Jimmy Carter) e la Giordania (accordo di pace firmato nella valle di Arava il 26 ottobre 1994 tra Yitzhak Rabin e Re Hussein di Giordania, sotto gli auspici di Bill Clinton), ad intrattenere delle relazioni diplomatiche stabili con Israele.

Una lenta preparazione avvenuta anche attraverso la mutazione del linguaggio diplomatico tra EAU e Israele, meglio tra Paesi Arabi e Israele, nel passato sempre molto duro e tranchant, oggi più blando, più accomodante.

Gli EAU però non si accontentano della mutazione geostrategica sin qui posta in essere, prova ne è la loro crescente influenza nel Corno d’Africa. Le turbolenze in Medio Oriente, l’influenza iraniana, la pirateria somala, la guerra nello Yemen e la crisi del Golfo con l’isolamento del Qatar, hanno spinto gli EAU a guardare all’Africa.

Appare evidente la volontà degli EAU di cercare di replicare, in altre zone calde della regione, il successo della loro mediazione che ha portato al riavvicinamento tra l’Eritrea e l’Etiopia.

Infatti, l’azione diplomatica e gli aiuti economici non solo degli EAU ma anche dell’Arabia Saudita, hanno favorito il riavvicinamento, dopo una guerra ventennale, tra Asmara e Addis Abeba.

Probabilmente gli EAU continueranno con la stessa strategia sin qui adottata, intensificando le alleanze politiche e militari, offrendo sostanziali aiuti economici e favorendo gli investimenti infrastrutturali.

La normalizzazione dei rapporti tra gli EAU ed Israele non costituisce un unicum nella rimodulazione dei rapporti nella regione, bensì è da considerarsi un apripista a cui, oltre il Bahrein, si uniranno nel “cerchio della pace” altri Paesi a breve e medio termine.

Quali saranno i prossimi Paesi? Secondo noi, pronti ad essere smentiti, ci potrebbero essere delle significative aperture nei confronti d’Israele da parte dell’Oman, del Kuwait e finanche – impensabile sino a poco tempo fa – dell’Arabia Saudita. Il tutto naturalmente in chiave anti iraniana, giacché il vecchio proverbio arabo “il nemico del mio nemico è mio amico” resta sempre valido.

Il Bahrain è da considerare un avamposto di prima linea, nel caso di un’ipotetica guerra contro l’Iran e contro tutte le forze ad essa associate, tra cui le milizie irachene, gli Hezbollah libanesi e gli Houthi yemeniti.

Un Regno che sta vivendo un periodo di tensioni a causa dei sabotaggi ai terminal petroliferi sulle coste del Mar Arabico, il danneggiamento da parte di sconosciuti di alcune petroliere e la manomissione di alcune stazioni di pompaggio lungo l’oleodotto saudita in cui scorrono circa cinque milioni di barili di petrolio al giorno, prima d’arrivare ai terminal nel Mar Rosso.

Vari interessi, dunque, si concentrano su questo piccolo arcipelago, già centrale in passato nelle melliflue dinamiche geostrategiche e pronto oggi a rivestire un ruolo significativo nel Golfo Persico e in Medio Oriente.

Anche il piccolo Sultanato dell’Oman sta vivendo un periodo di transizione pieno d’incognite a seguito della morte ad inizio 2020 del Sultano Qaboos bin Said el Said, dopo mezzo secolo di regno.

Il successore, Haitiana Bin Tari bel Said, cugino di Qaboos, dovrà affrontare le nuove sfide che attendono il Regno, sia interne con l’esigenza di traghettare il Paese verso una nuova fase di sviluppo economico e sociale, sia esterne per preservare e mantenere la consolidata vocazione alla mediazione, al pragmatismo e alla neutralità, in virtù anche della sua posizione geografica tra l’incudine e il martello, tra l’Arabia Saudita e l’Iran.

Si potrebbe dunque assistere, in ultima analisi, alla definizione di una linea di separazione sempre più marcata tra gli arabi sunniti e l’Iran sciita.

Da non tralasciare poi l’aspetto economico-finanziario ed i comuni interessi non certo secondari che, da soli, giustificherebbero ampiamente la celebrazione di un matrimonio di convenienza.

Ciò dipenderà dagli scenari geostrategici che si delineeranno nei prossimi mesi con la verifica dei primi tangibili effetti “sul terreno” degli “accordi di Abramo”, giacche non basta la stretta di mano a Washington lo scorso 15 settembre 2020 durante la cerimonia della firma tra il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il Ministro degli Esteri EAU Abdullah bin Zyed el Nahyan, per cancellare decenni d’inimicizia e d’insofferenza per il trattamento riservato agli arabi palestinesi.

C’è poi da analizzare la postura che l’Iran avrà nel frattempo assunto nei confronti degli EAU, (quella verso Israele è sedimentata), così come sarà interessante valutare le conseguenze geostrategiche di un possibile cambio d’inquilino alla Casa Bianca con il passaggio dal tandem repubblicano Trump-Pence a quello democratico Biden-Harris.

Per l’appunto, non mancheranno gli spunti di riflessione.

V. anche dello stesso autore:

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