UN ANNO PARTICOLARE. PANDEMIA. LA TURCHIA DI ERDOGAN. ACCORDI DEGLI EMIRATI E BAHREIN CON ISRAELE…

UN ANNO PARTICOLARE. PANDEMIA. LA TURCHIA DI ERDOGAN. ACCORDI DEGLI EMIRATI E BAHREIN CON ISRAELE…

 

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La pandemia occupa le menti e i maggiori quotidiani italiani e nel mondo. Intanto nel Mediterraneo i ‘giochi’ continuano, a netto svantaggio della posizione italiana nel ‘Mare…Nostrum’.

L’Egitto sta attraversando un periodo di grande instabilità che vede numerose dimostrazioni soprattutto nelle giornate del venerdì, come da tradizione. I problemi sono molto forti e riguardano sia la corruzione che alligna in ogni settore pubblico o commerciale sia il progressivo deterioramento delle condizioni di vita, dovuto alla mancanza del turismo, motore importante dell’economia egiziana, e alla pandemia che colpisce severamente la popolazione in un quadro di debole situazione sanitaria statale.

Le proteste si susseguono soprattutto nel governatorato di Ghiza e di Beni Suef.  Le forze di sicurezza cercano di contenerle anche con una ondata di arresti che però non riescono a far diminuire forti dimostrazioni di piazza. Numerosi cartelli per le strade chiedono ripetutamente le dimissioni del presidente al Sisi.

Tra coloro, anche molte donne, che scendono in piazza per protestare ve ne è, in particolare, una di 26 anni, Sanaa Seif, arrestata nella capitale martedì scorso anche perché sorella di un attivista molto noto, già ristretto in carcere dall’anno scorso, per proteste contro il Presidente. La rete degli oppositori è ben nota ai Servizi egiziani di sicurezza e spesso si chiude sulle stesse famiglie o associazioni.

Secondo quanto riportato da Al Jazeera, Il Cairo sta cercando di allearsi con le potenti tribù libiche ai confini con l’Egitto, in modo da legittimare un’eventuale entrata a gamba tesa dell’Egitto contro le forze turche che agiscono in Libia, continuando a sostenere, Al Sarraj.

L’instabilità dell’Egitto è molto pericolosa perché Al Sisi, pur nella sua attuale debolezza, con la sua rivalità con la Turchia, riesce  ancora a mantenere Istanbul non totalmente padrona di quella parte del Mediterraneo. Un Egitto in preda a una guerra civile, o con il ritorno al potere dei Fratelli Musulmani, sarebbe l’ultimo devastante cerino acceso nell’attuale situazione assai difficile del Mediterraneo, della quale l’Italia in particolare sta soffrendo, a causa delle forti correnti migratorie verso le nostre coste.

Fayez Al Sarraj, sostenuto da Erdogan, continua a chiedere una pausa del conflitto, in modo da agevolare un dialogo politico tra tutte le fazioni e regioni libiche. La Libia, come sappiamo, ormai è un paese territorio completamente devastato dalla guerra civile e anche se i due contendenti volessero in qualche modo aprire un dialogo, Turchia e Russia, potenti rivali, non intendono agevolarlo prima di avere la supremazia conclamata e concretata sulle ricchezze libiche, petrolio e gas. Interessante il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (virtuale) martedì scorso dove ha sottolineato che, nonostante il suo appello al dialogo, sono continuate le ostilità armate tra le forze rivali sul territorio, dando la responsabilità a quelle forze per eventuali ulteriori distruzioni e morti, come se già non se ne fossero consumate abbastanza.

Intanto in Turchia, il nuovo Sultano procede con massicci arresti di coloro che costituiscono un partito di opposizione. Sospetti oppositori o veri oppositori sono accusati di terrorismo e il Pubblico Ministero di Ankara, a capo dell’Ufficio Investigativo sui crimini terroristici, ha aperto l’ennesima indagine contro i terroristi del PKK e dei suoi capi, ordinando proprio in questa settimana la detenzione di altri 82 sospetti. L’Ufficio del Pubblico Ministero non ha voluto specificare quali siano i reati commessi dai sospetti terroristi. Trasparenza: zero, come in tutti i regimi forti.

Contemporaneamente in questo periodo gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein hanno firmato un accordo, riconoscendo Israele e scambiando ambasciatori. Il re del Bahrein sostiene che questo accordo in realtà rappresenterebbe uno sforzo di normalizzazione che dovrebbe portare alla fine del conflitto israelo-palestinese, trovando una soluzione che contempli due Stati. Questo almeno ha dichiarato Ahmad bin Isa Khalifa, nella sua allocuzione alla 75º assemblea Generale delle Nazioni Unite sostenendo che il suo regno cercherà di intensificare gli sforzi per porre termine a quel sanguinoso conflitto, cercando di portare alla fondazione di uno Stato indipendente di Palestina, con Gerusalemme est come sua capitale, basato sulle risoluzioni di una legittimazione internazionale e di una iniziativa di pace araba. Ha sottolineato il monarca che in realtà i legami con Israele sono dei “messaggi finalizzati” per concludere la pace. Ricordiamo che il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato un accordo di normalizzazione con Israele il 15 settembre dell’anno in corso alla Casa Bianca, certamente come parte della ‘offensiva diplomatica’ del presidente Trump alla ricerca del secondo mandato presidenziale.

È un po’ difficile almeno al momento credere a queste parole e a questo percorso di pace per dare una indipendenza statale ai territori palestinesi. Nel 1947 la Lega Araba non volle riconoscere la validità delle decisioni del Comitato Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, approvata dall’Assemblea Generale con la risoluzione ONU N. 181, che prevedeva una spartizione della Palestina, allora sotto mandato della Gran Bretagna, in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo. Il risultato è noto: lo Stato ebraico fu fondato e la Palestina rimase senza una sua realtà internazionale e ancora adesso, dopo 73 anni, si continua a parlare della possibilità di istituire uno Stato palestinese.

Francamente i tempi sarebbero maturi per una definitiva sistemazione di questo annoso sanguinoso problema ma ci si chiede chi in realtà ne vuole una reale definizione, a parte le parole sulla pace che vengono continuamente dette. Vedremo in futuro se quanto sostenuto dal monarca del Bahrein potrà essere effettivamente concretato ma il percorso sembra ancora molto difficile sia per le resistenze israeliane sia per quelle palestinesi, e, in realtà, anche di quelle del resto del mondo musulmano, seppur profondamente travagliato in questo periodo, alla ricerca di influenze globali e non solo mediterranee, per contrastare la politica iraniana shiita che vuole affermarsi totalmente nel mondo islamico come potere primario.

A uno sguardo generale non si può negare che della laicità di un tempo di alcuni Stati che si affacciano sulla sponda sud del Mediterraneo e del Levante è rimasto solamente un ricordo se analizziamo l’attuale politica turca, la situazione libica, quella siriana, quella egiziana di nuovo in bilico. L’Islam politico si sta riprendendo con forza ideologica tutta una regione strategica cercando di esportare con esseri umani e con una politica di attive influenze il proprio credo religioso, anche in una Europa che ha dimenticato molti dei suoi valori originali.

Il prossimo decennio sarà fondamentale per gli equilibri nel Mediterraneo e della stessa Europa, quantomeno quella maggiormente esposta alle influenze islamiche, cioè la Spagna, l’Italia e la Grecia.

V. anche di Paolo Brusadin

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