Bomba, missile o incuria e superficialità per corruzione? Instabilità e rivoluzione…laica?

Bomba, missile o incuria e superficialità per corruzione? Instabilità e rivoluzione…laica?

 

Beirut, vicino Piazza dei martiri ( © photo firuzeh)

Beirut, vicino Piazza dei martiri ( © photo firuzeh)

Si saprà mai la verità sul disastro di Beirut? Non è solo un disastro pensando ai morti, ai dispersi, agli sfollati, ma anche un disastro generazionale.

Conosco bene Piazza dei Martiri e quel quartiere spazzato via, distrutto come le speranze dei giovani di Beirut? Forse le speranze ci sono ancora perché quello libanese è un popolo abituato a lottare e a vincere e da quel che si vede i giovani sono determinati a portare avanti le loro istanze da tempo represse. Sentirli dire ai microfoni: pensavamo di andare via ma ora rimaniamo, fa sperare in un cambiamento radicale e positivo, sempre che la politica internazionale glielo permetta. Questo è uno dei punti importanti….

Come in tutte le società: gente colta accanto a persone più umili, meno scolarizzate ma sempre gentili. Povertà se ne vedeva già molto qualche anno fa ma era aumentata esponenzialmente negli ultimi tempi.

Da anni non si vedevano nelle piazze minacciose corde per impiccare politici. Interessante il fatto che questa minaccia abbia visto coinvolto anche il leader di Hezbollah, Nasrallah, sicuramente il politico più potente del Libano attuale, almeno prima di questo disastro. Che si impicchino in fotografia il presidente Aoun o i vari ministri rientra in una normalità rivoluzionaria ma che anche il fantoccio del capo di uno Stato nello Stato, quale è o forse era Hezbollah, dà la dimensione del punto al quale la rabbia è giunta.

La situazione politica libanese non era splendida prima: era già in default economico. Ora è collassata socialmente, economicamente e politicamente.

La situazione di instabilità dell’Africa Mediterranea era già critica prima del disastro libanese e ora lo è ancora di più. Analizziamo: la Libia è preda di uno Zar e di un Sultano, con un Faraone che cerca l’impossibile in quelle terre e l’Italia che non riesce a avere una politica chiara, salvo quella forte dell’ENI, presente sul territorio. L’Egitto non è in ottimale posizione anche se Al Sissi cerca di tenere la barra dritta. L’economia egiziana è al collasso per la mancanza del flusso turistico che la sosteneva. L’instabilità è garantita anche dai Fratelli Musulmani che, nonostante tutto, agitano le acque, se con minor potere di una volta.

La Tunisia ha problemi politici e economici di non poco conto, acuiti da una pandemia che peraltro su quel territorio non è stata troppo pesante ma ha più che dimezzato gli introiti da turismo, fermo restando l’interessante fatturato prodotto dal gran numero di italiani lì presenti, residenti fiscali o imprenditori.

La Siria, che ha circa due milioni di rifugiati in Libano (pesavano molto sull’economia locale), è in guerra civile da anni, mentre anche sul suo territorio, potenze islamiche di vari orientamenti cercano di imporre la loro influenza.

Ecco dunque un Gioco assai grande scatenato sulle rive del Mediterraneo a un passo da Grecia, Spagna e Italia (la più interessata a questi fenomeni per via dell’immigrazione consistente diretta verso le nostre coste).

Anche se la Storia non si ripete mai totalmente uguale a sé stessa, assistiamo in questo momento storico a fatti e avvenimenti che ci portano indietro di quasi un secolo e mezzo.

L’Impero Ottomano è stato dichiarato morto e sepolto nel 1922 da un laico Presidente che si fece chiamare Padre dei Turchi, Mustafà Kemal, ma sta risorgendo, anche se in modo ‘contemporaneo’ e quel che si è visto con la trasformazione di Santa Sofia a Istanbul da monumento patrimonio dell’umanità a moschea indica chiaramente le future mosse politico-religiose di Erdogan, molto poco laico ma determinato a far trionfare Ankara come faro di un Islam forte anche se non ‘jihadista’, con il chiaro tentativo di riaffermare comunque l’influenza turca, e qualcosa di più, su quel che fu un Impero.

Sarà interessante vedere quel che succederà in Libano dove le confessioni religiose avevano convissuto per lunghissimo tempo in sintonia.

Come riportato nel quotidiano ‘La Repubblica’ del 9 agosto nella bella intervista fatta da Stefania De Lellis a Mona Fayad, docente di psicologia politica all’Università di Beirut, è impossibile che Hezbollah non sappia esattamente quel che è accaduto nel porto, dove non si muove foglia che Nasrallah non voglia. Solo chi non è mai stato a Beirut, non si rende conto di come quel partito avesse in mano molto più di un potere politico. Tutti sapevano che se in un certo momento i telefoni cellulare non funzionassero più voleva dire che si era in un cono d’ombra realizzato da Hezbollah per qualche attentato o qualche visita importante da tenere riservata. E quindi era bene allontanarsi rapidamente da dove si era. Tutti conoscevano la rete televisiva di Hezbollah e la rete Internet degli stessi. Il grande quartiere dove gli appartenenti a Hezbollah abitavano era facilmente riconoscibile ed era meglio non avventurarvisi senza una guida o sapere esattamente da chi andare. Se per caso ti trovavi a passeggiare in quelle strade comprendevi subito dagli sguardi ostili che la tua presenza, non essendo conosciuta, non era certamente gradita. I servizi informativi di Hezbollah erano molto efficienti e capillari.

Nell’interessante intervista prima citata, si dice anche che i libanesi non credono più in Hezbollah che pure ha aiutato molto le classi disagiate di Beirut: certamente un comportamento dettato da interessi politico-religiosi ma molto redditizio. Ma questo evidentemente appartiene già al passato.

Non interessa a questo punto sapere esattamente com’è andata nella doppia esplosione che ha cancellato un quartiere antico di Beirut, che portava ancora i segni del conflitto passato perché se alcuni edifici erano stati restaurati, altri erano rimasti un cumulo di macerie così come ora lo sono anche i restaurati. Si sapranno varie verità e anche una eventuale Commissione Internazionale non riuscirà mai a definire i contorni reali della deflagrazione.

In questo momento Beirut e il Libano sono un interessante laboratorio di cambiamento politico con gli appetiti che si scateneranno da parte di varie potenze laiche o islamiche. Interessante sarà la reale posizione dell’Iran, a parte le dichiarazioni di un aiuto solidale al Libano (v. l’editoriale di Mohammad Mazhari inTehran Times di oggi 10 agosto) per esempio).

L’unico paese occidentale che in questo momento si è fatto avanti rapidamente e al massimo livello è la Francia che del resto ha notevoli legami antichi, storici e culturali ancora, con il Libano. I due maggiori giornali in lingua occidentale, sono in francese: L’Orient -Le Jour e La Revue du Liban, molto diffusi non solo fra gli stranieri. Del resto, almeno a Beirut, quasi tutti parlano un buon francese e in varie riunioni anche accademiche, molto spesso è la lingua usata preferibilmente.

Adesso è il momento dell’aiuto dei volontari per cercare di ripulire, ove possibile, e della rivolta forte nelle strade, delle dimissioni dei membri di un governo fallimentare e corrotto…tanto quanto gli appartenenti di maggior spicco di Hezbollah.

Nei prossimi giorni, accanto alle varie interpretazioni e suggestioni sull’origine delle due deflagrazioni che hanno sventrato una città, appariranno i contorni degli interessi internazionali, a parte quello della Francia, che da tempo cerca di recuperare la sua posizione in tutta l’Africa del Nord: una posizione modernamente ‘coloniale’.

Le impiccagioni delle sagome a Beirut….ça ira ça ira…ça ira cantavano più di due secoli fa!

  1. V, anche per la situazione attuale in Medio Oriente…

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