Yemen: un Paese al bivio a rischio disintegrazione in una guerra non più sua.

Yemen: un Paese al bivio a rischio disintegrazione in una guerra non più sua.

Desolante visione...

Desolante visione…

Di Yemen si continua a parlar poco ma la guerra in corso in quel territorio sta annientando una popolazione nel silenzio quasi generale. Da tempo invece OA monitorizza la situazione. Di seguito lo stato del conflitto tra Yemen e Arabia Saudita.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Lo Yemen continua, suo malgrado – e nonostante un’insufficiente copertura mediatica – ad essere un’arena di conflitto senza fine.

Un’arena di conflitto importante per la posizione geografica del Paese nella penisola araba, crocevia delle direttrici commerciali ma anche snodo della pirateria, del terrorismo e della criminalità.

Di certo, agli occhi del mondo, non è importante per la devastante tragedia umanitaria che si sta consumando.

Lo Yemen è un Paese in stallo e sotto assedio, prigioniero delle varie fazioni che lo governano ed alle prese con un caos settario, una corruzione dilagante e un nepotismo senza controllo che hanno trasformato quello che poteva essere un modello da replicare nella regione mediorientale, in uno Stato allo stremo e sull’orlo del fallimento.

La situazione economica è drammatica ed analizzando i dati macroeconomici del Paese si possono individuare almeno cinque punti cardine su cui il governo yemenita dovrebbe focalizzare l’attenzione e  gli sforzi per cercare di far ripartire la macchina economica.

Innanzitutto promuovere la crescita economica attraverso la stabilizzazione dell’inflazione, della spesa pubblica e del debito nonché rilanciare i settori agricolo, industriale ed ittico. Fondamentale implementare le infrastrutture, in particolare la rete stradale e la rete elettrica obsoleta e parzialmente distrutta da anni di conflitto, incrementare gli strumenti di sicurezza sociale, monitorare la crescita demografica, potenziare la sanità e l’istruzione, rimodulare il settore pubblico, rafforzare i meccanismi di controllo sulla gestione delle risorse pubbliche, riformare l’ordinamento giuridico e le regole per il commercio e l’implementazione dell’interscambio internazionale.

Tutto ciò è estremamente complicato da realizzare a causa dell’escalationdella guerra tra le milizie ribelli Houthie le forze lealiste a causa di un rinvigorimento delle spinte secessionistiche e autonomiste, in aggiunta all’intervento militare dell’Arabia Saudita e, seppur indirettamente, dell’Iran.

Alla fine di marzo 2015, con i primi bombardamenti sauditi, ha inizio la seconda fase della guerra nello Yemen, che perdura in tutta la sua violenza.

La strategia dell’Arabia Saudita è evidente e mira al controllo dello Yemen per salvaguardare i propri interessi economici ed evitare che l’Iran (ma non solo) amplifichi la propria zona d’influenza nell’area.

Riad è ossessionata dalla paura che gli iraniani possano in qualche modo ricostituire l’Impero persiano.

Lo Yemen è dunque un semplice tassello nel complesso mediorientale e si giustifica così la creazione di una sorta di “Nato araba”, un’alleanza militare islamica guidata dall’Arabia Saudita, contrapposta ad un’alleanza tra vecchi nemici contro il nuovo nemico comune.

In effetti, i ribelli sono musulmani sciiti, come gli iraniani alleati dei russi e di Bashar al-Assad in Siria, mentre possiamo dire che tutto il resto del mondo mediorientale è praticamente sunnita, comprese tutte forme d’estremismo.

Un’alleanza che ha incattivito l’offensiva saudita, ma che non è stata risolutrice del conflitto, tanto che da molti autorevoli analisti è considerata un insuccesso.

Ad oggi, un fermo immagine nel ginepraio yemenita certifica il controllo degli Houthi sul nord del Paese, mentre il sud è nelle mani delle forze lealiste al Presidente supportate (anche se non in maniera monolitica) dall’Arabia Saudita.

Tuttavia, persiste una vasta aerea nella parte orientale dello Yemen che sfugge al controllo delle due parti in lotta, una sorta di terra nullius, terreno fertile per alcune sacche di Al Qaeda.

Ciò che rimane immutata è la sofferenza della popolazione yemenita, a prescindere da dove essa vive.

Circa 24 milioni di persone, su una popolazione yemenita complessiva di poco più di 30 milioni, hanno bisogno d’assistenza umanitaria e di protezione e, tra questi, non meno di 14 milioni sono a forte rischio di malnutrizione.

Si continua a morire in questa martoriata terra, non solo per la recrudescenza dei bombardamenti e dei violentissimi scontri tra i lealisti ed i ribelli, ma anche per il colera, ad oggi il pericolo più grande per la popolazione che, in assenza di un’adeguata prevenzione, di cure e di adeguato sostegno medico, potrebbe diffondersi sfuggendo al controllo e contagiare non meno di un milione di persone.

Si muore anche per fame a causa di una perdurante crisi umanitaria, con una popolazione civile che fa sempre più fatica ad accedere alle cure mediche e a reperire i generi alimentari.

In Yemen gran parte dell’acqua potabile viene estratta dai pozzi con pompe che vanno a gasolio e distribuita attraverso i camion cisterna; giocoforza la mancanza di gasolio ha accentuato anche l’endemica crisi idrica.

E la scarsa erogazione di energia elettrica ha determinato un rallentamento – in alcuni frangenti la totale paralisi – dell’attività produttiva del Paese.

Nel 2015 l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon dichiarò che in Siria la morte per fame utilizzata come arma rappresentava un crimine di guerra, scordandosi però della paritetica situazione yemenita.

Secondo i dati forniti dall’Unicef, la guerra nello Yemen ha già causato la morte di migliaiadi bambini mentre, secondo Save the Children, più di 5 milioni di minori sono a rischio denutrizione e più di un milione vivono nelle aree in cui il conflitto è più intenso tra cui Hodeida, Taez, Haijah e Saada.

Indicative le parole del Direttore dell’Unicef per il Medio Oriente Geert Cappelaare, secondo cui la situazione dei minori non è migliorata dopo l’accordo di pace firmato a Stoccolma il 13 dicembre 2018, con un conflitto che “…continua a non risparmiare nessun bambino…”.

Da quel dì, ogni giorno muoiono o vengono feriti non meno di 8 bambini, colpiti mentre giocano per le strade e nei cortili delle scuole o delle proprie case.

In un panorama già triste, non bisogna dimenticare la diaspora di coloro che emigrano verso i paesi dell’area, in particolare in Libano, creando dei gravi problemi gestionali a chi tenta di ospitarli, magari anche senza un adeguato supporto delle Nazioni Unite.

Le agenzie umanitarie dell’Onu sono impegnate a reperire delle donazioni per un valore superiore ai 4 miliardi di dollari, necessari per aiutare circa 19 milioni di yemeniti che, come affermato dal portavoce dell’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), hanno vissuto un 2018 horribilis.

E’ di tutta evidenza che in Yemen siamo a un bivio e se non si materializza all’orizzonte una soluzione stabile e duratura, anche di compromesso, se non ci sarà un intervento deciso della Comunità internazionale in grado di esercitare efficaci pressioni politiche, il Paese rischia fortemente di seguire il triste destino della Libia, dell’Afghanistan o della Somalia.

Coltiviamo la speranza che si materializzi presto un’efficace azione politica scevra da condizionamenti ideologici e religiosi, avulsa da vincoli e da influenze derivanti da meri interessi economici, che possa porre fine alle sofferenze di questo popolo sfinito da anni di guerra e che vede distruggere, giorno dopo giorno, una delle culle più antiche della civiltà.

V. anche su OA dello stesso Autore:

www.osservatorioanalitico.com/?p=8540

http://www.osservatorioanalitico.com/?p=6199

 di Aldo Madia:

www.osservatorioanalitico.com/?p=7203

www.osservatorioanalitico.com/?p=7161

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