YEMEN: UN 2015 NEFASTO E UNA GUERRA DIMENTICATA, CHE CONTINUA.

Lo Yemen con la capitale Sana'a e il porto di Aden (Google Maps)

Lo Yemen con la capitale Sana’a e il porto di Aden (Google Maps)

Lo Yemen non sembra interessare molto i media occidentali ma in questo piccolo stato la situazione è molto difficile. Il Paese sta tornando ad una età da Medioevo….dalla quale sembrava essere uscito. Anarchia, instabilità…pochi ne parlano.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Lo Yemen, suo malgrado, è divenuto oramai un’arena di conflitto che, a differenza di altre tragiche situazioni presenti nella stessa regione mediorientale, ha una scarsissima rilevanza mediatica.

Un’arena di conflitto importante per la posizione geografica dello Yemen, punta sud occidentale della penisola araba, in cui sono in gioco non solo gli interessi locali, ma anche regionali e internazionali.

Lo Yemen è un crocevia delle direttrici commerciali via terra e mare, ma anche punto di snodo della pirateria, della criminalità organizzata e del terrorismo internazionale.

Un Paese che vive da anni, a causa di una guerra civile senza fine, in una situazione di stallo politico e sociale in cui le tensioni settarie, una corruzione dilagante, un nepotismo senza freni hanno trasformato quello che poteva essere un modello di successo in Medio Oriente in uno Stato allo stremo ed in bancarotta.

Il 2015 ha registrato un’escalation nella lotta che ha visto fronteggiarsi le milizie ribelli e le forze leali al Presidente, e un rinvigorimento delle spinte secessionistiche e separatiste del sud e di quelle autonomiste del nord.

Tale situazione è il risultato dell’unificazione territoriale del 1990 che ha avuto l’effetto di esacerbare il vincolo tribale, divenuto nel tempo ancora più stringente di quello, se possibile, religioso.

Tra i vari movimenti separatisti che agiscono nella parte meridionale del Paese, in un territorio che coincide con i confini del vecchio Yemen del Sud, il più attivo nel corso degli ultimi mesi è stato l’Ansar al Sharia-I partigiani della Sharia, la legge islamica.

Il problema più grosso però è legato all’azione delle milizie che agiscono nella parte settentrionale del Paese, in particolare il gruppo al Houthi.

Proprio a causa dell’attività di quest’ultimo gruppo, il conflitto ha travalicato i confini yemeniti trasformandosi, di fatto, in una lotta per la supremazia regionale, con il coinvolgimento diretto dell’Iran e dell’Arabia Saudita.

In uno Yemen la stragrande maggioranza musulmana sunnita gli Houthi, che sono sciiti zaiditi (corrente storicamente moderata che ha sempre evitato la contrapposizione violenta con i sunniti), da sempre possono contare sul sostegno degli sciiti iraniani per l’affinità religiosa e per la vicinanza del loro credo con quello d’ispirazione komeinista.

Di contro, la confinante Arabia Saudita, preoccupata per il pericolo che le tensioni settarie yemenite possano essere esportate insieme al terrorismo e al commercio di droga, è entrata di prepotenza nella disputa, capofila di una coalizione composta da altri paesi della regione, a fianco delle forze lealiste che sostengono il governo.

Pertanto, una questione interna yemenita s’è trasformata in un vero e proprio scontro politico e ideologico tra l’Arabia Saudita e l’Iran per la supremazia regionale.

Inoltre, per una migliore protezione territoriale, i sauditi hanno costruito buona parte di un lunghissimo muro divisorio di più di 1.500 chilometri di lunghezza, dal Mar Rosso sino ad arrivare al confine con l’Oman.

La strategia dell’Arabia Saudita nei confronti dello Yemen è abbastanza chiara: controllare l’instabilità del Paese confinante, salvaguardare i propri interessi economici e, soprattutto, evitare che altri paesi, in primis l’Iran, possano sviluppare una qualsiasi forma d’influenza diretta.

Gli strumenti a disposizione dei sauditi per controllare lo Yemen sono essenzialmente due: quello militare (e i reiterati e intensi bombardamenti aerei di quest’ultimo semestre ne sono la dimostrazione) e il ricatto economico con la concessione ad intermittenza dell’assistenza finanziaria.

E’ abbastanza evidente la volontà dell’Arabia Saudita di far diventare lo Yemen una sorta di proprio satellite, non certo quella di aiutarlo per migliorare la situazione economica, sociale e politica anche perché, un vicino forte è pur sempre una minaccia.

La sindrome d’accerchiamento dell’Arabia Saudita è così accresciuta nell’ultimo periodo tanto da spingerla alla formazione di una vera e propria “alleanza militare islamica”, con la mission di combattere il terrorismo.

Di quest’ alleanza fanno parte più di trenta paesi tra cui gli Stati del Golfo, un consistente numero di stati africani, l’Egitto, la Malesia ed il Pakistan. L’obiettivo dell’alleanza è chiaro: creare un fronte comune soprattutto anti Iran.

Per rafforzare tale fronte, in questi ultimi due mesi s’è infittita la rete degli accordi bilaterali economici dell’Arabia Saudita tra cui spicca quello concluso con l’Egitto per un aiuto energetico e un piano d’investimento quinquennale di 30 miliardi di Ryal (8 miliardi di dollari).

Altrettanto chiara è la strategia e la volontà dell’Iran di trasformare gli Houthi in una sorta di Hezbollah libanesi, un nuovo campo di battaglia nella lotta contro l’Arabia Saudita per la supremazia regionale già in atto da qualche tempo in Iraq, in Siria, in Libano, nel Bahrain ed in Afghanistan.

In tutta questa situazione di scontro tra lealisti e la coalizione internazionale, in cui la forbice della disparità dei mezzi e delle forze messe in campo è a tutto vantaggio dei sauditi, chi ci guadagna e chi ci rimette?

Ci guadagnano i gruppi terroristici, in particolare Al Qaeda nella sua evoluzione organizzativa, intesa non più come una precisa e identificabile entità, bensì come un brand che si diversifica a seconda della struttura e delle connessioni nel paese in cui agisce (si è visto in Libia, in Egitto, nel Mali, in Tunisia ecc..).

Di sicuro, chi ci rimette e chi sta soffrendo, come sempre succede, è la popolazione, soprattutto la più povera.

Nello Yemen il tasso di povertà, in crescita, è attestato al 55%, il 40% dei 24 milioni di abitanti è senza occupazione, il 30% non ha nemmeno accesso all’acqua potabile e all’energia elettrica.

L’economia è in ginocchio in un Paese già considerato il più povero della regione (anche se sono presenti ingenti riserve di greggio mal gestite e mal sfruttate).

Le infrastrutture del Paese sono danneggiate, in particolare la rete autostradale, i porti e gli aeroporti.

Mentre il conflitto continua, la situazione umanitaria peggiora e la popolazione civile fa sempre più fatica ad accedere alle cure mediche e a reperire i generi alimentari, anche quelli di prima necessità.

Le strutture ospedaliere sono allo stremo e in molte città, tra cui Aden, Taiz, Al Dhale, Saada, Hajjah, Amaran, Ibb e finanche Sana’a, scarseggiano i medicinali e i materiali non solo di primo soccorso, ma anche quelli chirurgici e post-chirurgici.

Stante la perdurante situazione d’instabilità, le possibilità di un intervento deciso da parte delle autorità yemenite per rivitalizzare il settore economico sono molto scarse.

Se il ritmo del conflitto continuerà a mantenersi elevato e senza all’orizzonte alcuna soluzione, anche di compromesso, se non ci sarà un intervento deciso della comunità internazionale in grado di esercitare efficaci pressioni politiche, lo Yemen rischia fortemente di trasformarsi in una nuova Libia, in un nuovo Afghanistan, in un nuovo Iraq o, peggio ancora, in una nuova Somalia.

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Guerriglieri Houthi

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