YEMEN. LA TREGUA DI TRE GIORNI

YEMEN. LA TREGUA DI TRE GIORNI

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Un veloce aggiornamento sulla situazione attuale.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Su proposta delle Nazioni Unite del 18 ottobre, il “cessate il fuoco di 72 ore” viene accettato dal presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi e dal suo ministro degli esteri Abul Malek al-Mekhlafi a condizione che:

  • i ribelli Houthi la rispettino;
  • una commissione ONU ne monitorizzi l’implementazione;
  • gli Houthi tolgano l’assedio su Taiz.

L’inviato speciale dell’ONI, Ismail Ould Sheikh Ahmed annuncia la possibilità che a tregua possa essere rinnovata.

Taiz, città strategicamente importante, è contesa dalle due parti: il fronte del presidente Hadi, sostenuto dalla coalizione sunnita a guida saudita, tribù sunnite e indipendentisti del Sud, e gli Houthi, appoggiati dall’Iran e dall’ex presidente Saleh, di fede Houthi.

Entrata in vigore alle 23, 59 (ora locale) del giorno seguente, la breve tregua è subito violata da entrambi: in Arabia Saudita si registrano 2 civili uccisi dai missili Houthi, in risposta alle tre vittime dei raid sauditi. E l’Arabia saudita riprende i bombardamenti

Ciò nonostante l’appello degli Stati Uniti al fronte Houthi, ai quali è richiesto il rispetto della tregua in quanto ogni violazione metterebbe a rischio la possibilità di una ripresa negoziale.

Nessuna raccomandazione agli alleati sauditi nonostante sia nota l’assenza di ogni volontà negoziale di Riyadh, come dimostra il fatto che ogni tentativo di dialogo, sin dalla presidenza Saleh, è fallito per le precondizioni poste sia da Saleh che dalla coalizione saudita.

Sorprendentemente, il giorno successivo all’inizio del “cessate il fuoco”, di fronte al Consiglio di Sicurezza il team di monitoraggio e sanzioni dell’ONU accusa l’Arabia Saudita di violazione del diritto internazionale in quello che viene definito “il doppio attacco”, in altri termini il barbaro modulo di bombardare l’obiettivo facendo seguire dopo pochi minuti un altro bombardamento che uccide anche soccorritori e sopravvissuti.

Di che si parla?

Del recente attacco compiuto l’8 ottobre a Sana’a contro un palazzo che ospitava un funerale a cui partecipavano leader Houthi e del partito dell’ex presidente Saleh causando 155 morti

In merito, l’ambasciatore saudita all’ONU dichiara che a Riyadh sono sufficienti i risultati della loro inchiesta eseguita a velocità della luce che giustifica l’attacco a “informazioni sbagliate”.

Posizione cui fa eco il ministro degli esteri che promette di punire i responsabili e risarcire le famiglie delle vittime.

Sul punto va ricordato che l’ONU, a giugno scorso, dopo le tante violazioni di diritti umani stigmatizzate da Amnesty International e il “United Nations Human Rights Council”Consiglio” (UNHRCI, sede a Losanna), le stesse Nazioni Unite guidate da Ban Ki-Moon, dopo aver pubblicato un rapporto che accusava Riyadh di abusi contro i bambini yemeniti, aveva fatto retromarcia dopo le proteste saudite seguite dall’intenzione di ritirare gli investimenti nel Paese e sospendere il supporto economico alle agenzie umanitarie ONU.

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Il Presidente dello Yemen Hadi

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