Yemen: si avvicina la fine dell’incubo?

Yemen: si avvicina la fine dell’incubo?

Ali Abdullah Saleh con Putin...

Ali Abdullah Saleh con Putin…

Yemen, Paese sconosciuto ai moltissimi. Non se ne parla. Quasi non si sa dove sia. L’antico regno della Regina di Saba. Eppure abbiamo quasi tutti in casa la macchina da caffè che chiamiamo Moka: il nome viene da un porto yemenita, da tempo ‘insabbiato’, dove passava tutto il raccolto del caffè yemenita, per essere esportato. La sua popolazione è ora poverissima e una guerra l’ha lungamente seviziata nel silenzio internazionale. OA si è spesso occupata di Yemen e anche con questo articolo, molto esplicativo, si torna sull’argomento.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Lo Yemen, nonostante il lungo conflitto che lo attraversa da anni, è un Paese di cui si parla poco, molto poco e che, suo malgrado, s’è trasformato in un’arena in cui non sono solo in gioco gli interessi locali, ma anche quelli regionali ed internazionali.

Il destino del Paese è scritto nel nome (derivazione dalla parola araba yamin che significa destra), punta sud occidentale della penisola araba, terra d’origine di varie tribù arabe e cartina tornasole delle innumerevoli contraddizioni di una regione in subbuglio.

Lo Yemen, che nel passato ha conosciuto la colonizzazione britannica, è il frutto di un’unificazione territoriale avvenuta nel 1990, di sanguinose guerre civili e di una struttura tribale che è rimasta immutata nel tempo.

Un Paese musulmano a maggioranza sunnita, ma con una significativa presenza di sciiti Zaiditi (moderati che hanno sempre evitato la contrapposizione con i sunniti) e di Ismailiti (ritenuti degli eretici dai sunniti perché considerano Ismail l’ultimo e legittimo Imam).

In pochi decenni lo Yemen è divenuto il crocevia non solo delle direttrici commerciali via terra e mare, ma anche della pirateria, del contrabbando, della criminalità e del terrorismo.

La presenza di Al Qaeda nel territorio yemenita s’è rafforzata nel corso del tempo, favorita anche da una conformazione territoriale non dissimile da quella della Somalia e del Pakistan.

Da tempo le relazioni tra lo Yemen e l’Iran sono conflittuali, soprattutto per il prolungato sostegno iraniano ai guerriglieri sciiti zaiditi del gruppo al Houti, concentrati nella parte nord del Paese, strategica per l’Iran in virtù dello Stretto di Bab el Mandeb, porta naturale al Mar Rosso e al traffico petrolifero.

Decisamente complicati i rapporti con la confinante Arabia Saudita per la crescente preoccupazione di una pericolosa e destabilizzante contaminazione settaria.

A causa dell’attività terroristica del gruppo al Houti, il conflitto interno ha travalicato i confini trasformandosi, de facto, in una lotta per la supremazia regionale tra l’Arabia Saudita e l’Iran.

La strategia dell’Arabia Saudita mira al controllo della stabilità dello Yemen, alla salvaguardia dei propri interessi economici e al contrasto dell’espansione dell’influenza iraniana.

Gli strumenti utilizzati dall’Arabia Saudita sono stati (e sono): la creazione di una Coalizione militare islamica composta da trenta paesi con sistematici raid aerei nello Yemen e il “ricatto” economico, con la concessione ad intermittenza dei finanziamenti.

Il vero obiettivo di Riad è però quello di trasformare lo Yemen in uno Stato satellite, non certo quello di aiutarlo a migliorare la propria situazione economica e sociale, anche perché la regola che un vicino forte è comunque una minaccia è sempre valida, soprattutto in Medio Oriente ed in Africa.

Dal canto suo l’Iran ha cercato, senza riuscirci, di trasformare gli Houti in una sorta di Hezbollah libanesi in chiave anti Arabia Saudita.

E’ possibile la fine del conflitto e delle tensioni nello Yemen?

Alla luce dell’efficace azione militare della Coalizione guidata da Riad e delle crescenti difficoltà degli Houti, ora più che mai è un’eventualità da prendere in considerazione.

Certo è che se ciò si verificherà, non avverrà in tempi brevi.

I motivi che possono agevolare la fine del conflitto sono essenzialmente due: i riverberi nella struttura di comando degli Houti conseguenti l’uccisione dell’ex Presidente yemenita Ali Abdullah Saleh che ha creato dei forti malumori (per alcuni osservatori insanabili), e un possibile disimpegno iraniano.

Tale disimpegno, seppur graduale, potrebbe essere spinto dall’ondata di malcontento che ha investito l’Iran nei giorni a cavallo tra il 2017 e il 2018 e che ha causato morti e feriti.

Le proteste, scaturite per ragioni di natura economica, hanno allarmato l’establishment iraniano, in particolare Rohani e Khamenei, peraltro figure in forte calo di popolarità.

Ali Abdullah Saleh, uomo scaltro e figura ingombrante anche da ex Presidente, è stato             – nel bene e nel male – l’artefice della riunificazione del 1990 ed ha tenuto le redini del Paese per più di trent’anni.

Nel 2012 è stato sostituito da Abd Rabbuh Mansour al Haidi, tre anni dopo destituito con un colpo di Stato, ma tuttora Presidente “riconosciuto” dalla Comunità Internazionale.

Il Paese da quel momento è sempre più diviso in due: il nord e la capitale San’a sotto il controllo degli sciiti, il sud e la città di Aden fedeli ai seguaci di Hadi.

Nel mezzo ci sono i jihadisti che, da par loro, stanno contribuendo a trasformare lo Yemen in una “nuova” Siria.

La fine del conflitto è necessario anche per poter far fronte ad una situazione economica in costante deterioramento anche se, a ben vedere, lo Yemen non può essere catalogato tra i paesi più poveri per la presenza di giacimenti di gas naturale, di minerali e di petrolio.

La disoccupazione è dilagante (soprattutto quella giovanile), aggravata da una crisi economica che ha colpito tutti i settori produttivi.

Le autorità locali hanno cercato d’intervenire, senza tangibili risultati, anche a causa del venir meno dei finanziamenti da parte dei paesi donatori, in particolare degli Stati Uniti d’America, sempre più cauti e sospettosi.

Il Paese è altresì alla prese con una gravissima crisi umanitaria e la malnutrizione infantile ha raggiunto cifre allarmanti.

Tre quarti della popolazione yemenita ha bisogno d’aiuto perché qualsiasi rifornimento via terra e mare è ostacolato dai ribelli e dai raid aerei della Coalizione. Quasi venti milioni di yemeniti non hanno una sicurezza alimentare, sette sono sull’orlo di una carestia e sedici non hanno accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienici.

Tutto ciò ha innescato un crescendo di sofferenze e la diffusione d’epidemie, in particolare della dissenteria e del colera.

In una ipotetica scala della sofferenza al primo posto ci sono i due milioni di bimbi afflitti da malnutrizione acuta e che rischiano di morire, senza contare quelli che hanno perso la vita a causa della guerra.

Una guerra che, di tutta evidenza, non è la soluzione dell’intricata questione yemenita.

Cosa fare allora per cercare di porre fine a questa straziante situazione?

Sembra banale ribadirlo, ma è necessaria l’implementazione del dialogo tra le parti in conflitto, su basi solide e scevro da sotterfugi.

Un dialogo che si fondi sul rispetto reciproco e senza inique pretese della minoranza nei confronti della maggioranza.

E’ necessaria una soluzione politica poiché lo Yemen non può continuare a rimanere tra l’incudine e il martello e senza una forte leadership unitaria in grado di governare un popolo che, nel corso della sua travagliata storia, ha sempre dato prova di dignità e di determinazione, ma che è allo stremo.

©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

image018

 

 

 

Comments are closed.