La Libia, gioia e dolore dell’Italia. Maggiori il dolore e le difficoltà.

La Libia, gioia e dolore dell’Italia. Maggiori il dolore e le difficoltà.

Carte_Koufra

 

La situazione in Libia è una guerra civile scoppiata senza dubbio il 4 aprile quando il Signore della Guerra, il generale Haftar, avendolo preventivamente annunciato, ha ingaggiato combattimenti con le milizie di Tripoli. Un altro conflitto nel Vicino e Medio Oriente del quale non si sentiva la necessità.

Ho rivisto un film (anche su You Tube) che non credo sia mai stato fatto vedere nelle sale cinematografiche italiane: ‘Il leone del Deserto’ (The Lion of the Desert) ovvero la storia Omar al-Mukhtar (stupendamente interpretato da Anthony Quinn), ribelle nel 1931 contro l’invasione italiana e la mano dura del Generale Graziani. Anziano, fu impiccato in una pubblica piazza e i fascisti ne fecero così un mito…tanto che quando andai in visita alle rovine di Leptis Magna, molti anni fa, potei acquistare due CD, artigianalmente prodotti, del citato film, che ora si acquista con un professionale DVD. Eh sì, la figura del vecchio resistente non è mai stata dimenticata in quelle terre e non lo è sicuramente tuttora. C’è molto da criticare sul film ma… se riflettessimo bene sulla storia di Omar al- Mukhtar capiremmo meglio anche la situazione attuale, ovviamente conoscendo la storia successiva al dignitoso resistente: da chi fu imposta la monarchia del Senusso, alla fine della seconda guerra mondiale e le ragioni per le quali scoppiò la rivoluzione di Muhammad Gheddafi, uno ‘strano’ filo unico che si snoda anche adesso. La storia e la geografia consentono riflessioni anche su fatti attuali.

La nostra politica estera attuale verso questa regione strategica è da molti riconosciuta come non indipendente e, aggiungerei, dopo le ultime esternazioni del Capo del Governo, Conte, ondivaga che rivedono timidamente precedenti posizioni. Abbiamo dato fiducia a al Serraj, non rendendoci conto che controllava solo il territorio della Tripolitania, nemmeno completamente, e con milizie non tutte legali e che soprattutto, era appoggiato apertamente dalla comunità internazionale, il che non ne faceva necessariamente un leader politico con ampio consenso popolare su tutto il territorio di uno stato che mai è stato unito. Le sue tre regioni principali, Cirenaica, Tripolitania e Fezzan hanno accettato un governo centrale solo con Gheddafi quando egli si decise a dare un ruolo politico anche alle tribù del Fezzan. Eppure per l’Italia la Libia è stata e continua a essere molto importante, soprattutto quando le rotte del Mediterraneo hanno portato una immigrazione sostenuta verso l’Italia. Ma ora i migranti diventano rifugiati che fuggono da una guerra e sono protetti dalle leggi internazionali al riguardo, dalle Nazioni Unite e da quel Global Compact firmato a Marrakech nel dicembre dell’anno passato, anche se non accettato dall’Italia che, infatti, non lo ha firmato. Difficile ora respingerli. E’ cambiato il panorama analitico della migrazione.

A Palermo ci siamo illusi di poter agire da ago della bilancia, da grandi mediatori, ma il comportamento di Haftar in quella occasione fu chiaro….e le strette di mano all’occidentale valgono poco. Ma forse non l’abbiamo capito.

E’ evidente che il cosiddetto ‘uomo forte’ della Libia ambisce a un potere politico non solo militare, nella speranza di coniugare i due poteri in uno e di governare con pugno di ferro milizie di diverse ispirazioni ideologiche e politiche, diversamente appoggiate dall’esterno.  Dovrà poi confrontarsi con le tribù del Fezzan, ma certamente questo problema per lui viene dopo aver vinto e conquistata Tripoli, quando avrà il controllo di almeno i tre quarti del territorio libico.

Ora Haftar forza la mano con le armi per scacciare i terroristi islamici dal territorio, il suo alibi più volte dichiarato che gli viene riconosciuto anche dagli USA. Avanza, viene costretto a indietreggiare, bombarda, innalzando sempre più il livello armato del conflitto. Insomma si combatte nella città di Tripoli e nelle sue vicinanze, con le conseguenze che un conflitto di questo tipo comporta sulle popolazioni civili e su quei migranti sub sahariani ristretti nei luoghi di detenzione libici.

Sembra che l’inviato speciale dell’ONU, Ghassem Salamè, secondo quanto riportato dalla qatarina Al Jazeera, abbia messo in guardia le nazioni che appoggiano Haftar, sostenendo che il suo programma politico non avrebbe un consenso popolare da parte di molti libici. Avrebbe però dichiarato a France Inter Radioche Haftar non è certo Abramo Lincoln, non è un gran democratico ma ha buone qualità e vuole unificare la Libia. Dunque, le Nazioni Unite iniziano a riconoscere la debolezza politica, militare e personale di Al Serraj dando verbali riconoscimenti a Haftar? Tardi.Fuori tempo massimo.

Indubbiamente l’Italia ha bisogno di una Liba stabile, come tutti gli Stati del Mediterraneo, Tunisia, Algeria e Marocco compresi, per non citare l’Egitto, forse il più interessato a quel che avviene in Libia. Al Sisi, infatti, appoggia Haftar probabilmente ritenendolo il più forte e quindi quello che potrà arrivare alla vittoria finale, anche riguardo alla sconfitta dei terroristi islamici, in Libia, allontanando quindi ulteriori pericoli per il Cairo, considerando che i Fratelli Musulmani non sono stati totalmente debellati così come il terrorismo nel Sinai e in altre regioni, così come nella stessa Cairo. E in questi giorni si è anche riaffacciato Al Baghdadi, silente ufficialmente da oltre cinque anni: una preoccupazione sempre più forte, ammesso che Al Baghdadi sia invece in situazione di debolezza armata e tenga a riaffermare una sua supremazia svanita sul campo dell’auto proclamato Stato islamico sconfitto sul terreno almeno in Siria. Il nemico ferito è il peggior nemico.

Personalmente non credo che i tentativi internazionali di pace riusciranno a porre fine a questo conflitto interno libico, con la diplomazia, almeno fino a quando alcuni membri della comunità internazionale continuino a sostenere e foraggiare le due parti contendenti, in attesa che uno dei due sia vinto sul campo. Chiunque vincerà dovrà comunque fare i conti con il potere delle tribù che sono armate e indirettamente membri di alcune milizie. Finito il conflitto, il tribalismo, sia pure in una concezione più moderna, riprenderà la sua forza e i pozzi di petrolio sanciranno le alleanze. Gheddafi, che pur all’inizio della sua gestione le aveva combattute, dopo alcuni anni fu costretto integrarle nei poteri delle istituzioni per avere i confini a sud monitorati e difesi, quei confini difficilmente segnati, come spesso avviene in questa regione strategica e ancor di più nel Sahara.

E’ da augurarsi che uno dei due vinca rapidamente e senza troppi aiuti dall’esterno ma non sarà così, perché Italia (la più debole peraltro), Qatar, Turchia, Arabia Saudita, Egitto, Emirati, Francia, Usa e Russia non molleranno la presa per vincere una lunga influenza sulla Libia e non solo, appoggiando uno dei governi libici: Tripoli o Tobruk. Il conflitto è anche fra di loro, pur se non armato e diretto. La partita è importante e si gioca cercando una vittoria a medio e soprattutto a lungo termine per assicurarsi tutto quel che a nord e a sud del Sahara si può ottenere non solo in termini di petrolio. La Cina avanza in silenzio ma con rapidità. Ci ritroveremo, intanto che il conflitto va avanti, un’Africa sinizzata?

Che fra tutti i litiganti, l’ex Celeste Impero abbia la meglio nello sfruttamento delle ricchezze africane, mediorientali o sub sahariane? La Via della Seta passa anche per il Medio Oriente?

Grandi sfide per il XXI secolo.

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