Libia. Il valore di una stretta di mano.

Libia. Il valore di una stretta di mano.

 

 

Il generale Haftar

Il generale Haftar: sguardo deciso!

Una bella foto apparsa su tutti i giornali: due rivali che si stringono la mano…ma non sappiamo cosa frulla nelle loro menti. Un rappresentante ONU che dichiara la riunione essere stata un successo insieme a chi ha organizzato la due giorni di incontri soprattutto bilaterali. Non poteva fare altrimenti, come il padrone di casa, il premier Giuseppe Conte.

Molto bene, ci sarebbe da dire. Analizzando però le varie mosse degli attori e comprimari che si sono succeduti a Villa Igiea a Palermo, però, è chiaro che non sono tutti veri sorrisi quelli che vengono fatti a beneficio dei fotografi.

Un successo chiaro c’è stato: quello dell’Italia che finalmente è riuscita a riproporsi come attore attivo nel Mediterraneo e non solo passivo come ricevitore di disperati migranti che non ha saputo gestire per molti anni (non è detto che lo sappia fare nei prossimi…). Le presenze di Al Sisi, del vicepresidente turco e di altri Grandi e meno Grandi della terra sono state importanti ma non risolutive. Significative le assenze quali quella di Macron che ha mandato il Ministro degli esteri e quella di Erdogan che ha mandato il suo vice.

Haftar è arrivato, mantenendo una promessa fatta al premier italiano ma soprattutto per stabilire che è lui il vero governante della Libia; va e viene e partecipa a suo piacimento a cene e incontri bilaterali. I suoi collaboratori, pur presenti, non hanno firmato il comunicato finale: un chiaro segno di potere. Ha dato una notevole importanza all’Italia che spera di usare come grimaldello contro gli appetiti della Francia che pure lo appoggia a fasi alterne. La userà finché gli farà comodo per i suoi disegni di potere e finanza.

La sua frase molto ‘levantina’ sul ‘non cambio di cavallo mentre si attraversa un fiume’ è un messaggio politico chiaro: fino alle prossime elezioni al Sarraj può fare il Capo del governo libico a Tripoli…mentre sarà lui a continuare a controllare la Cirenaica. Al Fezzan ci pensano le tribù. C’è tempo per le elezioni e alcune strategie debbono essere consolidate.

Le alleanze si fanno e si disfanno con molta rapidità quando c’è di mezzo il petrolio e il gas. La politica è cinica nel senso di una concretezza eccezionale e il flusso finanziario delle royalties  da più di un secolo regola alleanze e conflitti.

La parte più difficile da inglobare nel processo di pacificazione saranno le tribù che Ghaddafi era riuscito a controllare sapientemente, conferendo loro autorità nel suo governo e lasciando in realtà che sul territorio vivessero all’interno con le loro tradizioni e le loro leggi. Certamente tutto questo non ha giovato a una unità reale della Libia come Stato e  come Nazione. Ci sono tre territori in Libia che sono molto diversi ancora fra loro, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Solo l’Italia e i trattati di pace post seconda guerra mondiale ritennero questi territori formanti un unico stato sotto il Capo della Confraternita Senussita, Re Idriss I, che, infatti, non seppe governarli. Ci riuscì un giovane colonnello che prese il potere nel 1969, figlio di una tribù della Tripolitania ben conscio delle dinamiche interne tribali: Ghaddafi. E’ indubbio che instaurò una dittatura militare ma con polso molto fermo e intelligenza notevole riuscì, molto spesso, forse troppo, a scapito del diritto internazionale umanitario (non è che ora i diritti umani vengano rispettati sul territorio…), a mantenere una certa stabilità e una indipendenza da attori internazionali, anche sfruttandoli abilmente. Ha governato per un quarantennio finché una rivolta interna, probabilmente  alimentata anche da attori esterni internazionali, ha messo in luce le criticità del suo governo e della non omogenea società libica. E dal 2011, anno della rivolta libica,  si sono manifestate altre criticità molto più forti che nel passato periodo dittatoriale. Criticità che ora vedono a Palermo e vedranno in futuro molte altre conferenze internazionali per la difficile stabilizzazione in primis e poi della pacificazione della Libia.

Sarà difficile se non ci sarà un uomo forte a controllare tutti e tre i territori e se le Potenze mondiali non accetteranno di gestire il petrolio insieme alle tribù e a un uomo forte che le possa gestire.

Haftar per il momento è forte ma ha anche un’età che non consente una programmazione a lungo termine sulla sua persona e al momento non si vede altro leader altrettanto deciso e potente. Al Sarraj fa quello che può ma non può molto e forse lo penalizza proprio un sostegno internazionale non condiviso da molti importanti attori di quella regione strategica, come la Turchia per esempio…

Non è facile comprendere i parametri della politica mediorientale se non rivolgendosi alla storia di circa due secoli e alla geografia. Il sorriso di oggi può essere una pugnalata e le strette di mano possono valere in un mercato del bestiame e per la stampa mondiale ma non di fronte a supremazie regionali, affermazioni personali, pozzi di petrolio e giacimenti di gas.

L’Italia e Haftar hanno segnato un punto a loro favore con l’incontro di Palermo. Quali ne saranno i frutti e se ci saranno? Serviranno anni per comprendere i risultati di questa ‘due giorni’ di incontri bilaterali. L’Italia può avere un ottimo ruolo se saprà tessere con intelligenza e non dimenticando i propri interessi nazionali, la rete che deve avvolgere soprattutto le tribù, che, a avviso di chi scrive, sono il vero nodo da sciogliere nell’unificazione della Libia che dovrà avvenire  non con parametri euro-occidentali ma con il rispetto di radicate identità locali.

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Leptis Magna (photo©firuzeh)

Leptis Magna (photo©firuzeh)

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