Le Forze Armate in Medio Oriente: semplici difensori dei confini nazionali?

Le Forze Armate in Medio Oriente: semplici difensori dei confini nazionali?

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Venti di guerra soffiano sempre più insistenti in Medio Oriente…ovvero: la guerra è già in atto ma non è dichiarata. Muoiono donne, bambini, combattenti. Le armi, nonostante i divieti, vengono distribuite…un interessante panorama sulla importanza attuale degli eserciti in  Medio Oriente.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

In tutto il Medio Oriente la commistione tra i civili ed i militari, tra l’esercito e la popolazione s’identifica con la storia stessa, passata, recente ed attuale dei paesi arabi.

Nel corso dei secoli le Forze Armate hanno sempre più rinsaldato il loro ruolo, facendosi carico non solo del dovere di difendere la propria nazione, ma anche di gestire gli affari politici e la res pubblica.

Scindere il ruolo civile con quello militare è complicato e alcuni studiosi addirittura lo considerano impossibile.

Di certo porre una linea di demarcazione tra la sfera militare e quella politica in alcune latitudini è un esercizio inutile giacché, semplicemente, non esiste un esercito senza la politica.

A ben vedere, se l’obiettivo di un esercito è di preservare l’integrità nazionale, di salvaguardare la sicurezza e di difendere le istituzioni, in certi contesti questo porta inevitabilmente ad un ruolo politico.

Un esercito strutturato per la difesa, composto da professionisti e con forti intrecci politici era già presente ai tempi dell’Impero Ottomano, modello di una forma moderna d’esercito in Medio Oriente.

Ad Istanbul nascono le prime scuole militari per la formazione specialistica dei militari; idea che ben presto si diffonderà in tutti gli altri eserciti anche al di là del mediterraneo.

A seguito della caduta dell’Impero Ottomano i vari popoli hanno concentrato gli sforzi per la costruzione di propri eserciti, composti da personale specializzato, essenzialmente per difendere il proprio territorio contro l’avanzata del colonialismo europeo.

Colonialismo che ha plasmato (e formato) a propria immagine e somiglianza l’esercito del Paese posto sotto la propria autorità.

Un esercito che in molte nazioni tra cui la Siria, l’Egitto e finanche la Libia, nonostante il rigido controllo dell’occupante non ha mai perso, tramite i propri ufficiali, il ruolo politico di difensore dei confini patri pur non riuscendo appieno a rappresentare l’eterogeneità della propria comunità sociale.

L’esempio più evidente e quello della Giordania ai tempi dell’occupazione inglese allorquando John Glubb, un ufficiale britannico meglio conosciuto come Glubb Pacha e incaricato di creare l’ossatura dell’esercito giordano, reclutò beduini, pastori e nomadi.

Tutti gli altri strati della popolazione furono esclusi, in particolare gli agricoltori stanziali da secoli e radicati lungo le sponde del fiume Giordano, la memoria storica e cuore della Nazione giordana.

La mancanza della rappresentanza di una parte viva della società giordana venne in parte sopperita con il reclutamento di un numero rilevante di palestinesi che avevano già combattuto contro il sionismo.

Un’eterogeneità di personale e di vedute che hanno agevolato la formazione di fazioni interne pronte a rovesciare il regime giordano degli Hashemiti. Nasce così il gruppo degli “Ufficiali liberi” che tenta di defenestrare la Monarchia senza però riuscirci, prendendo in prestito il nome dal gruppo di ufficiali egiziani che, al contrario, riuscirono nel 1952 a rovesciare la Monarchia egiziana.

Senza dimenticare il gruppo di ufficiali iracheni guidati da Abdelkarim Kassem che scacciarono dal potere la stessa famiglia degli Hashemiti in Iraq.

Tale scollamento e mancanza di una completa rappresentanza della popolazione, unita ad uno squilibrio del potere tra fazioni e gruppi religiosi, è tuttora presente tra le fila dell’esercito giordano e, marcatamente, in quello iracheno e siriano che, peraltro, devono essere ancora ricostruiti.

Nonostante le divisioni interne e le spaccature tra lealisti e non, anche in questi paesi dilaniati dalla guerra e dai postumi di una mal riuscita “rivoluzione araba”, l’esercito rimane pur sempre l’istituzione più credibile cui la popolazione continua a dare fiducia.

E’ il caso dell’esercito egiziano, parte attiva della rivoluzione del 2011 e della controrivoluzione del 2013, che non può essere considerato il baluardo della laicità dello Stato come in Turchia, ma in qualche modo difende anche i confini entro cui la religione islamica non può travalicare.

Tutto ciò lo si è visto bene con il sanguinoso epilogo dell’anno di potere dei Fratelli Musulmani e del suo leader Morsi, scomparso nel mese di giugno 2019 per un malore nel corso di un’udienza in un Tribunale de Il Cairo mentre scontava la condanna in una prigione dell’esercito tra Il Cairo ed Alessandria d’Egitto.

Un esercito egiziano protagonista, nel bene e nel male, della storia recente dell’Egitto, compresa la “primavera araba”.

Esercito sempre più forte e presente nella vita politica dell’Egitto che, dopo la morte traumatica di Anwar Al Sadat per mano dei jihadisti nel 1981, si è trasformato e risollevato divenendo l’assoluto protagonista della fase rivoluzionaria e controrivoluzionaria che ha visto l’uscita di scena di Mubarak e di Morsi e la successiva ascesa di el Sisi.

Perché le forze armate egiziane oggi, nonostante tutto, continuano ad essere stimate dalla maggior parte della popolazione a tal punto da divenire l’ago della bilancia nelle questioni politiche?

E’ il risultato di una sapiente propaganda che ha trasformato un esercito perdente che non ha mai vinto un solo conflitto, in una potente macchina da guerra temuta al di fuori e all’interno dei confini nazionali.

Il concetto di Uatan, d’identità nazionale, è nel DNA dell’egiziano, come la percezione dell’esercito quale difensore della Patria e garante dell’ordine pubblico e della stabilità interna.

Si tratta quindi di un esercito che è l’esatta espressione del popolo egiziano e che è anche una vera e propria industria che costruisce strade, che produce il latte, il pane e l’acqua minerale venduti a prezzi più bassi sul mercato, nei villaggi e nelle campagne, assicurandosi così l’appoggio delle fasce più deboli della popolazione.

Esercito che controlla metà dell’economia egiziana, il demanio e numerose proprietà immobiliari comprendenti moltissimi palazzi e costruzioni, strade, terreni e spiagge.

Ad oggi l’Egitto non sembra avere nemici esterni, piuttosto è concentrato contro due nemici interni: uno molto violento, gli islamisti, radicati principalmente nella regione depressa del Sinai, l’altro più subdolo, ma non meno violento e più imprevedibile, le manifestazioni di piazza.

Non possiamo non parlare d’Israele, l’unico Stato del Medio Oriente che possiede l’armamento nucleare, unitamente ad un esercito moderno ed efficace che nessun potenziale nemico ad oggi sembra essere in grado di distruggere.

Certo, alcune milizie ostili ad Israele, come la Jihad islamica o gli Hezbollah, esperte nella guerra asimmetrica, sono in grado di provocare dei danni significativi ma non irreparabili.

Anche le Forze Armate turche, eredi del glorioso passato ottomano, sono molto forti e ben equipaggiate e costituiscono la posizione avanzata dell’alleanza occidentale della Nato verso il Medio Oriente.

L’Iran è un attore insostituibile nella regione con l’esercito più potente, dopo quello d’Israele. L’apparato di sicurezza iraniano, a similitudine dei regimi autoritari, si compone di un esercito di leva, di una polizia efficiente, di servizi d’intelligence e di unità paramilitari per la sicurezza interna del regime.

Le Guardie della Rivoluzione, i Pasdaran, dopo la guerra con l’Iraq si sono trasformati in un vero e proprio Corpo, con uno Stato Maggiore, delle unità terrestri, una marina ed un’aviazione.

Proprio recentemente a seguito dell’uccisione a Baghdad da parte degli Americani del Generale Qasem Soleimani, Comandante della flic elcuds, la Divisione deputata alle attività extraterritoriali ed alle operazioni clandestine, abbiamo preso maggior coscienza dell’importanza e della radicalizzazione di queste strutture.

A grandi linee abbiamo riportato alcuni esempi (ce ne sono molti altri) a dimostrazione di quanto sia stato e sia importante l’esercito nel mondo arabo come soggetto politico, oltre che militare.

Resta da capire come mai, stante il supporto della popolazione, qualsiasi esercito abbia fallito nell’aiutare il proprio popolo nella transizione da una dittatura, seppur mascherata ed illuminata in alcuni casi, a una “vera” democrazia.

La risposta è semplice, nella sua banalità: il potere probabilmente inebria anche i vertici militari, rapidi ad omologarsi agli stessi comportamenti di coloro che vogliono combattere.

Leggendo la storia del medioriente e non solo, la presenza o l’assenza di democrazia in un Paese è purtroppo il combinato disposto di una somma di fattori tra cui la presenza di ricchezza e di sviluppo economico unita ad una classe militare “illuminata”, di lunga visione e conscia dei limiti imposti dal proprio status di militare.

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