La rapida comparsa dell’Isis in Libia: come affrontare la minaccia?

La rapida comparsa dell’Isis in Libia: come affrontare la minaccia?

L'Infografica di Centimetri mostra i conflitti nelle citta' principali della costa lbica, Roma, 15 Febbraio 2015. ANSA/ CENTIMETRI

L’Infografica di Centimetri mostra i conflitti nelle citta’ principali della costa lbica, Roma, 15 Febbraio 2015. ANSA/ CENTIMETRI

Di grande interesse geopolitico la presenza dell’ISIS in Libia ma molto pericolosa. Affrontare questa nuova realtà presenta numerose difficoltà anche perché è evidente il suo tentativo di ricongiungersi con la Siria e l’Iraq, così da mettere tutto, o quasi tutto, il Medio Oriente sotto il governo del ‘Califfato’. Le conseguenze sarebbero disastrose. Quali le possibilità di comtrasto?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Senza allarmismi, di certo possiamo ritenere l’Isis – organizzazione integralista islamica di stampo wahabita (Daesh per gli arabi) una minaccia reale e in questi ultimi tempi, anche sull’onda emotiva dei video propagandistici e delle immagini delle crudeli esecuzioni, il numero dei favorevoli a un attacco armato contro il Califfato è notevolmente accresciuto.

Sempre più numerose le bandiere nere dell’Isis sventolano in molte città della Siria, dell’Iraq e della Libia -a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste- e la minaccia di contaminazione in Tunisia, in Egitto e nel mediterraneo non può essere sottovalutata.

La storia è piena di paradossi: il tiranno libico da abbattere a tutti i costi in realtà era – senza alcun giudizio di merito sulla sua condotta politica – l’unico in grado di controllare un pot-pourri di etnie e di governare uno Stato “artificiale” frutto della colonizzazione.

Con la fine di Gheddafi nel 2011 è tramontata la sua utopistica idea della jamahiria (lo Stato delle masse) d’ispirazione socialista e nasseriana, e la situazione s’è drammaticamente complicata, in un Paese privo anche di un simulacro di struttura di governo, di potere centrale.

Infatti, dalle elezioni dello scorso anno in Libia sono presenti due governi di cui uno è stato riconosciuto dalla Comunità internazionale mentre il secondo -di fatto illegittimo- è d’ispirazione islamica, anche se non estremistica. Il primo governo, che nella regione ha l’appoggio dell’Egitto e dell’Arabia Saudita, ha sede nella città di Tobruk e il secondo, il Congresso nazionale libico sostenuto dalla Turchia e dal Qatar, è a Tripoli.

Una situazione d’instabilità che si ripercuote negativamente sulla situazione economica della Libia e, soprattutto, sulla produzione del petrolio. Un’instabilità che potrebbe ulteriormente aggravarsi, humus fertile per una riedizione di quanto già visto in Nigeria, in Somalia, in Iraq e in Siria.

Da ottobre 2014 a oggi, dalla prima volta in cui s’è sentito parlare di Isis in Libia sono passati otto mesi, otto mesi in cui c’è stato un crescendo mediatico.

Da un’apparizione in sordina, in sostanza ignorata dai media internazionali – tanto più da quelli italiani – a fiumi d’inchiostro sulla minaccia dell’Isis e sulla sua crescita dal punto di vista militare e organizzativo.

In realtà, la minaccia era già evidente non appena il gruppo terroristico s’è impossessato di Derna, piccola sconosciuta cittadina della Cirenaica; non una città qualunque, bensì la capitale dello jihadismo libico.

Derna, città simbolo della rivolta contro la colonizzazione italiana, città che ha visto la nascita del Gruppo islamico di combattimento libico ispirato alla dottrina di Bin Laden, città natale di numerosi combattenti della jihad, della guerra Santa, impegnati in Iraq e in Siria, città permeata da sentimenti di disperazione sociale e d’estremismo religioso, città autoproclamatasi provincia dell’Isis.

Dopo anni di combattimenti sul fronte iracheno e siriano, molti combattenti libici sono rientrati in terra natia andando ad alimentare le file delle milizie sia vecchie sia nuove, come la Gioventù Islamica.

Da questo momento la preoccupazione occidentale sulla presenza dell’Isis in Libia aumenta, sino ad arrivare all’apice con l’avanzata verso le città di Misurata e di Sirte, queste sì facilmente individuabili sulla cartina geografica e visibilmente vicine alle nostre coste.

E così l’Isis ha raggiunto il suo obiettivo: catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dell’importanza simbolica della città di Derna lo si è capito anche qualche mese fa allorquando, a seguito della diffusione via internet e su tutti i canali televisivi della decapitazione di una ventina di egiziani copti rapiti a Sirte, l’Egitto, per ritorsione, ha dato corso a dei raid aerei violando la sovranità libica.

Tra gennaio e febbraio u.s. le cancellerie internazionali si sono surriscaldate anche a seguito delle preoccupanti dichiarazioni del Primo Ministro libico Abdullah Al Thani e la nefasta previsione di uno sbarco dell’Isis in Europa in breve tempo.

Il Ministro degli Esteri egiziano ha subito chiesto alla Comunità internazionale di prendere delle misure contro le formazioni terroristiche. Si sono poi succeduti numerosi incontri internazionali tra l’Alto rappresentante per la politica dell’Unione Europea Mogherini, il Segretario di Stato americano Kerry, il Ministro degli esteri egiziano Shoukry ed altri ancora.

Molte voci autorevoli si sono espresse per un intervento militare in Libia allo scopo di fermare il caos e la fuga via mare di migliaia di disperati.

Anche esponenti del nostro governo hanno paventato tale scelta, seppur all’interno di un quadro giuridico delle Nazioni Unite; non certo alla “francese” con attacchi aerei contro Gheddafi senza un accordo preventivo della Comunità internazionale; e cosa ancor più grave, in nome di ragioni umanitarie!

Alcuni mesi sono passati e l’attenzione mediatica è calata, la situazione in Libia permane critica ma lo spettro di un intervento militare con la partecipazione italiana per riportare l’ordine di là del mediterraneo, è una scelta lontana.

Ci potrebbe essere un’accelerazione in tal senso solo se accadessero alcuni foschi scenari come delle rivolte incontrollabili a Tripoli e nelle altre città libiche più importanti, attentati e sequestri ai pochi italiani rimasti, lanci di missili sulle coste siciliane di “gheddafiana” memoria.

Il problema però a questo punto è trovare una soluzione alla crisi, con o senza armi, che consenta alla Libia di stabilizzarsi senza trasformarsi in una nuova Siria.

Ecco perché è di fondamentale importanza che la Comunità internazionale, insieme agli altri attori (compreso Bernardino Leon l’impalpabile inviato speciale per la Libia delle Nazioni Unite), trovino una soluzione condivisa, facendo tesoro delle lessons learning in Afghanistan, in Iraq e in Siria.

I colloqui di Leon si spera possano riuscire a portare a un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale, in uno scenario politico e sociale estremamente frastagliato.

Prima d’intervenire militarmente (direttamente o indirettamente e per un’operazione di peace enforcement più che di peace keeping), bisogna capire cos’è la Libia e com’è composta sul terreno per evitare gli errori commessi in Afghanistan, classico esempio di nation-building mancato a causa della miopia occidentale.

Bisogna anche capire chi sono gli interlocutori affidabili in questo frangente in Libia per evitare di aiutare, anche finanziariamente, la pletora di coloro i quali con la guerra ci lucrano e prolungare così, nel tempo, una situazione di crisi permanente.

E’ importante riuscire a dar corso a tutta una serie di azioni congiunte che coinvolga non solo il governo nazionale libico, ma anche i governatori locali, i capi tribù, la società civile e le autorità religiose, con l’obiettivo d’arginare l’estremismo violento dell’Isis e la sua concezione wahabita che non ha molto rispetto delle altri religioni, finanche dello stesso Islam d’ispirazione sciita.

Una visione sunnita dell’Islam con un Califfato che non tollera la presenza delle altre religioni e gli stessi sciiti. Tutto ciò (preferibilmente) senza un intervento militare occidentale per non rischiare che l’Isis, da nemico da combattere, si trasformi in strumento catalizzatore della lotta contro l’invasore e il nemico occidentale.

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