MEDIO ORIENTE FRA AUTORITARISMO E DEMOCRAZIA. Riflessioni sull’attualità.

MEDIO ORIENTE FRA AUTORITARISMO E DEMOCRAZIA. Riflessioni sull’attualità.

 

A che punto siamo? Continuare a parlare di democrazia in Medio Oriente? Alcune riflessioni sull’ultimo quinquennio.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini           

Gdeim Izik dopo le rivolte

Gdeim Izik dopo le rivolte

Le crisi esplose negli ultimi cinque anni sin dalla rivolta dei saharawi nel campo di Gdeim Izik del Western Sahara contro la monarchia marocchina nell’ottobre 2010 sino all’intero Oriente mediterraneo presentavano elementi di discontinuità rispetto a quelle precedenti.

I manifestanti chiedevano rispetto dei diritti civili, studio, sanità, lavoro, alloggio. Le proteste erano organizzate senza leader e la mobilitazione avveniva attraverso l’utilizzo di sistemi di comunicazione tipici delle nuove generazioni come twitter, facebook, social network.

Si coglievano segnali di uno scontro fra due mondi opposti: da una parte leadership autoritarie che controllavano un’economia corrotta e sistemi di sicurezza pronti a ogni abuso; dall’altra, alta percentuale di giovani, acculturati e no, disoccupati, privati di presente e futuro e senza libertà.

La rivoluzione mediatica ha agito da spinta propulsiva per trasformare le nuove generazioni in un nuovo soggetto politico: il popolo dei cittadini, portatori di diritti e non solo di doveri, consapevoli del loro potenziale. Ma non poteva essere il solo artefice.

Il vento del cambiamento che attraversava e attraversa tuttora il mondo islamico evidenzia una molteplicità di fattori, interni ed esterni, e anche l’emersione di una corrente di pensiero islamico di matrice riformista in grado di compatibilizzare elementi delle modernità occidentali con la tradizione islamica.

Esistono, infatti, autori islamici che indicano nella “metodologia evolutiva” il grimaldello per un accostamento alla legge islamica (Shari’a) non come a un immutabile testo divino ma il risultato di interpretazioni di Corano e Sunna influenzato da tradizioni e consuetudini giuridiche non islamiche. In breve, i testi sacri devono essere analizzati e compresi entro il loro contesto storico.

Gli eventi successivi sono di segno opposto.

Le proteste esplose in Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto), nella penisola araba (Siria, Iraq, Giordania, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Oman, Bahrein, Yemen) raccontano il consolidamento dei Paesi autoritari e il fallimento delle vittorie ottenute attraverso la democrazia del voto, accettato da Fratelli Musulmani e persino da salafiti aderendo alla metodologia evolutiva.

In Nord Africa, la vittoria dei Fratelli Musulmani in Marocco, Tunisia ed Egitto, spesso d’intesa con i salafiti, si chiude nel 2013 – 2014 con la sostituzione dei Premier musulmani nei Governi in Marocco e Tunisia e con il colpo di Stato militare in Egitto mentre le significative presenze dei F.M. in Algeria e Giordania restano ininfluenti.

Un francobollo della Tripolitania italiana

Un francobollo della Tripolitania italiana

In Libia, una guerra attivata da ingerenze esterne pilotate da Francia, Gran Bretagna, USA, Arabia Saudita e Qatar, ha portato il caos nel Paese, in mano a oltre 1.700 milizie e divisa in Tripolitania, Fezzan e Cirenaica, dove operano i qaedisti di Ansar al-Sharia.

Non secondario effetto negativo è la proliferazione di jihadisti che, sotto l’ombrello di Al Qaeda in the Islamic Maghreb Islamico, si sono estesi nella fascia sahelo-subsahariana fino al Corno d’Africa con attacchi in Algeria, Libia, Tunisia, Mauritania, Mali, Niger, Senegal, Nigeria – dove è attivo Boko Haram – Somalia – con i qaedisti degli Shabaab – Kenya e Uganda.

Al contrario, i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo si sono rinforzati dopo l’intervento militare in Bahrein da parte di Arabia Saudita ed EAU e la pilotata sostituzione del Presidente yemenita con l’accordo USA.

Sostituzione che comporta la rinnovata capacità operativa di Al Qaeda in The Arabic Peninsula, la rivolta dei separatisti di Aden, nel Sud, e la rivolta degli sciiti zaiditi Houthi nel Nord con il probabile supporto dell’Iran e il contrasto anche militare della confinante Arabia Saudita, fino al tentato colpo di Stato Houthi di questi giorni.

Iraq e Siria sono nel pieno della guerra civile.

A Kobane sono entrati i jihadisti dell'ISIS

A Kobane sono entrati i jihadisti dell’ISIS

L’Iraq sconta l’inadeguatezza del Premier che ha emarginato sunniti e curdi ed è caduto nelle mani di jihadisti – tra i quali si distinguono al-Nusra e Islamic State in Iraq e Sham, ora Islamic State (in arabo Daish, al Dawla al Islamiya fi al Iraq wa al Sham), che ne hanno occupato un terzo del territorio – per la maggior parte armati, finanziati e addestrati da Turchia, Paesi del Golfo, Giordania e con il supporto statunitense.

La Siria subisce il “metodo libico”: la muscolare reazione delle Forze governative all’inizio delle proteste disarmate attiva l’immediato intervento del gruppo “Gli amici della Siria”, una coalizione formata da numerosi Paesi e Istituzioni internazionali, tra cui Francia, Gran Bretagna, USA, Turchia, Paesi del CCG che, interessati alla caduta del regime, finanziano, addestrano e armano combattenti di diversa matrice fra cui alcune qaediste, fra le quali si distinguono al-Nusra – rappresentante di Al Qaeda in Iraq e Siria – e l’Islamic State, eretto a Califfato dei due Paesi, e che controlla anche un quarto del territorio siriano.

Fra gli altri gruppi jihadisti emersi dalle guerre civili in Iraq e Siria vi sono in Algeria Jund al_Khilafah, che si allea a IS, e in Siria, Khorasan, qaedista, operante anche in Libano come le Brigate Abdullah Azzam.

Immediate ricadute negative sono per Libano e Iran, che supportano la Siria inviando armi e combattenti e, in minore misura, la Giordania.

Basteranno, per fermare I.S. e le numerose organizzazioni jihadiste rinforzate da oltre 15 mila occidentali convertitisi al jihad, la superiorità militare della nuova Coalizione e i già sperimentati e fallimentari programmi di bombardamento, addestramento, fornitura di armi a curdi iracheni, opposizioni siriane “moderate” e milizie irachene ?

Questo modulo non ha funzionato in Afghanistan, Iraq, Libia, Mali, Repubblica Centroafricana, Siria. Perché non coordinarsi con l’Iran, che ha dislocato in Siria e Iraq le unità d’élite dei Pasdaran e di Al Quds?

E perché non con la Siria, dove i bombardamenti iniziati impediscono a Damasco l’utilizzo degli aerei creando, di fatto, una no fly zone, che ne depotenzia le possibilità di riprendere i territori occupati da IS e Al Nusra?

In realtà, si tratta di una precisa scelta di campo: si privilegia l’ “Asse sunnita” e si punisce la “mezzaluna sciita”, si sceglie l’Arabia Saudita e si emargina l’Iran con i suoi alleati sciiti, nonostante la loro disponibilità alla collaborazione in una guerra da loro non voluta ma che subiscono.

Mappa del Kurdistan

Mappa del Kurdistan

La Turchia, uno dei Paesi più agguerriti contro la Siria, lancia un piano per creare in Siria una buffer zone lungo il confine con la Turchia per evitare lo sconfinamento dei jihadisti dalla Siria in Turchia. Senza che Ankara precisi perché più di 900 turchi combattano nelle fila di I.S., come mai migliaia di occidentali convertiti all’Islam abbiano raggiunto Siria e Iraq attraverso la frontiera turca e quanto supporto in termini di logistica, addestramento armamento abbia assicurato all’ “opposizione moderata”, tra i quali militano anche numerosi jihadisti.

Questa zona sarebbe gestita dall’ ”opposizione moderata” e quindi sottratta a Damasco.

Si creano Paesi parcellizzati, come la Libia, serbatoi di reclutamento per i radicali, per i vecchi e nuovi gruppi di terroristi.

Intanto, la Coalizione di guerra creata per distruggere I.S. ha già fatto un danno collaterale: USA e Paesi Europei sono esposti alle ritorsioni dei terroristi, come avvenuto nei primi anni della guerra all’Iraq a Madrid, l’11 marzo 2004 e a Londra, il 7 e il 21 2005.

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