IRAN NEL MIRINO. PASSATO E PROIEZIONE

IRAN NEL MIRINO. PASSATO E PROIEZIONE

A Teheran...

A Teheran…

Gli attentati di questo tipo in Iran non si sono visti normalmente. Qualcosa accadeva al tempo dei Pahlavi, non così eclatanti o comunque non diventavano di pubblico dominio. E’ un cambiamento radicale per l’Iran. Strano che le occhiute organizzazioni antiterroristiche non ne abbiano saputo nulla! Momento particolarmente interessante. Segue una lucida analisi della situazione fatta da uno dei nostri esperti e una breve storia della Persia (Iran dal 1932).

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. la strage.

Il 7 giugno, quattro terroristi assaltano il Majlis, Assemblea parlamentare iraniana, mentre pochi minuti prima un altro commando di altrettanti jihadisti penetrano il mausoleo dell’Ayatollah Khomeini. Al mausoleo due kamikaze si fanno saltare in aria dopo aver sparato contro i presenti, il terzo ingoia una pastiglia di cianuro e il quarto è catturato vivo.

Al Majlis, i terroristi entrano dall’ingresso principale, travestiti da donne velate e aprono il fuoco contro guardie di sicurezza, deputati e visitatori, mentre uno del gruppo si fa esplodere.

Contestualmente agli eventi, Daesh diffonde sul suo sito informativo “AMAQ” il video della strage nel Majlis. I parlamentari presenti nell’edificio urlano slogan contro gli USA, poi indicati come “colpevoli” insieme all’Arabia Saudita dai Guardiani della Rivoluzione. Ucciso l’intero commando, l’antiterrorismo iraniano comunica di avere sventato un altro piano terroristico e arrestato molte persone.

Azioni coordinate e simboliche che provocano 17 morti e 52 feriti.

L’Iran in questa fase è presente nelle crisi in Iraq, Siria e Yemen, ma a differenza degli altri Paesi combatte con le armi in pugno, pagando un caro prezzo di vite umane tra i suoi uomini e quelli delle milizie alleate contro Daesh, Al Qaeda e la galassia jihadista in Siria e in Iraq. Da almeno tre decenni è sul banco degli imputati a causa dell’avversione di Israele che l’accusa di volerlo distruggere con armi di distruzione di massa.

In realtà, l’Iran ha firmato il 14/07/2015 l’accordo sul nucleare con le potenze Occidentali (il Gruppo del 5 + 1: Cina, Francia, Inghilterra, Russia e USA, membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza ONU, più la Germania) mentre Israele non ha mai aderito al Trattato di non Proliferazione nucleare anche se secondo esperti e media internazionali avrebbe tra 100 e 200 testate atomiche.

E’ possibile che Daesh stia reclutando adepti anche in Iran non solo alle frontiere orientali, dove da Pakistan Afghanistan arrivano, terroristi ma anche tra gli iraniani arabi che sono il 2% dei quasi 80 milioni di abitanti.

  1. Il commento del presidente americano sulla strage.

Il presidente Donald Trump punta l’indice contro le vittime dichiarando: “Gli Stati che sponsorizzano il terrorismo rischiano di cadere vittime del male che promuovono”.

Immediata è la replica del ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif che dichiara: “Ripugnante dichiarazione WH (Withe House).. mentre gli iraniani affrontano il terrorismo sostenuto dai clienti statunitensi”. Chiaro il riferimento all’Arabia Saudita.

Poche ore dopo, l’intelligence iraniana comunica che sta indagando su un coinvolgimento diretto dei sauditi che, dicono a Teheran, potrebbero essere stati i finanziatori dei cittadini iraniani, forse arabi sunniti tra i 20 e i 25 anni, andati a combattere a Mosul e a Raqqa in nome del Califfato e rientrati ad agosto nella Repubblica Islamica sciita con l’incarico di compiere un attacco spettacolare e simbolico. Ma, in serata, il ministro dell’intelligence, Mahmoud Alavi, precisa che “la questione è sotto inchiesta” ed è “troppo presto per affermare un coinvolgimento dell’Arabia Saudita”.

Nel giorno degli attentati, la Guardia Rivoluzionaria aveva invece accusato i sauditi ma senza mostrare prove a sostegno di questa tesi.

L’Iran si trova a fare i conti con una sicurezza interna che non si è dimostrata impenetrabile già in diverse occasioni. Negli anni passati, infatti, sono note le “morti” misteriose di scienziati impegnati nel programma nucleare nazionale che Teheran ha attribuito al Mossad, il servizio segreto israeliano.

Tel Aviv non ha mai smentito, anzi in qualche modo le aveva avvalorate riferendo il ruolo svolto dall’ex capo del Mossad, Mair Dagan, nel portare a termine operazioni volte a “impedire a Tehran di dotarsi di armi atomiche”.

Comunque, il giorno 8 giugno, l’intelligence iraniana comunica i tanti attentati che avrebbe sventato in varie parti del Paese ma il fatto che miliziani di Daesh siano riusciti a colpire nel cuore della capitale, lascia immaginare la presenza di basi ben organizzate di “cellule dormienti” e prevede nuovi attacchi. In altri termini, è anche presumibile la presenza di infiltrati locali che avrebbero provveduto all’armamento e facilitato l’ingresso dei jihadisti.

Quando, due giorni dopo il doppio attacco di Daesh nella capitale iraniana, migliaia di persone si ritrovano per commemorare le 17 vittime gridano slogan contro l’Arabia Saudita, considerata la “mandante” degli attacchi.

Secondo il ministero dell’intelligence invece ad agire sono stati cinque cittadini iraniani, rientrati nel Paese dopo aver combattuto nelle file di Daesh in Iraq e Siria, aggiungendo: “Non possiamo ancora dire se l’Arabia Saudita abbia avuto un ruolo”. Di certo sono già 41 gli arrestati in diverse province dell’Iran per sospetti legami con Daesh. Secondo Tehran, stavano pianificando un altro attacco.

  1. Un passo indietro nella storia.

L’Iran è erede dell’impero persiano e dell’intricata storia dei suoi rapporti con il mondo arabo oltre un millennio fa, le conquiste territoriali, i nuovi imperi, le conversioni religiose, l’Islam di obbedienza sciita o sunnita.

Il rapporto tra Iran sciita e Arabia Saudita sunnita parte con l’espansione territoriale dell’Islam e la conquista dell’impero persiano che, fino alla metà del V secolo d.C., si estendeva dal corso dell’Indo a Est alla penisola anatolica a Ovest e, dal Nord al Sud, dal Caucaso alle sponde dell’Africa.

L’impero persiano era retto dalla dinastia Sasanide attraverso un sistema amministrativo che concedeva autonomie e un sistema di caste separate formate da guerrieri, sacerdoti, grandi burocrati e scrittori che sottomettevano il popolo.

La principale religione era lo Zoroastrismo ma ci sono anche testimonianze della diffusione del cristianesimo soprattutto riguardo l’eresia nestoriana, che negava l’attribuzione divina alla figura di Cristo. Molti zoroastriani si convertirono al nestorianismo, comprese intere tribù uigure, antenate remote degli uiguri che vivono nella Cina occidentale e oggi praticano la religione islamica.

Le prime scosse all’impero Sasanide vennero dall’Occidente: l’imperatore di Bisanzio, Flavio Eraclio, dopo aver subito dai Sasanidi la conquista di Calcedonia (antica città vicino a Costantinopoli) nel 616, mosse contro l’impero persiano, che nel frattempo aveva occupato anche l’Egitto.

Eraclio, tra il 622 e il 627, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Anatolia e l’Armenia, sconfisse i persiani nei pressi dell’antica Ninive (e della Mosul di oggi). La battaglia di Ninive ebbe anche un’interpretazione singolare: poiché il Corano considera comunque i cristiani discendenti della comune stirpe di Abramo e sebbene si sia trattato di una vittoria bizantina sui persiani Sasanidi ritenuti al contrario “pagani”, i testi dell’Islam considerano la battaglia come “vittoria dei credenti”.

A queste vicende seguì la conquista vera e propria dell’impero persiano da parte dell’Islam che si attuò dal 632 al 650 d.C., periodo in cui avvengono la morte di Maometto a Medina nel 632 e la lotta alla successione di una carica politica e religiosa.

La maggior parte dei suoi seguaci appoggiò allora Abu Bakr, amico del Profeta e padre della moglie Aisha. Una minoranza invece, avendo sostenuto Alì, cugino e genero di Maometto, assunse in seguito la denominazione di “shiiat Alì (seguaci di Alì).

Nella battaglia di Kerbala del 680 (oggi in Iraq) i seguaci di Alì furono massacrati dalle truppe del califfato sunnita e la spaccatura divenne sempre più marcata.

Le lotte per il potere del califfato furono contemporanee alle grandi guerre di espansione: mentre le truppe del califfo raggiungevano l’Azerbaigian, dopo aver sottomesso la Persia, nel 644 scoppiò anche la rivolta persiana contro gli arabi che sarebbe durata più di cinque anni, cioè fino alla morte dell’ultimo discendente della dinastia dei Sasanidi.

Nonostante queste vicende sembrino oggi oggetto di mera erudizione, la loro eredità vive ancora nelle memorie dei popoli islamici. Il grande impero persiano si dissolse per la sconfitta militare e politica, ma fu la cultura iraniana a dare una svolta all’Islam – soprattutto nell’arte di governare – permettendo nuove conquiste, ivi compresa quella della penisola Anatolica (oggi la Turchia), che avrebbe dato origine all’impero ottomano, ma anche di parte dell’India.

Sull’altro versante, all’interno dell’Iran, chi sottolinea che la fede musulmana costituì la grande svolta non manca di osservare che l’accettazione dell’Islam in Persia non significa affatto quella della cultura araba.

  1. Proiezione del futuro prossimo.

Il Medio Oriente si va espandendo sino al Golfo arabico, con ricadute in grado di investire non solo i precari equilibri regionali ma anche sui costi petroliferi dell’Occidente.

Sul campo vi sono Riad contro Doha ma la vera posta in gioco non è il problema del terrorismo secondo le accuse lanciate al Qatar da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto che gli addebitano il sostegno a organizzazioni terroristiche, da Hamas palestinese a non meglio specificate branche di Al Qaeda e, addirittura, a Daesh almeno fino al 2014. La vera posta in gioco è la leadership del mondo sunnita in funzione anti-Iran.

Nel mirino del “fronte saudita”, sostenuto apertamente dal presidente americano nel summit di Riad del 18 maggio scorso, c’è anche la politica, considerata troppo autonoma e aperturista seguita dal Qatar non solo nei confronti dell’Iran ma anche nelle relazioni commerciali, economiche e politiche con l’Europa.

Quella in atto è anche una “guerra mediata”: “Al Arabiya” (saudita) contro “Al Jazeera” (catariota) sono impegnate h.24 a propagandare le rispettive e confliggenti “verità”.

Già adesso, la “guerra delle petrolmonarchie” del Golfo ha due teatri dove esercitarsi: Siria e Yemen. Una guerra di cui, soprattutto dopo il duplice attacco terroristico a Tehran, è entrato a far parte il “califfato” di Abu Bark al Baghdadi (Daesh).

L’Arabia Saudita ha il terzo budget militare al mondo, accresciuto peraltro con i contratti per la fornitura di armamenti (110 mld di dollari) stipulati dal presidente USA e re Salman il 18 maggio scorso. A fianco di Riad s’è subito schierato l’Egitto di Abdel – Fattah al Sisi, le cui commesse militari sono pagate in buona parte con i dollari emiratini.

Il ricchissimo Qatar fa gola a molti e destabilizzarlo può ripristinare le casse dei Paesi, come l’Egitto, alle prese con una gravissima crisi economica che potrebbe sfociare in una rivolta di popolo.

Recep Tayyp Erdogan, forte della sua presenza nella NATO (dove è il secondo esercito) ha scelto Doha.

Nei giorni scorsi, il parlamento turco approva la legge che sancisce un accordo fra Erdogan e il sovrano del Qatar Tamin bin Hamad al –Thani, che fu il primo a manifestagli il sostegno dopo il fallito golpe del luglio 2015.

La legge prevede che i soldati di Ankara possano essere dispiegati in una base vicino a Doha e impegna i due Paesi a un “mutuo soccorso” in caso di aggressioni esterne.

Erdogan ratifica la legge nella notte dell’8 giugno ed è pronto a schierare un contingente di 5 mila soldati e addestratori, che potrebbero aumentare a 15 mila. Ankara, nel Medio Oriente, sostiene diversi movimenti dell’Islam politico come i Fratelli Musulmani e Hamas, ha cordiali rapporti con l’Iran, dove il capo della diplomazia, Mevlut Cavusoglu, è stato in visita in piena crisi catariota.

Il sostegno di Ankara è anche sull’aspetto economico: gli investimenti del Qatar in Turchia ammontano a 1,5 mld di dollari e compagnie turche hanno ottenuto contratti per più di 13 mld di dollari per progetti in vista della Coppa del Mondo di calcio prevista nel 2022.

Nel frattempo, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein hanno inserito 59 persone e 12 organizzazioni nella “lista nera” a causa “delle loro attività di finanziamento al terrorismo” e per le quali godrebbero del sostegno del Qatar.

Il 5 giugno, 4 Paesi hanno interrotto i rapporti diplomatici con Il Qatar, accusato di sostenere le organizzazioni terroristiche e di destabilizzare la situazione in Medio Oriente. A loro si sono aggiunti: Libia, Yemen, Maldive, Mauritius e Mauritania.

Senegal e Ciad hanno richiamato i loro ambasciatori. La Giordania ha abbassato il livello dei contatti diplomatici.

In ogni caso, Medio Oriente e l’intero Golfo arabico non saranno più gli stessi.

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Un poliziotto affacciato a una finestra del parlamento iraniano (TIMA via REUTERS)

Un poliziotto affacciato a una finestra del parlamento iraniano
(TIMA via REUTERS)

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