Iraq: odio religioso e contrapposizione etnica. Soluzioni e nuovi scenari.

Iraq: odio religioso e contrapposizione etnica. Soluzioni e nuovi scenari.

Iraq-Iran

Iraq-Iran

Una lucida e chiara sintesi riassuntiva dell’attuale situazione in Iraq

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La contrapposizione tra sciiti e sunniti in Medio Oriente è alla base degli attuali tragici accadimenti in molti paesi, tra cui la Siria e, soprattutto l’Iraq? Sì.

Da qualche tempo oramai la primavera araba siriana -se mai c’è stata- si è trasformata in una vera e propria guerra che ha oltrepassato i confini nazionali divenendo, di fatto, uno scontro regionale.

Il regime alawita di Bashar al Assad è sostenuto dagli iraniani e dagli Hezbollah, entrambi di derivazione sciita, mentre i ribelli sunniti possono contare sull’aiuto dei Paesi del Golfo e dei gruppi jihadisti che -con una forzatura- possiamo definirli dei salafiti intransigenti ed eversivi.

Tutti i Paesi del Golfo sono governati dai sunniti, tranne uno l’Iraq, erede seppur umiliato dalla spartizione coloniale, dell’antica Mesopotamia.

La popolazione irachena è prevalentemente sciita, anche se l’esatta composizione è sconosciuta, alla luce anche del massiccio afflusso di profughi siriani sunniti che potrebbero avere in qualche modo modificato le percentuali.

Azzardando delle cifre, gli sciiti dovrebbero attestarsi tra il sessanta e il sessantacinque per cento della popolazione musulmana, con i sunniti che raggiungono quota trentacinque per cento.

I sunniti sono concentrati nella parte occidentale dell’Iraq, confinante con la Siria, la Giordania e l’Arabia Saudita, mentre gli sciiti popolano prevalentemente la regione  sud-orientale che segue il confine con l’Iran.

Completa il mosaico religioso una composita minoranza cattolica (di rito caldeo, latino, siro e armeno), gli jazidi, i mandei di origine gnostica ed ebrei che, tutti insieme, costituiscono il cinque per cento di tutta la popolazione irachena.

Infine, ci sono i curdi che rappresentano il venti per cento della popolazione e che sono stanziati nel nord del Paese al confine con la Turchia e l’Iran settentrionale, senza dimenticare un cinque per cento di turkmeni ed assiri. Non c’è che dire: un bel pout pourri di razze e religioni!

L’Iraq, un paese con i confini disegnati sulla carta geografica post coloniale (accordi Sykes-Picot del 1916) e creato con l’intento di renderlo un territorio da sfruttare per il petrolio a tutto vantaggio di alcune multinazionali e, per converso, di alcuni paesi occidentali, sorprendentemente si è dimostrato capace di funzionare come Stato meglio di tutti gli altri nella regione.

E per colpa del petrolio il regime dittatoriale di Saddam Hussein s’è incattivito, con i risultati noti a tutti.

Il conflitto che, dopo la caduta del dittatore e il fallimentare intervento occidentale sta dilaniando l’Iraq, si combatte lungo i vari confini di separazione tra le correnti religiose, con i militanti sunniti dell’Isis in lotta contro il Governo centrale sciita.

E’ indubbio che l’Iraq sia la patria degli sciiti, ancor più dell’Iran: prova ne è la presenza dei più importanti luoghi di culto in molte città sante irachene tra cui Najaf e Kerbala. A Kerbala c’è il santuario a ricordo del martirio del terzo Imam sciita al-Husayn ibn Ali.

Contrapposizione tra sunniti e sciiti che risale alla morte del profeta Maometto e che si è incancrenita nel corso dei secoli, sino a manifestarsi violentemente in questi ultimi tempi, condizionando e in qualche modo accumunando il destino dei due paesi, culle della civiltà araba.

A causa di visioni contrapposte sulla discendenza di Maometto i sunniti, che rappresentano la maggioranza dei musulmani, considerano gli sciiti degli eretici.

Per contro, gli sciiti non vedono di buon occhio l’estremismo sunnita, in particolare il salafismo e il wahabismo.

Comunque sia, nonostante numerose crisi, sino a oggi gli sciiti non si sono mai scontrati tanto duramente quanto i cristiani europei durante la guerra dei trent’anni (1618-1648).

Nel corso dei secoli, l’Islam ha sempre dovuto affrontare il problema delle divisioni e delle sette, della contrapposizione tra le opposte fazioni, dei violenti scontri all’interno dell’umma.

Con i successori di Maometto, in particolare con il Califfo Alì, iniziano i problemi all’interno dell’Islam.

La battaglia di Siffin del 657, segna la rottura dell’unità politica e religiosa dell’impero musulmano e certifica la nascita delle tre “famiglie” dell’Islam.

I sunniti considerano legittimo ogni sovrano musulmano che non sia contrario al Corano e alla Sunna, ma non riconoscono i membri della discendenza di Alì, genero del Profeta, quali legittimi califfi.

Lo sciismo incarna l’attesa dell’ora del giudizio facendo perno, come evidenziato da Jules Ries, …”sul culto dell’imam nascosto e sul suo ritorno glorioso alla fine dei tempi…“.

Nei secoli gli sciiti si sono suddivisi in varie sette e lo sciismo di confessione inamita è divenuto la religione ufficiale dell’Iran.

Anche se meno indicativa delle altre due, e per la verità dimenticata in molti libri di storia, la terza famiglia dell’Islam è quella dei kharigiti, partigiani di Alì, cui non perdonarono però la rinuncia di Siffin, trasformandosi ben presto in acerrimi nemici.

La tragicità degli avvenimenti in Siria e in Iraq, con le brutalità e la costante violazione dei diritti umani, non risiede tanto nell’intensità degli scontri, quanto nella perpetuazione della lotta, in uno scenario incancrenito, magmatico e difficile da decifrare.

In questi ultimi decenni la contrapposizione tra sciiti e sunniti è aumentata d’intensità. A far data dalla rivoluzione khomeinista iraniana del 1979, è accresciuto l’odio dei sunniti nei riguardi della “mezzaluna sciita”, che comprende la Siria e l’Iraq, sino ad arrivare agli Hezbollah in Libano.

E i paesi guida, l’Iran per gli sciiti e l’Arabia Saudita per i sunniti, di prepotenza, direttamente o indirettamente, finanziariamente o militarmente, sono entrati a gamba tesa nelle questioni interne siriane e, soprattutto, irachene.

Dagli anni ottanta a oggi la storia dell’Iraq continua a caratterizzarsi per una forte instabilità politica a causa di un susseguirsi di tragici accadimenti senza soluzione di continuità, dagli otto anni di guerra di Saddam Hussein contro l’Iran di Khomeini dal 1980 al 1988, l’invasione del Kuwait, la prima guerra del Golfo, la fine di Saddam Hussein, il ritiro degli americani, la rivalsa degli sciiti contro i sunniti, l’Isis e la creazione del Califfato con il controllo di parte del territorio iracheno e siriano.

Quale soluzione per un Iraq pacificato? Difficile a dirsi, ancor più a realizzare. Alla lunga si possono intravedere alcune strade da seguire.

La prima, tenuto conto della decisa volontà della maggioranza sciita di mantenere il potere, dei curdi di lottare per la loro autonomia sia contro l’Isis e sia contro Baghdad, stante l’odio confessionale tra gli sciiti e i sunniti, potrebbe essere quella di ritornare alle origini della Mesopotamia lasciando ai curdi, agli arabi sunniti e agli sciiti la possibilità di vivere separati.

L’altra opzione per interrompere la disgregazione del Paese, è quella di un intervento da parte dei paesi capitalisti e delle potenze regionali per cercare d’imporre uno status quo, una riedizione di quanto già visto, possibilmente non così fallimentare.

Una terza via, la meno traumatica, è quella di cercare una formula di convivenza pacifica all’interno degli attuali confini dell’Iraq, attraverso lo sviluppo di una valida strategia     politico-economica in grado di portare dei benefici a tutta la popolazione.

La sfida è quella di cercare d’unire i diversi interessi e le molteplici identità di un popolo, a prescindere dal credo religioso e dall’appartenenza etnica.

Mantenere un Iraq unito e stabile potrebbe essere d’aiuto e di buon auspicio per una soluzione pacifica della guerra in Siria, con riverberi positivi nella vicina Turchia, in Libano e finanche in Giordania.

www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

Bashir Al Asad

Bashir Al Asad

Comments are closed.