SINAI: IL LATO OSCURO DELL’EGITTO. Una base dell’estremismo islamico.

SINAI: IL LATO OSCURO DELL’EGITTO. Una base dell’estremismo islamico.

 

La penisola del Sinai

La penisola del Sinai

L’Egitto è vitale nel controllo della sponda sud del Mediterraneo: lo è sempre stato. Oggi ancor di più per evitare che tutto l’Egitto e la regione finisca totlmente in mano all’ISIS. Un lucido articolo di analisi geopolitica.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini 

Il Sinai, da sempre terra inospitale con poche risorse e abitata da beduini, è oggi divenuta una base dell’estremismo islamico, del terrorismo, del contrabbando d’armi, del commercio di droga, del traffico d’immigrati provenienti dall’Africa.

Un territorio strategico per la sua posizione di congiunzione del Mar Rosso e della regione dell’Alto Nilo con il Mediterraneo, perso dall’Egitto e conquistato da Israele durante la guerra dei sei giorni nel 1967, ritornato all’Egitto nel 1978 in virtù degli accordi di Camp David che costarono la vita, da lì a qualche anno, al Presidente el Sadat.

Ai piedi del Monte Sinai

Ai piedi del Monte Sinai

Una penisola poco considerata e maltrattata dalle autorità centrali egiziane, quasi dimenticata, esclusa dai piani di ammodernamento e di sviluppo, in cui prevale, più che in altre zone, il sentimento tribale.

Sono una dozzina le tribù che vivono nel Sinai, al nord tra le più importanti ci sono la Sawarka e la Tarabin, mentre al sud spicca la Muszeina. Per tutti i membri, soprattutto nel periodo di Mubarak, vigeva il divieto (ancor oggi c’è un ostracismo occulto) di accedere alle cariche pubbliche, di lavorare nella pubblica amministrazione e di arruolarsi nell’esercito. Ecco perché è tuttora pervasiva la diffidenza nei confronti dell’esercito egiziano non percepito, come nel resto del paese, quale collante della società.

A seguito della rivoluzione del 2011 e la caduta di Mubarak, il Sinai è divenuto una sorta di terra nullius ed abbandonato a se stesso.

L’inevitabile confusione “istituzionale” creatasi nei primi mesi del 2011 susseguenti la rivoluzione, ha investito la Polizia di Frontiera ed i corpi antisommossa del Sinai che si sono trovati allo sbando e con una ridotta capacità operativa a causa della rimozione dei vertici e nefaste ristrutturazioni.

Un aggravamento della situazione d’insicurezza, peraltro già presente a causa della mancanza di un esercito egiziano stanziale nel Sinai in base agli accordi di Camp David, con l’attività di controllo del territorio demandata alla missione di osservazione delle Nazioni Unite, la    MFO – Multinational Force and Observers.

Durante l’anno di presidenza Morsi e dei Fratelli Musulmani, i movimenti islamisti hanno trovato terreno fertile per svilupparsi nel Sinai, in particolare il gruppo Ansar Beit al Maqdis (i Partigiani di Gerusalemme) che si caratterizza, oltre che per un jihadismo globale, anche per un forte legame territoriale assurgendo al ruolo di portavoce delle istanze locali contro l’autorità centrale de Il Cairo.

Ansar Beit al Maqdis, che ha aderito recentemente allo Stato Islamico ed in virtù di tale alleanza ha cambiato il nome da “Partigiani di Gerusalemme” a “Wilayat Sina‘ – Regione del Sinai”, ha anche legami con al Qaida (oggi più forti con il leader egiziano Ayman al Zawahiri rispetto ai tempi di Osama Bin Laden).

Questo gruppo jihadista, militarmente e tatticamente preparato, è l’ultimo di una serie di nuovi gruppi, tra i quali Gamaa Ansar al Sharia (gruppo dei partigiani della Sharia), al Taliiah al Salayyah al Mujahedyah ansar al Sharia (l’avanguardia combattente salafita dei partigiani della Sharia), a cui si aggiungono numerose altre formazioni “storiche” come al Gamaa al Islamiyya, Jamaat al Tawhid wal Jihad, le Brigate Abdullah Azzam, da anni attive nella regione e che in passato hanno compiuto molti attentati, anche a siti archeologici e turistici.

La presenza salafita in poco tempo si è molto rafforzata, riuscendo ad attrarre a sé molti combattenti provenienti non solo dalle altre zone dell’Egitto, ma anche dalla Tunisia, dalla Libia, dalla Giordania e dallo Yemen.

il Presidente Al Sisi

il Presidente Al Sisi

Il Sinai è una testa di ponte per compiere atti terroristici contro il nemico dichiarato Israele, potendo sfruttare una linea di confine di oltre duecento chilometri più altri quindici lungo la striscia di Gaza.

E’ molto difficile poter quantificare il numero dei miliziani che agiscono in questi gruppi, in queste katiibe (battaglioni), di certo però sono ben addestrati ed equipaggiati con armi controcarro, mortai, mitragliatori e missili.

La situazione nella penisola è rapidamente degenerata in concomitanza con la caduta di Morsi che ha portato in dote numerosi attacchi alle stazioni di Polizia, alle caserme, ai checkpoint, alle colonne di mezzi militari.

Autobombe, razzi e mortai hanno causato molte vittime ed insanguinato El Arish, Sheikh Zuweid, la parte egiziana di Rafah, sino ad arrivare alla città di Suez.

L’elezione del Presidente el Sisi segna l’inizio della guerra (che continua) al fondamentalismo per ripristinare l’ordine e la sicurezza. Mesi di duro coprifuoco ed operazioni militari sono stati accompagnati da annunci di piani di sviluppo economico e di aiuto alla popolazione del Sinai per contenere il diffuso malcontento e, soprattutto, per cercare di bloccare il facile proselitismo dei jihadisti in una contrapposizione tra i buoni e cattivi, tra la fratellanza musulmana e l’esercito.

Oggi in tutta la regione il coprifuoco permane, è stata costruita una zona cuscinetto di quindici chilometri con la Striscia di Gaza, le città e i villaggi più grandi sono militarizzati, la tensione è sempre alta.

Recentemente, per la prima volta dal 1978, è stato schierato un contingente dell’Esercito a cinquanta chilometri dalla Striscia di Gaza (con il beneplacito di Israele fortemente preoccupato per la situazione), fornito di carri armati e veicoli cingolati, protetto da elicotteri da combattimento.

La mano ferma di el Sisi sembra non aver portato -sino ad ora- gli effetti sperati nel Sinai, e la messa al bando dei Fratelli Musulmani ha rivitalizzato le frange più estreme.

Per cercare di arginare tutto ciò è stata ordinata l’evacuazione di Rafah ed el Sisi s’è affrettato a ribadire, a più riprese, che il governo è impegnato per lo sviluppo e la protezione della regione.

Protezione del Sinai necessaria per controllare l’esplosiva situazione nella striscia di Gaza, per monitorare il delicato confine con Israele, per proteggere il Canale di Suez.

I militari egiziani, pur avendo distrutto la maggior parte dei tunnel sotterranei che collegano l’Egitto con la striscia di Gaza, lasciando in funzione solo alcuni per consentire il passaggio di medicinali e materiali di prima necessità a favore degli abitanti di Gaza, temono che l’estremismo palestinese di Hamas possa unirsi a quello egiziano in una miscela altamente esplosiva.

Un combinato disposto tra estremismi che potrebbe avere delle negative ripercussioni sull’accordo di pace tra l’Egitto ed Israele, sulla stabilità della linea confinaria e sul controllo dei gasdotti.

Un'antica cartolina del canale di Suez

Un’antica cartolina del canale di Suez

La sicurezza del transito delle navi nel Canale di Suez è vitale per l’Egitto, soprattutto in questi tempi con l’avvio dei lavori di un ambizioso piano di ammodernamento ed ampliamento dal costo di milioni di dollari.

Perdere il controllo dei 193 chilometri del Canale significa perdere la più importante fonte di guadagno per le casse egiziane ed azzerare la lenta ripresa del turismo; un colpo mortale per la disastrata economia egiziana alla ricerca di aiuti e supporto estero, come s’è visto nella conferenza di metà marzo a Sharm el Sheik dal titolo emblematico misra almustakbal (l’Egitto del futuro).

Avere problemi con il Canale di Suez significa anche ricevere uno smacco alla credibilità internazionale di una nazione che vuole tornare ad essere considerata leader nella regione mediorientale e subire uno scossone, forse irreversibile, alla già precaria stabilità interna.

Protezione del Sinai necessaria – in una visione più ampia – anche per meglio assicurare il controllo delle frontiere con la Libia e impedire che il flusso di miliziani ed armi, peraltro già esistente, possa degenerare.

 

Il Presidente egiziano Gamal Abd el Nasser che nazionalizzò il Canale di Suez nel 1956

Il Presidente egiziano Gamal Abd el Nasser che nazionalizzò il Canale di Suez nel 1956

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