YEMEN. UN’ALTRA GUERRA.L’invasione saudita dello Yemen

YEMEN. UN’ALTRA GUERRA.L’invasione saudita dello Yemen

Una analisi dinamica di quanto sta succedendo in queste ore Yemen. E’ guerra                                                                                                                                                                                  

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Alle ore 23,00 del 25 marzo, l’Arabia Saudita invade lo Yemen con 100 aerei e 150 mila truppe di terra, il supporto logistico e d’intelligence degli USA e una “Coalizione” alla quale partecipano i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (con Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar), Egitto, che ha preparato forze aree, navali e terrestri, Giordania, Pakistan e Sudan.

Una panoramica della capitale yemenita Sana'a

Una panoramica della capitale yemenita Sana’a

Gli attaccanti dichiarano di agire “per difendere il Governo legittimo “ del Presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, dimessosi dopo il colpo di Stato degli Houthis che avevano preso il potere a Sana’a e nominato il loro leader, Zaidi Shia, alla guida del Paese.

Gli aerei sauditi bombardano la capitale e l’aeroporto e proseguono la missione a Nord attaccando la base aerea degli Houthis, depositi di armi e postazioni radar, mentre a Sud forze leali ad Hadi riconquistano l’aeroporto di Aden preso il giorno prima dagli Houthis rinforzati da una parte dell’Esercito ancora fedele all’ex Presidente Alì Abdullah Saleh.

Il Presidente Hadi, fuggito da Sana’a dove era agli arresti domiciliari e rifugiatosi ad  Aden, abbondona il Palazzo Presidenziale prima dell’assalto degli Houthis della mattina del 25 e sarebbe riparato in Arabia Saudita.

Gli Houthis, ancora forti al Sud grazie all’appoggio dei miliziani di Saleh riuniti nell’ “Alto Comando della Difesa”, costringono al ritiro le milizie tribali sunnite dei “Popular Resistance Committees” e al momento hanno ancora il controllo dell’accesso al Mar Rosso e al Canale di Suez, vie di transito della maggior parte del traffico petrolifero per l’Europa.

L’Iran non resterà a guardare.

C’è ormai un’altra guerra che si estenderà anche oltre la Regione.

Gli Houthis yemeniti

Gli Houthis yemeniti

Le cause della guerra

Gli irrisolti conflitti tribali e gli scontri tra sunniti e la minoranza sciita emarginata pur costituendo il 40% della popolazione si sommano a due fattori strutturali e a una crescente minaccia di matrice qaedista:

  • una condizione socio-economica disastrosa esplosa nella rivolta del 2011 e persino peggiorata;
  • la pervasiva interferenza di Arabia Saudita, leader del sunnismo wahabita e guida del Consiglio di Cooperazione del Golfo, e sul fronte opposto l’Iran, interprete dello sciismo teocratico e punto di riferimento di minoranze e Paesi della stessa corrente;
  • l’alto livello militare di Al Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP) in grado di eseguire attentati nella capitale, nelle città maggiori e nei siti istituzionali dal Nord al centro del Paese.

I prodromi

Accade che dal secondo semestre 2014, gli Houthis dalla roccaforte di Sa’ada, nel Nord del Paese al confine con l’Arabia Saudita, si muovono verso la capitale insediandosi in villaggi e cittadine dove impongono la loro Autorità, incuranti del Governo centrale e delle tribù locali.

Il leader degli Houtis è Abdel Malik al-Houthi, fratello di Hussein al- Houthi, che ha dato nome al movimento nato nel 1990 e da allora in lotta con il Governo.

Il gruppo è in realtà una corrente minoritaria dello sciismo chiamata Zaydismo, da Zayd bin Alì, pronipote del Profeta Maometto e venerato dagli Zayditi come 5° imam illuminato.

L’intervento dell’ONU richiesto e ottenuto dal Presidente Hadi favorisce l’Accordo del settembre 2014 che prevede la partecipazione della componente Houthi nel processo decisionale governativo. In realtà, l’Accordo non viene mai reso esecutivo e gli stessi “Consiglieri” selezionati dal Presidente vengono ignorati.

Nel gennaio 2015 la situazione precipita. E’ Abdel Malik a guidare l’assalto al Palazzo Presidenziale e alle sedi Istituzionali della capitale insediandovi le sue milizie.

Il Presidente Hadi presenta le dimissioni e poco dopo è posto agli arresti domiciliari mentre i componenti del Governo sono richiesti di eseguire gli ordini impartiti dagli Houthis. Da allora gli Houthis militarizzano Sana’a e inviano nelle città vicine gruppi combattenti per imporre la loro autorità.

Il Consiglio di Sicurezza ONU chiede con una Risoluzione il ritiro degli occupanti dalle sedi Istituzionali e l’avvio di un altro negoziato.

Il Presidente Hadi riesce a fuggire e ripara ad Aden, ritira le dimissioni e chiede ai membri del suo Governo di ricomporre ad Aden, nominata capitale del Paese, l’Esecutivo di Sana’a.

Hadi lancia poi un appello a tutti i Partiti interessati alla sicurezza e all’integrità dello Yemen a partecipare a un dialogo in “un luogo neutrale”.

Gli Houthis accettano solo Sana’a come sede dei colloqui minacciando in caso contrario di boicottare l’invito.

Arabia Saudita e poco dopo Emirati Arabi Uniti e Kuwait traferiscono le rispettive Ambasciate ad Aden, appoggiano la legittimità del Presidente Hadi in Aden e, su iniziativa degli EAU, ribadiscono il rifiuto del colpo di Stato messo in atto dai ribelli sciiti nel Paese.

In realtà Hadi non indica mai né la data del Vertice né quali esponenti politici dovrebbero raggiungerlo ad Aden.

Nei fatti, il Paese è ora diviso in tre parti:

  • Area Centro-Nord ai ribelli controllati dagli Houthis, arrivati fino alla sunnita Taez;
  • zona a Sud di Sana’ a maggioranza fedele al Presidente Hadi;
  • Aden, con una minoranza indipendentista non fedele al Presidente, presenta Forze armate divise: il Ministro della Difesa, generale Mahmoud Subahi, scappato dagli arresti domiciliari impostigli nella capitale, raggiunge Aden; il Comandante delle Forze Speciali, Abdel Hafez al-Saqqaf dichiara la fedeltà agli Houthis pochi giorni addietro tenta un’insurrezione per assumere il controllo totale dell’ Esercito ma è bloccato dalle truppe del Sud fedeli ad Hadi.

In questo quadro, è AQAP a far sentire la voce con attacchi contro posti di blocco degli Houthis nelle province di Habyan e Shabwa.

Il 20 marzo due kamikaze si fanno esplodere nelle moschee Badr e al-Hashoosh, frequentate dagli sciiti, nella capitale, e provocano la morte di 142 persone e centinaia di feriti. La strage è rivendicata dall’ ”Islamic State of Iraq and Sham” (ISIS), che vuole segnalare la sua anche nello Yemen.

Non è l’Esercito, ma AQAP a rispondere a ISIS, dal quale ha preso la distanza.

E risponde a modo suo: due giorni dopo l’assalto alle moschee, i qaedisti di AQAP attaccano nel sud, la città di Houtha, a 30 km da Aden, distruggendone uffici governativi e d’intelligence e uccidendo 20 soldati per ripiegare all’arrivo dell’Esercito fedele ad Hadi.

Contemporaneamente all’azione di AQAP, gli sciiti si scontravano a Nord con i miliziani delle tribù sunnite fra le province di Marib e al-Baydha.260px-Yemen-map

Il futuro prossimo

Alla frontiera Nord con l’Arabia Saudita si sono ammassati migliaia di combattenti delle tribù alleate agli Houthis.

Attraverso il Ministro degli Esteri, l’Iran condanna l’attacco che complicherà la situazione allontanando la soluzione attraverso mezzi pacifici e chiede la cessazione dei raid aerei contro il Paese e la popolazione.

Più duro è l’intervento della Siria che definisce l’attacco una violazione di tutte le leggi internazionali e la violazione della sovranità yemenita.

Russia e Cina invitano a risolvere la crisi con mezzi politici. E torna a farsi sentire Saleh, zaydita, che offre il suo sostegno al Paese.

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