Iran: il 2015 sarà l’anno dell’accordo sul nucleare?

Iran: il 2015 sarà l’anno dell’accordo sul nucleare?

Il dialogo continua tra Iran e USA ma…..la situazione muta sempre velocemente soprattutto in questo ultimo periodo con molti scenari internazionali in fermento

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il Presidente della Repubblica Islamica Iraniana, Hassan Rohani (Foto Irna)

Il Presidente della Repubblica Islamica Iraniana, Hassan Rohani (Foto Irna)

L’anno 2014 si è chiuso con molte aspettative per una “rapida” conclusione della oramai più che decennale questione del nucleare iraniano.

Il Vertice di Vienna dello scorso mese di novembre ha virtualmente sancito la chiusura di un lungo negoziato iniziato con l’Accordo di Ginevra del 20 novembre 2013 e proseguito con un intenso dialogo tra Teheran e Washington costellato da scambi epistolari e telefonici tra il Presidente americano Obama, l’Ayatollah Ali Khamenei e il Presidente iraniano Rouhani.

Il tavolo di Vienna con l’Iran e i cinque membri permanenti delle Nazioni Unite, Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina con l’aggiunta della Germania, non ha però portato a un accordo finale, bensì a un’ulteriore estensione dei colloqui sino al mese di luglio 2015. I prossimi sei mesi saranno quelli risolutivi?

La questione si trascina dal 2002, anno in cui le autorità iraniane iniziarono a comprendere quanto fosse necessario trovare un accordo con l’Occidente per dipanare dubbi e sospetti su un utilizzo del programma nucleare per scopi non pacifici e, nello stesso tempo, evitare la sindrome dell’accerchiamento.

In questi anni la speranza di un accordo si è più volte alternata con il gelo nelle relazioni diplomatiche. I primi tempi hanno visto l’assenza degli Stati Uniti al tavolo del negoziato, sopperita dall’attivismo della Gran Bretagna, della Francia e della Germania.

L’inizio di una primavera nelle relazioni tra Teheran e Washington è coincisa con la presidenza iraniana del riformista Mohammed Khatami, cui però ha fatto seguito un freddo inverno con l’avvento al potere di Ahmadinejad e la sua decisione di continuare il programma nucleare.

L’ostilità crescente di Ahmadinejad nei confronti dell’occidente e di Israele, ha accelerato la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di imporre le sanzioni economiche all’Iran con le risoluzioni 1737, 1747 e 1835.

La Guida Suprema, Ali Khamenei

La Guida Suprema, Ali Khamenei

Sanzioni economiche che hanno condizionato i successivi rapporti tra le nazioni ed hanno favorito l’ingresso al tavolo dei negoziati della Cina e della Russia, quest’ultima sempre particolarmente critica nei riguardi della politica estera americana.

Nonostante il gelo, gli Stati Uniti hanno continuato il dialogo con l’Iran, anche indirettamente attraverso l’intermediazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – AIEA.

I buoni propositi ben presto hanno lasciato il posto, come sempre accade, alla real politik. Al fallimento di ogni mediazione europea e russa ha corrisposto un aumento delle sanzioni economiche con effetti sempre più devastanti per l’economia iraniana e, soprattutto, per la vita quotidiana delle fasce meno protette della popolazione.

Anche la successiva mediazione della Turchia e del Brasile non ha avuto esito positivo per tutta una serie di motivi: per l’intransigenza degli americani e degli europei nei confronti del programma nucleare, per l’insistenza iraniana di una riduzione delle sanzioni economiche e per il tentativo di guadagnare tempo ma, soprattutto, per non voler dare alcun vantaggio strategico alla Turchia nel ruolo di mediatore.

Il fallimento turco e brasiliano ha riportato l’America al tavolo della negoziazione, in un momento coincidente con la nomina di John Kerry a nuovo Segretario di Stato americano in sostituzione di Hilary Clinton.

Con la mediazione del Sultanato dell’Oman, all’inizio del 2012 si sono incontrati Kerry e il Capo negoziatore iraniano Ali Salehi in un vertice temporalmente inquadrato nell’ultimo scorcio della presidenza di Ahmadinejad e che ha segnato una svolta positiva nelle relazioni, favorita anche dal lavoro “nell’ombra” della Suprema Guida della Rivoluzione Islamica Ali Khamenei.

C’è da chiedersi il perché di quest’apertura iraniana; certo hanno concorso valutazioni strategiche e politiche a livello regionale a causa dei rapporti sempre più tesi con alcuni paesi arabi e con la Turchia, probabilmente però le reali motivazioni sono state di natura economica.

La morsa delle sanzioni economiche anno dopo anno si è sempre più stretta attorno ad un’economia iraniana ricca di risorse ma strutturalmente molto fragile.

L’embargo ha avuto degli effetti devastanti che si sono riverberati negli anni. Il Riyal, la moneta locale, proprio a cavallo del biennio 2011 e 2012 si è fortemente deprezzata con la conseguente impennata dell’inflazione ed una forte perdita del potere d’acquisto per la popolazione. L’esportazione del petrolio è crollata con un dimezzamento in pochi anni della produzione giornaliera di greggio.

In altri termini, è apparsa del tutto evidente la necessità per l’Iran di tornare al tavolo della mediazione con gli americani per risolvere la questione. Di certo, la presidenza di Hassan Rouhani ha facilitato e potrà facilitare ancora il percorso.

Altresì appare altrettanto chiaro come ogni futuro tentativo di mediazione da parte dell’Onu o magari di altri paesi come avvenuto in passato, è destinato al fallimento.

L’unica opzione possibile è quella della negoziazione diretta tra Stati Uniti e Iran, magari con il supporto di altri paesi. Una negoziazione che, ancor prima di intavolare una trattativa stringente sul nucleare, deve mirare a migliorare ancor di più il clima di reciproca fiducia, ad abbattere il muro di diffidenza e di sospetto costruito negli anni.

imagesL’accordo di Ginevra del novembre 2013 con la mediazione dell’Oman, è stato il primo passo di un cammino per arrivare a un accordo finale. Una prima tappa che, con alcune concessioni economiche americane in cambio di promesse iraniane, ha portato alla tappa intermedia di Vienna dello scorso novembre.

I mesi a venire dovranno servire per arrivare a un accordo definitivo che blocchi le operazioni d’arricchimento dell’uranio, migliorare la cooperazione dell’Iran con l’Agenzia atomica e consentire ispezioni anche non programmate, rendere pubblica la mappa di tutti i siti e l’elenco di coloro che, a vario titolo, lavorano al programma nucleare, compresi i militari della guardia rivoluzionaria.

Nel contempo, riconoscere il diritto dell’Iran di poter sfruttare il nucleare per scopi esclusivamente pacifici ed eliminare le sanzioni imposte dalla Comunità internazionale che, di fatto, hanno messo in ginocchio non solo il settore petrolifero ma l’intera economia.

Il tutto cercando di superare le schermaglie diplomatiche di rito, come l’accusa agli Stati Uniti di essere un Paese arrogante, fatta da Ali Khamenei all’inizio del nuovo anno. Niente di nuovo sotto il sole, in attesa della ripresa dei negoziati in calendario in questi giorni.

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