Turchia e la Coalizione internazionale contro il DAESH (in arabo), conosciuto nel mondo occidentale come ISIS. I Peshmerga combattenti. Un intreccio difficile.

Turchia e la Coalizione internazionale contro il DAESH (in arabo), conosciuto nel mondo occidentale come ISIS. I Peshmerga combattenti. Un intreccio difficile.

La situazione in questi giorni nell’area mediorientale tra la Turchia e l’ISIS

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini         

Erdogan

Erdogan

Ad Ankara il 27 settembre, il Governo turco ha comunicato la disponibilità a intervenire contro la formazione di Abu Bakr al-Baghdadi “Al Dawla al Islamiya fi Iraq wa al Sham” (Daesh, in arabo), meglio conosciuta in Occidente come Islamic State.

L’avvio dell’operazione che prevede l’impiego di militari sul terreno avverrebbe dopo il 2 ottobre, quando il Parlamento voterà l’iniziativa dell’Esecutivo.

Il progetto è la realizzazione di una buffer zone in territorio siriano lungo il confine per evitare il transito dei jihadisti in Siria e Iraq. E, intanto, Ankara ha dispiegato 34 mezzi corazzati a presidio del versante turco all’altezza di Kobane.

La dichiarazione è avvalorata dallo stesso Presidente Erdogan.

Nel corso di un’intervista al quotidiano “Hurriyet, il Capo dello Stato turco, che è membro NATO, smentisce le accuse di scarso impegno per non aver firmato la Dichiarazione di azione contro il Daesh voluta all’inizio di settembre dagli USA e appoggiata da 10 Paesi.

Eppure, solo una settimana prima, Erdogan ha impedito il passaggio dalla Turchia dei 300 combattenti curdi del PKK pronti a contrastare i jihadisti di Daesh, arrivati, dopo la conquista di 64 villaggi, a 5 km da Kobani.

images-4Kobani è la terza città curda in Siria, sul confine Nord siro-turco, che ha già registrato l’esodo di oltre 100 mila curdi siriani.

Dagli eventi recenti risulta che i quarantanove cittadini turchi sequestrati dai militanti di Daesh e impedivano ad Ankara la partecipazione alla Coalizione USA/NATO per la certa ritorsione in danno dei rapiti, poi liberati il 20 settembre in cambio della contestuale consegna al movimenti jihadista di 50 combattenti.

Le frontiere turche aperte il 19 settembre per accogliere i curdi siriani in fuga dalla zona di Kobani sono state richiuse quattro giorni dopo per contenere un flusso che aveva riversato nel Paese oltre 130 mila profughi.

Succede che mentre raid aerei di USA, Francia e U.K. bombardano siti di Daish in Iraq e, da una settimana in Siria, e altri Paesi della Coalizione (Italia e Repubblica Ceca) inviano armi ai curdi, al momento gli unici alleati della Coalizione presenti sul terreno sono i peshmerga curdi. Le varie formazioni curde, ora riunite nelle “Unità di protezione popolare curde” (Ypg) chiedono agli Occidentali le stesse armi distribuite all’ “opposizione moderata” siriana.

Perché la chiusura della frontiera?

In realtà il timore dei turchi è che le armi fornite all’”opposizione moderata” ma anche, nel recente passato, ai jihadisti di al Nusra e Daesh, possano finire nelle mani dei guerriglieri curdi in Turchia. Guerriglieri che hanno sempre accusato la Turchia di avere fornito armi e frontiere libere ai jihadisti destinati in Siria e Iraq, come confermato non solo dalla stampa internazionale ma da dichiarazioni rese da alcuni jihadisti addestrati nella base di Reyhanli, in territorio turco.

Il rapporto privilegiato Ankara – Daesh, per quanto negato, è motivo della crescente insofferenza curda verso la Turchia.

L’ “Unione delle Comunità curde”, una specie di Fronte Urbano del PKK, ha comunicato che lo stato di “non conflitto” è stato interrotto per le iniziative del Governo turco e accusa l’AKp – il Partito di Governo – di trarre solo vantaggi dagli sforzi di Ocalan, ancora in carcere, per favorire la pace.

La tregua è in vigore dal marzo 2013, anche se con qualche interruzione, ma potrebbe saltare se il “Consiglio Esecutivo” del PKK intende adottare contromisure di fronte alla politica dell’AKp. Lo stesso Ocalan, nei giorni scorsi, si era lamentato per l’immobilismo dell’AKp nel processo di pace e il capo militare del PKK, Murat Karayilan, che guida la guerriglia sul Monte Kandil nel Nord dell’Iraq, ha affermato che il processo di pace è finito.

Ocalan

Ocalan

Nel frattempo, mentre continuano i bombardamenti sui siti sensibili di Daesh in Iraq, i raid degli statunitensi privilegiano in Siria gli impianti petroliferi che potrebbero interessare i jihadisti per contrabbandarne il prodotto ma certamente distruggono la rete delle strutture damascene con evidente smantellamento delle loro risorse energetiche.

Contemporaneamente vengono addestrate e armate le formazioni dell’ “opposizione moderata”.

In questo contesto, il piano di Erdogan costituisce l’eccellente completamento dell’originario piano dell’intervento armato in Siria.

La buffer zone in territorio siriano lungo il confine con la Turchia è rafforzata da una no fly zone sulla Siria Nord-Est di fatto perché gli aerei governativi non possono sorvolarla essendo lo spazio aereo impegnato dai raid USA.

Da un punto di vista geostrategico, la Turchia rappresenta l’avamposto dell’operazione militare contro la Siria. E’ il luogo dove la NATO ha 20 basi aeree, navali e di cyber-spionaggio, rafforzato sin dal 2013 da 6 batterie di missili Patriot portate da USA, Germania e Olanda, in grado di abbattere ogni velivolo in quello spazio aereo.

Le basi sono completate dall’attivazione a Smirne dal Landcom, il comando NATO responsabile di tutte le Forze terrestri dei 28 Paesi membri.

Peraltro, secondo le inchieste del New York Times statunitense e del Guardian britannico, nelle province turche di Adana e Hatal, al confine con la Siria, la CIA avrebbe centri di formazione militare per l’addestramento di gruppi islamici provenienti da Afghanistan, Cecenia, Libia, e Siria, con armi provenienti da Arabia Saudita e Qatar.

Che ne farà l’ “opposizione moderata” che combatte Assad e ha già chiesto che i raid in Siria vengano estesi ai siti del regime e contro le milizie di Hezb’Allah e dell’Iran, che combattono a favore di Assad ? Opposizione che ha già siglato un patto di “non belligeranza” con Daesh ?

La situazione in Libano e l’ennesimo incontro fallito fra il Gruppo 5 P + 1 e Iran sul nucleare ne danno la risposta: deve essere annichilita la “mezzaluna sciita” per isolare l’Iran e lasciare l’egemonia all’ “asse sunnita” a guida di Arabia Saudita, Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, Egitto e Giordania.

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