SIRIA: Le dimissioni dell’inviato Onu; una vittoria di Assad e dei suoi generali che non tradiscono.

SIRIA: Le dimissioni dell’inviato Onu; una vittoria di Assad e dei suoi generali che non tradiscono.

In Siria la ‘rivoluzione’ va avanti da due anni ma non riesce ad affermarsi. Bashir Al Assad è sempre al suo posto e il mondo occidentale non interviene ufficialmente. Sembra esserci una situazione di stallo politico. Gli equilibri vengono mantenuti con danni estremi  della popolazione civile….e lo vediamo anche in Italia con il continuo afflusso di profughi siriani, anche molto piccoli.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

L’ottantenne diplomatico d’origine algerina Lakhdar Brahimi ha rimesso al Segretario Generale dell’Onu il suo mandato in Siria. E’ una notizia che non sorprende e certifica, con maggior forza, la gravità della crisi in atto nel Paese da molto tempo.

Lakhdar Brahimi

Lakhdar Brahimi

Non sorprende poiché, dopo il fallimento dei negoziati di Ginevra in febbraio per la costituzione di un governo di transizione tra il regime e l’opposizione, l’impasse è stata totale.

Nessun progresso è stato possibile non solo a causa di un’opposizione al regime lacerata e frastagliata, ma anche per lo scontro tra la Russia e gli Stati Uniti d’America al Consiglio di Sicurezza e, soprattutto, per la rigidità di Damasco e la chiara volontà dei generali di non rimuovere Bashir al Assad dal potere.

Perché, nonostante 150 mila morti, milioni di sfollati, un Paese distrutto e allo stremo, la stragrande maggioranza degli alti ufficiali rimane fedele al regime?

Suonano profetiche le parole di una delle più grandi filosofe europee, Hanna Arendt, che descrive una rivoluzione come “…..una Fata Morgana nel deserto che appare sempre nella maniera più inaspettata…“, condividendo appieno il concetto che “…non si può assolutamente predire quando verrà e ci sorprende sempre con la sua spontaneità…”.

Di una cosa però siamo abbastanza certi, considerato i recenti accadimenti in alcuni paesi mediorientali: una qualsiasi rivoluzione non può avere successo e non può continuare senza il sostegno delle forze armate. L’appoggio dei militari, o almeno la loro neutralità, è la conditio sine qua non affinché una rivoluzione possa riuscire.

Nel caso specifico della Siria, nonostante migliaia di soldati, di sottufficiali e di ufficiali di rango non elevato abbiano disertato, la maggior parte dei generali, salvo alcune eccezioni, è rimasto fedele. Per comprendere il perché, è necessario ripercorrere il recente passato della Siria.

Tra tutte le leadership mediorientali, quella siriana è sempre stata la più a “rischio” e, nello stesso tempo, la più “consapevole” della propria instabilità, convivendo con la costante minaccia di un “inkilab“, di unrovesciamento.

Nel corso di un ventennio, tra gli anni cinquanta e settanta, gli storici contano più di dieci tentativi di colpi di stato orditi il più delle volte da alcune fazioni di militari in lotta le une contro le altre.

Hafez Al Assad

Hafez Al Assad

Hafez al Assad, il padre di Bashir, prima di assumere il potere, partecipò in qualità di generale dell’aviazione ad almeno tre tentativi di colpi di stato, sicuramente nel 1962, nel 1966 e nel 1970.

La prima preoccupazione di Hafez al Assad, al potere ininterrottamente dal 1971 sino alla morte nel 2000, fu quella di cercare di unire le forze armate e di eliminare le varie fazioni interne. Fazioni interne che, peraltro, rispecchiavano le divisioni settarie ed etnico-religiose della Siria.

E’ utile ricordare che la maggioranza dei ventitré milioni di siriani è di etnia araba – ad eccezione della minoranza curda – ma è profondamente divisa al suo interno tra gli alauiti, i cristiani e i musulmani sunniti.

La famiglia al Assad è alauita e in trent’anni di potere Hafez è stato molto abile e scaltro nel controllare la maggioranza sunnita cooptando e controllando le élite, sia economiche sia militari, garantendo loro molte opportunità di arricchimento.

Bashar ha proseguito con la stessa logica paterna, forte del sostegno di una cerchia ristretta di generali alauiti che da più di mezzo secolo dirigono le forze armate e controllano il partito Ba’ath.

Ancor più rispetto al padre, il figlio ha incrementato l’opera di fidelizzazione, d’indottrinamento e di politicizzazione delle forze armate, giacché oggi il 90% dei generali e i comandanti delle varie agenzie d’intelligence sono alauiti. E alauiti sono anche tutti i comandanti delle forze paramilitari fedeli al regime e disseminate sul territorio.

Maher, il fratello di Bashir, è il Comandante della Guardia Repubblicana che, insieme alla Quarta Divisione Corazzata dell’Esercito e alla Polizia segreta, formano il primo anello di protezione del regime.

 I due fratelli Maher e Bashir Al Assad

I due fratelli Maher e Bashir Al Assad

E’ difficile pertanto poter immaginare una rivolta in massa degli ufficiali contro il regime, per il semplice fatto che non hanno la convenienza a farlo, non hanno voglia di perdere il potere, i privilegi e la ricchezza. Potere, privilegi e ricchezza di un’elite militare che, anche oggi, dopo anni di guerra civile, mantiene uno standard di vita che non può essere lontanamente paragonata con quella della stragrande maggioranza della popolazione siriana.

Ci si può attendere un sussulto d’orgoglio, di spirito patriottico e d’idealismo da parte di qualche generale lungimirante? Difficile immaginarlo, perché la diffusa convinzione è che da un atto di ribellione ci sarebbe solo da perdere, nulla da guadagnare.

In Siria s’è rinsaldato un “blocco granitico” alauita che è difficile scalfire; un blocco di privilegiati che ovviamente sono fedeli perché come gruppo s’identifica al regime stesso, e la caduta dell’attuale sistema significherebbe la loro disgrazia.

In altre parole, la sopravvivenza del regime oggi è sinonimo di sopravvivenza fisica dei suoi accoliti e servitori. Una sopravvivenza del regime che, a dispetto dei ribelli mal equipaggiati e armati, potrà essere garantita nel tempo sfruttando il sostegno degli Hezbollah del Libano, della storica alleanza con l’Iran, dell’amicizia con la Russia.

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