Turchia:la questione curda sempre più rilevante rispetto a quella siriana.

Turchia:la questione curda sempre più rilevante rispetto a quella siriana.

Erdogan

Erdogan

La situazione attuale della Turchia rispetto ai curdi e ai siriani. L’indebolimento di Erdogan porterà dei cambiamenti di politica…rispetto ai curdi forse no, rebus sic stantibus

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La Turchia, alla luce degli accadimenti e delle prese di posizione assunte in questi ultimi anni, ha definitivamente abbandonato la sua aspirazione a diventare membro di un’Unione Europa in difficoltà per la difficile congiuntura economica.

Alle prese con una contorta fase politica e identitaria legata al rinnovo del Parlamento e alla brexit, l’Unione Europea, disunita e priva di una comune linea, non ha trovato un accordo per spingere la Turchia “al di qua” del Mediterraneo, come del resto gli Stati Uniti d’America, particolarmente critici sulle scelte di politica estera di Ankara e del suo astuto, scaltro, autoritario e populista Presidente Erdogan.

In Siria, ma anche in Iraq, la Turchia si è resa artefice di repentini cambi di posizione che riflettono la storica ambivalenza del ruolo degli Ottomani nella regione mediorientale, interessati soprattutto a non perdere l’influenza economica.

I rapporti con la vicina Siria sono molto tesi, come già peraltro erano in passato ai tempi del Patto di Baghdad alla fine degli anni cinquanta, e nel 1998 quanto la Siria si schierò a favore del movimento PKK dei lavoratori curdi.

Comunque sia, la questione siriana è considerata dai turchi meno “sensibile” rispetto a quella “curda tout court”, percepita come una reale minaccia alla stabilità del Paese.

La caduta di Bashar el-Assad è stato certamente uno degli obiettivi di Erdogan, ma altrettanto importante, se non di più, è cercare d’assicurarsi un qualsiasi ruolo nel caso si verificasse un dopo el-Assad, in linea con i propri interessi locali e regionali nel tentativo di far rivivere i fasti della supremazia commerciale in Medio Oriente dei primi anni 2000.

Più a lungo la crisi siriana permane in una situazione di stallo e più gli interessi turchi sono minacciati, con riverberi negativi sull’attuale situazione economica del Paese.

Il sistema economico, seppur in leggero miglioramento, rimane complicato con le prospettive di crescita frenate dalla considerevole volatilità della moneta turca, dai tassi a doppia cifra della disoccupazione e dalla forte dipendenza estera per l’approvvigionamento delle risorse energetiche.

L’andamento della situazione sul terreno siriano è in continua evoluzione, con la Russia e la Turchia su fronti opposti che tentano di arrivare ad una soluzione finale, anche per non compromettere le loro relazioni bilaterali.

Questi due Paesi sono gli indiscussi protagonisti nello scenario siriano e dato che il nord-ovest della Siria confina con la Turchia per quasi novecento chilometri, inevitabilmente la contrapposizione sul terreno potrebbe determinare una forte pressione di nuovi rifugiati in fuga dai combattimenti.

Un film già visto, dato che il superamento del confine nel corso degli ultimi anni s’è più volte replicato, con l’apice della tragedia umana che ha trovato una parziale soluzione nel 2015 con l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia che accettò, dietro notevoli concessioni, a mantenere sul proprio territorio più di tre milioni di siriani.

Nuovi afflussi di rifugiati sono uno spettro per la Turchia, con possibili conseguenze anche per la sua stessa stabilità e integrità territoriale, tenuto conto dei più di due milioni di curdi “siriani” mischiati con i quindici milioni di abitanti di origine siriana, con più di mezzo milione di arabi e, a livello confessionale, con milioni di alawiti.

Negli ultimi tempi Erdogan ha dato impulso alla realizzazione di un muro di novecento chilometri lungo il confine con la Siria, progettato proprio per fermare i rifugiati e limitare le infiltrazioni terroristiche.

L’inerzia e l’ambiguità turca nella questione siriana, come del resto l’apparente scarso impegno russo ed americano, non sono un segno di debolezza, bensì il frutto di una calcolata strategia politica.

Della Turchia tutto si può dire, meno che sia una nazione sprovveduta in politica estera, tanto quanto, se non di più, dal punto di vista militare.

Una volta che ha visto sfuggire il sogno, non così velato, di rinverdire i fasti di un “neo-ottomanesimo” poiché el-Assad non è caduto, la Turchia s’è buttata a capofitto nel cercare di dar corso al suo vecchio piano.

Per i turchi è necessario salvaguardare e custodire – oggi ancor più che nel passato – la propria identità kemalistaforgiata dal padre fondatore Kemal Pasha Ataturk.

In estrema sintesi e senza perifrasi, la Turchia vuole continuare a essere uno Stato “per” i turchi e composto “da” turchi autoctoni.

Si spiegano così le “dure” azioni intraprese prima contro gli armeni, poi contro i greci e ora, a più riprese, contro i curdi.

Nella scala gerarchica delle priorità, al primo posto per i turchi non c’è mai stata la lotta contro l’avanzata dello Stato islamico, bensì cercare di frenare le spinte indipendentistiche dei curdi.

Un popolo trattato male dalla storia, smembrato come un lenzuolo con venti milioni di anime che vivono in Turchia, cinque milioni in Iraq, sei in Iran e più di un milione in Siria, senza contare le centinaia di migliaia di emigrati sparsi in tutto il mondo.

Un popolo che non ha appeala livello internazionale e che, pur essendo molto più numeroso dei palestinesi e pur vivendo in un territorio ricco di petrolio e non arido, non riesce a smuovere dei grossi sentimenti d’indignazione nell’opinione pubblica mondiale.

E’ tempo che l’intricata questione curda che coinvolge essenzialmente tre paesi (Turchia, Iraq e Siria) sia risolta, possibilmente nell’ambito di un’iniziativa diplomatica strutturata, con la supervisione delle Nazioni Unite e il supporto dell’Unione Europea.

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