(con la collaborazione di Aldo Madia)
Iran.Sfiducia a Rohani
Il 28 agosto scorso i deputati hanno chiesto al presidente Hassan Rohani di rendere conto dell’alta disoccupazione, della bassa crescita, della svalutazione del rial (da aprile scorso ha perso la metà del valore) del contrabbando di beni e valuta estera, nonché delle sanzioni bancarie in essere, nonostante l’Iran abbia rinunciato alla sovranità nucleare con l’accordo del luglio 2015.
Nella repubblica islamica la crisi si fa sentire sempre di più: nell’ultimo anno il prezzo dei latticini è cresciuto di un terzo, quello del pollame del 20% e la frutta fresca del 71%.
Tre osservazioni:
In sostanza, pur se non si dice, il sistema creato dall’Imam Khomeini perde colpi. In Iran come nel resto della regione, incluse le monarchie del Golfo, il problema è che il settore pubblico gode di prerogative che lo rendono vivente. E’ vero che gli stipendi sono bassi, ma quell’accredito che arriva sempre è pur sempre appetibile per i migliori laureati: potendo scegliere, optano per un impiego pubblico anche perché il settore privato è asfittico, le sanzioni sono tornate e le imprese straniere se ne vanno.
Anche un gigante come la francese Total che si era impegnata in un consorzio (con iraniani e cinesi) per sfruttare il giacimento di gas nel Golfo Persico.
Il settore privato non è concorrenziale rispetto a fondazioni e business gestiti dalle guardie rivoluzionarie. In Iran l’unica riforma auspicabile è un ridimensionamento del settore pubblico a favore di quello privato, attraverso un pari trattamento delle imprese che fanno capo a fondazioni religiose e pasdaran. In mancanza di queste riforme, nessun governo riuscirà a rilanciare l’economia e interpellare in parlamento un presidente: sarà solo una farsa in cui non crede più nessuno.
Stretta Alleanza fra Stati Uniti, Israele e Arabia saudita contro l’Iran
Le minacce USA non intimoriscono Teheran. I suoi leader ripetono che se a causa delle sanzioni americane l’Iran non potrà vendere il suo petrolio, allora nessuno nella regione potrà farlo, almeno non attraverso lo Stretto di Hormuz.
“L’Iran ha accesso al Golfo Persico, allo Stretto di Hormuz e al Golfo di Oman. O tutti vendono il petrolio o nessuno lo farà. L’Iran ha la capacità di bloccare Hormuz e gli americani lo sanno” ha ribadito il 2 agosto Seyed Hossein Naghavi- Hosseini, portavoce della Commissione del Parlamento iraniano per la sicurezza nazionale e la politica estera. E che l’Iran faccia sul serio lo dicono anche le esercitazioni navali che la Guardia Rivoluzionaria ha iniziato l’1 agosto dispiegando 50 imbarcazioni piccole e veloci per dimostrare di essere in grado di chiudere lo Stretto da dove passa circa il 15% del petrolio mondiale.
Oltre 30 anni fa, durante la guerra Iraq contro l’Iran – su richiesta USA – le imbarcazioni, spesso dei semplici motoscafi, dei Pasdaran iraniani armati di lanciarazzi, furono in grado di ostacolare per un lungo periodo il passaggio delle petroliere per Hormuz.
Questa e altre mosse, per ora solo annunciate, rientrano in quella “resistenza economica intelligente” volta a vanificare le sanzioni statunitensi, spiegata il mese scorso dal vice presidente Eshaq Jahangiri.
Tuttavia in questi giorni la tensione sale anche sul versante Sud-Ovest della penisola arabica, nello Stretto di Bab al Mandeb che domina il Mar Rosso, in appoggio all’alleata Arabia Saudita, che ritiene il suo traffico commerciale messo in pericolo dai razzi in possesso dei ribelli yemeniti sostenuti da Teheran.
L’1 agosto, Israele ha lanciato un avvertimento: ” Se l’Iran cercherà di bloccare lo stretto di Bab al Mandeb, si troverà di fronte a una coalizione internazionale determinata a impedirgli di farlo e questa coalizione includerà anche lo Stato di Israele e tutte le sue armi”, ha ammonito il premier Benjamin Netanyahu.
Sino a oggi si è sempre pensato che si sprigionerà nel Golfo la scintilla della guerra all’Iran di cui si parla da anni e che è diventata una realtà più concreta dopo l’uscita degli USA sul programma nucleare iraniano. E questo resta lo scenario più probabile alla luce degli ultimi sviluppi riguardante Hormuz. Ma ora anche Bab al Mandeb diventa un possibile pretesto per l’attacco “occidentale” e arabo all’Iran.
Israele è pronto a mettere il suo enorme potenziale bellico a disposizione delle petromonarchiesunnite confermando quanto si sia fatta stretta l’alleanza con i Paesi del Golfo (e non solo) schierati contro il “nemico comune”.
Tuttavia, il ministro della difesa israeliano Lieberman parla anche di “minacce” dirette proprio allo Stato ebraico: ”Di recente abbiamo appreso di minacce indirizzate proprio alle navi israeliane nel Mar Rosso… Vorrei sottolineare un punto: le nostre forze armate sono pronte a rispondere simultaneamente su due fronti, e anche sul Mar Rosso” ha affermato. Di attacchi tentati o pianificati contro le navi israeliane di passaggio per Bab al Mandeb fino a ora non si era mai saputo.
Più noti sono gli attacchi al traffico commerciale dell’Arabia Saudita, Paese che alla testa di una coalizione araba e USA, da tre anni è impegnato in una campagna militare in Yemen, soprattutto dal cielo contro i ribelli sciiti Houthi che hanno causato molte migliaia di morti e feriti anche fra i civili. Recentemente la petroliera saudita Arsan, con un carico di due milioni di barili di petrolio diretta in Egitto, è stata colpita da missili nei pressi del porto yemenita di Hodeida, in mano ai ribelli sciiti, dove in questi ultimi mesi si sono concentrati i pesanti quanto inefficaci bombardamenti sauditi e degli Emirati Arabi Uniti. Secondo fonti americane, la nave cisterna è stata colpita da un missile c-802 che l’Iran avrebbe fornito ai ribelli. Dopo l’attacco, i sauditi hanno annunciato l’interruzione della navigazione delle sue petroliere fino a quando il traffico marittimo “non sarà di nuovo al sicuro”.
Dall’Iran ha replicato il generale Qasem Soleimani, potente comandante della “Brigata Gerusalemme “ della Guardia Rivoluzionaria accusando proprio l’Arabia Saudita di essere responsabile per le condizioni “non sicure” nel Mar Rosso.
Sebbene gli analisti tendano, per il momento, a escludere un attacco imminente
all’Iran da parte di possibili coalizioni USA- petromonarchie, con la partecipazione di Israele, il quadro si è fatto più complesso e un nulla potrebbe innescare una guerra. E il 1 agosto il CCG (le sei petromonarchiedel Golfo) ha fatto sapere di avere disposto, nel caso in cui l’Iran chiuda lo Stretto di Hormuz, non meglio precisati “piani di emergenza” per assicurare il flusso del petrolio nel caso in cui l’Iran chiuda lo Stretto di Hormuz.
Turchia, alleati e non
In attesa che sia accertata l’autenticità del messaggio con cui Abu Bakr al Baghdadi incita i suoi sostenitori a continuare la lotta, la notizia ha riportato all’attenzione due conflittualità: l’ISIS e la Siria. Ne sanno qualcosa i soldati siriani che devono combatterli ogni giorno nel Sud e a Deir Zour a Est.
Non è ben chiaro quel che emergerà dai contatti, intensi come mai in questi giorni, tra USA e Russia sulla Siria.
Il 23 agosto, il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov e la sua controparte USA Mike Pompeo si sono sentiti al telefono mentre il Segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Nikolai Patrushev, dopo aver incontrato a Ginevra il suo omologo americano John Bolton, ha assicurato che la Russia studierà “tutte le proposte e i desideri formulati” dagli americani.
Washington, a nome di Israele, insiste affinché Mosca costringa l’Iran a uscire dalla Siria. La Russia, alleata di Damasco non può imporre a Teheran di farsi da parte.
Sul tavolo ora c’è offensiva dell’esercito siriano per scacciare via le formazioni qaediste e jihadiste dal governatorato di Idlib, nel Nord-Ovest del Paese.
Le truppe di Damasco, le milizie lealiste siriane e quelle filoiraniane in questi giorni si sono ammassate con mezzi e uomini nella parte Nord della regione di Hama, a Sud di Aleppo e a Nord-Est di Latakia.
Ma la zona di Idlib di fatto è sotto occupazione turca e secondo gli accordi tripartiti raggiunti da Mosca, Ankara e Tehran, deve rimanere in parte sotto controllo turco. L’offensiva dovrebbe perciò coinvolgere solo le aree che non rientrano nella zona “ritagliata” per i turchi.
Damasco rispetta gli alleati russi e iraniani ma ora che si sente più forte non ha alcuna intenzione di accettare l’occupazione militare turca di una parte della Siria.
In questa fase, il presidente turco Erdogan sta affrontando una serie di crisi politiche interne e i suoi rapporti con i tradizionali alleati in Occidente, in particolare gli USA, sono molto tesi.
Però in Turchia i media pro-governativi puntano sull’orgoglio nazionale e gridano al “complotto” iraniano. Secondo il quotidiano Yeni Safak, il PKK e le YPG curde riceverebbero la protezione di Teheran.
Ankara si era impegnata con i russi e iraniani a mettere fine alla presenza dei qaedisti di Tahir ash-Sham, ma non ha mosso un passo in quella direzione.. E ora è impegnata a costituire a Idlib un “esercito” di mercenari che avrà il nome di Fronte di Liberazione Nazionale….come nelle migliori tradizioni…ovunque.
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