Iran: un autunno “caldo” per gli Ayatollah.

Iran: un autunno “caldo” per gli Ayatollah.

Ingresso al Bacar di Kerman (aprile 2018 photo©firuzeh)

Ingresso al Bazar di Kerman (aprile 2018 photo©firuzeh)

La situazione è in movimento in Iran. Servirà un’altra rivoluzione per cambiare il sistema politico? Qualcosa cambierà sicuramente specialmente dopo una seria applicazione delle sanzioni da parte americana. Non dimentichiamo mai i prodromi di quella del 1979.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il Medio Oriente è oramai, per definizione o per abitudine, un’area instabile e in  continua ebollizione.

Il vento delle primavere arabe ha modificato uno scenario geostrategico consolidato post guerra fredda, peraltro ancora in evoluzione, creando le condizioni affinché alcuni attori regionali perdessero la propria influenza a vantaggio di altri, in primis l’Iran.

Un Iran temuto per la sua storica e consolidata indipendenza dalle pressioni occidentali, diretto da un regime certamente autoritario che ostinatamente, sino ad oggi, non ha mai assecondato né gli americani, né i russi e tantomeno gli israeliani, militarmente forti ma poco numerosi.

L’Iran, da sempre impopolare agli occhi degli occidentali, soprattutto degli americani, è considerato pericoloso, ideologicamente agli antipodi e inaffidabile negoziatore, tanto meno di una paxnucleare.

Iran per gli Stati Uniti d’America molto più destabilizzante in Medio Oriente rispetto a Israele di Netanyahu, caparbio nel perseguire i propri obiettivi strategici.

Da sempre stretto alleato, recentemente gli Stati Uniti hanno intensificato le relazioni con Israele (vedi l’apertura della nuova Ambasciata americana a Gerusalemme), ma anche con l’Arabia Saudita, altro acerrimo nemico dell’Iran.

Un regime, quello iraniano, guidato da una teocrazia islamica che indirizza la politica del Paese in un pot porri di democrazia e di dittatura, che governa un popolo con una storia di due millenni e che ha influenzato il Medio Oriente con la propria cultura, le tradizioni e la lingua.

Una Repubblica islamica presieduta dalla Guida spirituale l’Ayatollah Ali Khameneiche è nel contempo Guida della rivoluzione, principale interprete del diritto e Comandante supremo di tutte le Forze Armate (Esercito, Aeronautica e Marina per un complessivo di circa 350 mila uomini), dei Pasdaran – le Guardie della rivoluzione e di tutti gli apparati di sicurezza, veri e propri eserciti paralleli molto numerosi.

E’ indubbio che l’Iran sia stato abile a sfruttare i conflitti in Iraq, in Siria e nello Yemen per incrementare la propria sfera d’influenza.

In Iraq per gli iraniani è importante controllare i territori posti a nord est della capitale Baghdad, in particolare nella provincia di Dyala, punto di partenza per estendere la propria influenza sulle terre di confine.

In Siria gli iraniani puntano ad avere un dirimpettaio amico, prova ne è il costante sostegno fornito ad Bashar al Assad sin dagli albori della dilaniante guerra civile che ha violato il Paese cuore della cultura araba, storicamente ago della bilancia nel complesso gioco degli equilibri mediorientali.

L’obiettivo evidente dell’Iran è di cercare di dominare la regione posta ai confini con Israele, per cercare di tenere sotto scacco lo Stato ebraico.

Il gioco si farà duro quando arriverà (perché, prima o poi, arriverà) il momento della ricostruzione della Siria, con una presumibile spartizione delbusinesssoprattutto tra la l’Iran e la Russia, anch’essa intervenuta in soccorso del Presidente al Assade pronta a presentare il conto, senza dimenticare gli israeliani e gli americani.

Nello Yemen, tramite il sostegno dato agli Houti, l’Iran s’è garantito un ruolo nella futura ricostruzione economica e politica del Paese dell’incenso, creando altresì un motivo d’instabilità nel confine meridionale con l’Arabia Saudita.

In Libano lo sforzo iraniano è concentrato nel tentativo di integrare sempre più gli Hezbollah– il Partito di Dio di Hassan Nasrallah nel tessuto connettivo del Paese dei Cedri.

Nel frattempo, l’Iran punta, seppur indirettamente, al controllo commerciale sia dello stretto di Bab el-Mandebche congiunge il Mar Rosso con l’Oceano indiano, sia dello stretto di Hormuznel Golfo Persico.

Ciò che preoccupa maggiormente l’establishmentiraniano è il mantenimento di un rigido controllo sulla popolazione che non deve/può protestare e mobilitarsi né nelle piazze, tantomeno nei social network.

La storia dell’Iran insegna che, per mantenere lo status quo, gli ayatollahdevono controllare la popolazione, tutta la popolazione, comprese le minoranze etniche curde ed arabe, giacché i cambiamenti politici occorsi negli ultimi due secoli sono avvenuti a seguito d’imponenti manifestazioni di piazza.

A ben vedere, le proteste popolari in Iran non sono mai accidentali e periodicamente, a partire dalla Rivoluzione Popolare del 1906, presentano il conto; nemmeno la Repubblica Islamica fondata nel 1979 ne è stata immune, basti ricordare le reiterate proteste studentesche negli anni novanta e il Green Movement del 2009.

Le proteste di piazza che si sono avute a cavallo tra il 2017 e il 2018 hanno preoccupato il regime, ma la situazione non è mai sfuggita al suo controllo.

Con la ripresa delle sanzioni americane contro l’Iran legate al mancato accordo sul nucleare, il livello della tensione interna è aumentato poiché le restrizioni imposte limitano il commercio ed incidono negativamente sulla moneta locale che, fortemente deprezzata, determina l’incremento dei prezzi dei beni di consumo, anche quelli di prima necessità.

Con effetto domino ci sono poi ripercussioni sul tasso di disoccupazione e disagi sulla vita quotidiana dei cittadini, come la scarsità d’acqua potabile o la razionalizzazione dell’energia elettrica.

Malumori crescenti che, se saranno costantemente alimentati nei prossimi mesi, potrebbero evolversi in una situazione potenzialmente rivoluzionaria.

La conditio sine qua non affinché ciò possa verificarsi è l’allargamento delle fasce della popolazione che osi apertamente sfidare la nomenclatura, non solo i giovani e i più poveri, ma anche la middle class, il motore dell’economia iraniana.

La situazione potrebbe ulteriormente complicarsi tra qualche mese con l’introduzione di nuove sanzioni internazionali nel comparto petrolchimico che, di fatto, limiterebbero il mercato petrolifero iraniano.

Secondo autorevoli osservatori, di là delle questioni economiche, ad alimentare le voci di una possibile caduta del regime ci sarebbero le lotte politiche intestine tra le diverse fazioni per la scelta della nuova guida spirituale dell’Iran, il successore di Ali Khamenei.

Ci sarà una riedizione degli accadimenti del 1979? Assisteremo presto ad un cambio di regime in Iran? E’ difficile poterlo prevedere, certo è che la situazione è complicata ma la geopolitica in questo caso centra poco.

Da ciò che traspare, l’interesse degli Stati Uniti e della Russia non è di distruggere il regime dell’Iran, bensì quello di contenere le sue mire espansionistiche nella regione.

E’ il pensiero anche degli europei, tanto più che, con diverse gradazioni, tutti sono legati all’Iran da strette relazioni economiche.

Pertanto, se ci sarà una rivoluzione, un cambio politico sostanziale, probabilmente avverrà nell’alveo della politica interna iraniana e per volontà (o per colpa) dei cittadini iraniani, con gli Stati Uniti, la Russia e Israele vigili spettatori.

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