MIGRAZIONE. PROBLEMA EUROPEO O GLOBALE ?

MIGRAZIONE. PROBLEMA EUROPEO O GLOBALE ?

 

Ci stiamo abituando?

Ci stiamo abituando?

Un quadro completo, sintetico e lucido dell’attuale situazione basato su fatti e date.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

L’ennesima ecatombe nel Mediterraneo ripropone il dramma della migrazione che secondo i dati dell’Alto Commissario ONU per i Rifugiati (UNHCR) registra nel 2015 undicimila migranti solo sulle coste italiane e 1.700 vittime.

Al di là delle note iniziative europee per contrastare questo fenomeno l’ondata in arrivo e non solo in Europa ha dimensioni globali.

Allargando l’orizzonte, i dati dell’UNHCR raccontano storie di guerre e conflitti che devastano intere regioni frammentandone le popolazioni per linee etniche, tribali, religiose, indipendentiste. Guerre per la maggior parte provocate da interventi esterni non ponderati.

Solo dopo ulteriori scontri tra militari di Tobruk del generale Khalifa Haftar che controlla la Cirenaica e islamisti di Tripoli guidati dal movimento Fajr Libya, il Presidente statunitense riconosce che Paesi del Golfo hanno alimentato il conflitto libico per il sostegno di Arabia Saudita ed Emirati ad Haftar e del Qatar agli islamici di Tripoli.

In realtà gli USA non sono immuni da colpe per la parcellizzazione della Libia nelle tre regioni di Cirenaica, Tripolitania e il desertico Fezzan, perché con inglesi e francesi avevano iniziato la “guerra umanitaria” contro Tripoli nel febbraio e marzo 2011 imponendo sanzioni e la no fly zone trasformata di fatto nel bombardamento dell’intero Paese.

20150422-infografica-rotte-migranti-580X562Non solo dalla Libia partono i migranti.

Un’altra Coalizione di volenterosi, gli “Amici della Siria”, sin dal marzo 2011 ha innescato una guerra civile che parla di oltre 230 mila morti, 8 milioni di profughi – 4 all’estero a 4 sfollati interni – con 1/3 del Paese in mano all’Islamic State of Iraq and Sham (ISIS).

Pochi raggiungono l’Europa e si disperdono nei Paesi vicini: Egitto (133 mila), Iraq (250 mila), Giordania (630 mila), Libano (1,2 milioni), Turchia (1,7 milioni).

Guerra che raggiunge anche il Libano che con solo 4,4 milioni di residenti ha una presenza pervasiva di Shabat al-Nusra, di matrice qaedista: al Nord, a Tripoli, dove attentati e battaglie sono guidate dai jihadisti vicini al clan dell’ex Premier Hariri protetto dai sauditi contro i 24 mila alawiti; al centro, nella Valle della Beqaa, e al Sud, sempre contro gli sciiti.

Ancora peggiori sono i dati inerenti all’Iraq, vittima di un’altra guerra, anzi di tre.

La prima guerra del Golfo è l’attacco dell’Iraq contro la neonata Repubblica islamica iraniana, che il Presidente sunnita Saddam Hussein inizia nel 1980 e che durerà sino al 1988 con milioni di morti.

Armato e supportato da USA, Israele e dall’intera Comunità sunnita che perdono l’alleato Shah Mohammed Reza Pahlavi, Hussein scatenò contro la teocrazia iraniana una guerra che durerà 8 anni (1980 – 1988), che causò oltre 2 milioni di morti e una grave crisi economica ai belligeranti.

Hussein era pronto alla seconda guerra per riprendere respiro economico e perché era sicuro dei rapporti con l’Occidente. Invade il Kuwait per una disputa nel settore energetico nell’agosto 1990 e si trova contro l’intera Comunità Internazionale che ne devasta il Paese, annichilendone l’Esercito e demolendone tutte le infrastrutture.

Nel febbraio successivo, la guerra ha fine e all’Iraq è imposta la no fly zone al Nord, dove si insediano i curdi, in regime di autonomia.

La terza guerra è tutta d’iniziativa di USA e Gran Bretagna che, con accuse rivelatesi false, attaccano nel marzo 2003 l’ex alleato riducendo il Paese a pezzi: un Nord curdo, un Centro sunnita e un sud sciita. A ciò si aggiunge l’arrivo pilotato e massiccio di militanti di Al Qaeda, che alimentano lo scontro interno fra sunniti e sciiti.

Nel dicembre 2009, gli USA lasciano un Paese il cui Presidente è un curdo, il Primo Ministro è sciita, mentre la componente sunnita è emarginata e gli sciiti vincono le elezioni. E’ un Paese distrutto come dimostrano i dati: 2,7 milioni tra rifugiati e sfollati tra sunniti, cristiani, sciiti, yazidi e in preda alla furia devastatrice di ISIS, che ne occupa la metà del territorio.

Usa, Turchia, Arabia Saudita sono fra i più interessati attori attivi.

Anche lo Yemen è in guerra, quando dal marzo 2015, Arabia Saudita ed Egitto con un Coalizione di 10 Paesi, ha invaso il Paese per combattere gli Houthis, sciiti zaidisti (3% della popolazione), che con un colpo di Stato a Gennaio hanno esautorato il Presidente Rabbo Abdel Mansour Hadi.

Il conflitto, che in quattro settimane conta 944 morti e 3.487 feriti, è, di fatto, uno scontro fra l’Arabia Saudita, sunnita wahabita, e l’Iran, sciita teocratico.

Riyad interrompe i bombardamenti per l’alto numero di “danni collaterali” (civili uccisi) e inaugura una nuova fase “politica”, forte anche della presenza di dieci navi statunitensi presenti da febbraio proprio nell’area in cui 7 navi iraniane si muovono per controllare il Golfo di Aden, strategico punto di transito del petrolio per l’Europa.

La Coalizione a guida saudita ritiene che Teheran trasporti armi per gli Houthis, anche perché la risoluzione ONU inerente al conflitto ha, come di consueto, stabilito che il divieto vale solo per uno dei contendenti: gli Houthis e non la Coalizione. La fase “politica” per i sauditi prevede che gli Houthis lascino zone occupate e armi abbracciando il dialogo.

Dalla guerra in Libia in avanti, l’Africa è il continente con il più grande numero di conflitti, che attraversano l’intera fascia sahelo-subsahariana per arrivare al Corno d’Africa e scendere a Sud fra i Paesi ad alta instabilità ma ancora senza guerre.

Certo, non ha giovato l’intervento francese in Mali, nel gennaio 2014, programmato per 6 mesi e ancora in atto con significative presenze di jihadisti operanti anche in Algeria, Tunisia, Marocco.

Dalla Nigeria, il Boko Haram, che ha giurato obbedienza a ISIS, ha innescato un terrorismo feroce e una guerra asimmetrica contro i regimi anche in Camerun, Niger e Ciad.

Guerre asimmetriche sono presenti anche in Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana tutte causate da ininterrotti conflitti tra Forze governatitiche e milizie appoggiate da Paesi confinanti.

Nel Corno d’Africa la Somalia è in guerra permanente dal 1991 e nell’ultimo decennio, oltre alla pirateria, accusa la presenza della formazione degli Shabaab, vicini a ISIS, autori di attentati anche in Kenya e Uganda oltre che in Somalia.

Il Kenya dal 1991 ospita nel campo profughi di Dadaab circa 350 mila rifugiati somali, distante solo un’ora di auto da Garissa nel cui University College gli Shabaab una settimana addietro hanno massacrato 148 studenti e insegnanti.

Solo dopo la strage, le Autorità keniote hanno richiesto all’UNWRA la chiusura del campo divenuto una base logistica per i jihadisti, non nuovi a questi attacchi, e il trasferimento in Somalia dei profughi. Richiesta che confligge con la Convenzione dei rifugiati del 1951 che il Kenya ha firmato.

Paesi come Eritrea ed Etiopia la dittatura, nel complice silenzio della “Comunità Internazionale”, hanno nei confronti della popolazione potere repressivi che vanno dall’arresto all’eliminazione. E si scappa, da tutti questi Paesi per gli stessi motivi che hanno i cittadini di regioni ad alta instabilità e con conflitti spesso pilotati da interessati attori.

Ma non si fugge sempre verso l’Europa.

C’è un’altra rotta, quella a Sud, verso il Sudafrica, Paese dei “nuovi emergenti” (con Brasile, Russia, India, Cina), zona preferita dagli abitanti dei Paesi contermini come Angola, Malawi, Mozambico, Zambia. E vi si riversano centinaia di migliaia di disperati, gestiti dalle bande di trafficanti di esseri umani e sanno che anche se arrivano non saranno accolti con piacere. Ma anche questi migranti vivono un presente orribile e sono senza futuro.

I fattori scatenanti sono: guerre, mancanza di lavoro, abitazione, sanità, istruzione, diritti.

Del resto, nello scorso secolo, non partivano verso l’America, e i più ricchi Paesi europei cittadini del Mediterraneo, fra cui gli italiani, per gli stessi motivi?

© Riproduzione riservata – www.osservatorioanalitico.com

Comments are closed.