La guerra tra Israele e Hamas. I riflessi dell’impatto economico sulle strategie militari e politiche.

In un conflitto i riflessi economici sono sempre disastrosi…o quasi…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Del conflitto tra Israele e Hamas in atto dal 7 ottobre 2023 la copertura mediatica mondiale ha analizzato, a seconda dei molteplici punti di vista e delle varie sfaccettature, gli aspetti politici e militari, nonché le possibili conseguenze geostrategiche di tale tragedia sugli equilibri regionali e mondiali. 

Pochi osservatori internazionali però si sono soffermati sull’impatto economico della guerra, che non è una questione secondaria.

Infatti, Israele considera la distruzione dell’economia palestinese funzionale per indebolire ed eliminare la resistenza di Hamas e di tutti i suoi seguaci, creando quanti più shock economici, finanziari e sociali possibili.

Siamo ancora lontani dal poter capire quando e come ci sarà un epilogo a questa guerra e quando si potrà iniziare a parlare di ricostruzione, che avrà dei costi altissimi (svariati miliardi di dollari).

Per cercare di comprendere la situazione, è importante distinguere l’economia di Gaza da quella della Cisgiordania e delle altre zone che compongono la Palestina.

L’economia di Gaza era già al collasso prima dello scoppio della guerra, a causa delle restrizioni imposte dagli israeliani. Parliamo di un’economia di sussistenza, incapace di far fronte alle esigenze primarie della popolazione.

Un’economia non in grado di sopportare un’offensiva di siffatte proporzioni da parte di un gigante militare e di una potenza economica tra le più solide e strutturate a livello mondiale.

Ciò che risulta già evidente è che Gaza non potrà più tornare ad una situazione economica ante il 7 ottobre, di per sé già precaria e che una ripresa economica è un’aggettivazione priva di alcun senso, considerando il crollo verticale del PIL, la crisi umanitaria, gli sfollati, la distruzione delle case, delle fabbriche, delle strutture commerciali, delle scuole, degli ospedali, ecc…

Le stime indicano che in tre mesi di bombardamenti sono state completamente distrutte quasi 50 mila abitazioni, mentre circa 140 mila sono state danneggiate. 

Secondo alcuni dati dell’Ufficio di Statistica palestinese, nell’ultimo trimestre del 2023 il PIL di Gaza non ha superato la cifra di 700 milioni di dollari, circa il 25% del già misero PIL del trimestre precedente, peraltro in linea con quello registrato nel primo semestre del 2023.

Nell’eventualità di un (sperato) cessate il fuoco, alcune attività economiche potranno riprendere ma riavviare tutti gli ingranaggi dell’economia sarà complicato e richiederà molto tempo.

Altresì saranno necessari molti mesi di aiuti internazionali per sostenere più di due milioni di abitanti.

A differenza di quella di Gaza, l’economia della Cisgiordania in qualche modo ancora regge, nonostante le drastiche misure restrittive di sicurezza imposte da Israele.

Il settore privato, seppur a scartamento ridotto sta funzionando, i servizi governativi e comunali sono erogati, il flusso dei beni e servizi non si è interrotto ed una buona parte dei lavoratori riesce a raggiungere i propri posti di lavoro.

Certo la situazione è lontana dalla normalità ma il ciclo economico non si è interrotto, anche se la guerra anche qui avrà in impatto economico negativo significativo, già in sofferenza per gli strascichi post pandemici.

Le previsioni sono pessime poiché il proseguimento delle ostilità produrrà una sempre più marcata riduzione della forza lavoro araba in grado di lavorare per gli israeliani, con conseguenze in vari settori, tra cui il terziario, quello dell’edilizia ed il manifatturiero.

Inoltre, i mercati della Cisgiordania sono in crisi per il mancato afflusso dei clienti palestinesi che risiedono in Israele e degli abitanti arabi di Gerusalemme (circa 350 mila), senza contare i turisti che non si possono recare a Gerico, Nablus e Ramallah; miliardi di dollari di mancati introiti.

C’è poi il rischio della sospensione, per ora solo minacciata, del versamento mensile da parte del Ministero delle Finanze Israeliane delle entrate fiscali al Ministero del Tesoro palestinese.

Entrate fiscali che servono per pagare gli stipendi di circa 150 mila dipendenti pubblici e per far fronte alle spese.

Anche le finanze dell’Autorità Nazionale palestinese sono in crisi. Alla fine dell’anno 2023 il Ministero palestinese delle Finanze e della Pianificazione ha annunciato il pagamento di una percentuale degli stipendi dei dipendenti civili e militari dell’Autorità Nazionale relativi al mese di novembre 2023. Ad oggi è stata erogata una quota pari a il 65% dello stipendio, con un limite minimo di 2 mila Shekel, pari a circa 550 dollari. Si ricorda che i dipendenti non ricevono l’intero stipendio da circa due anni.

Rimangono difficili le prospettive economiche per i circa 1,8 milioni di palestinesi che vivono in Israele, visti dal resto del Paese come una potenziale “quinta colonna”.

In questo scenario si registra un forte calo degli aiuti internazionali che sono scesi a circa mezzo miliardo di dollari nell’ultimo quinquennio, tanto che l’Autorità Palestinese non fa più affidamento come in passato.

Per ora i prodromi di una crisi economica che coinvolga seriamente Israele non si vedono, anche se si registra un calo del valore della moneta israeliana Shekel che vale per tutti, israeliani e palestinesi, una diminuzione della produzione agricola ed un sensibile aumento delle spese a sostegno di un’economia di guerra.

La Banca Centrale israeliana ha comunicato che il costo della guerra si aggira intorno ai 60 miliardi di dollari. Nel frattempo ha ridotto il tasso di interesse sui prestiti a breve termine per la prima volta in quattro anni, a causa della grande incertezza sul futuro dell’economia del paese.         

E’ attesa una contrazione dell’economia del 2,00% nel primo trimestre del 2024 a causa dello sfollamento di centinaia di migliaia di dipendenti israeliani e del reclutamento di circa 1 milione di riservisti.

Questo è il quadro economico attuale in cui si dipana la guerra in atto in questo martoriato quadrante, non sostenibile nel lungo periodo. Per evitare il collasso è necessaria una rapida conclusione del conflitto e una definizione di una governance nei territori palestinesi che permetta l’avvio della ricostruzione per poter rianimare e dare speranza ad una popolazione allo stremo.

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