Siria: i motivi della riammissione nella Lega Araba e la posizione dei principali attori regionali, degli Stati Uniti e dell’Europa.

Siria: i motivi della riammissione nella Lega Araba e la posizione dei principali attori regionali, degli Stati Uniti e dell’Europa.

Una interessante analisi di Paolo Brusadin sulla attuale politica della Siria e l’importanza della sua d’ammissione nella Lega Araba,

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Ciclicamente la Siria trova spazio nelle prime pagine dei giornali: tre mesi fa per le conseguenze del terribile terremoto di inizio febbraio 2023, oggi per il dibattito sulla normalizzazione dei rapporti con il regime di Bashar el Assad. Ciò a seguito del ripristino dell’adesione della Siria alla Lega araba, dopo un decennio d’assenza. La decisione è stata assunta domenica 7 maggio 2023 e si è palesata con la presenza di el Assad nel corso dell’ultima riunione che si è tenuta a Gedda, in Arabia Saudita, il 19 maggio 2023.

L’adesione era sospesa da marzo 2011, a seguito della violenta repressione ordinata dal Presidente siriano contro i manifestanti oppositori al Regime.

La decisione della riammissione della Siria a membro a pieno titolo della Lega araba è stata sofferta per le diverse posture degli Stati membri, in particolare di quelli più importanti nello scacchiere mediorientale.

La Turchia è sempre stata favorevole alla normalizzazione dei rapporti con il Regime siriano, in particolare dopo il 2015, a seguito dell’intervento militare russo in Siria. 

A seguito dell’intesa con la Russia, la Turchia ha abbandonato ogni velleità di cambiare il Regime di el Assad in cambio della collaborazione di Mosca per prevenire/impedire lo sviluppo di una fastidiosa presenza curda al confine con la Siria.

Intesa frutto delle pressanti sfide economiche e di sicurezza che hanno investito la Turchia in un quinquennio nefasto tra il 2016 e il 2021, culminato con la pandemia. 

Si spiegano così i cambiamenti di Recep Tayyip Erdogan in politica estera, compreso il miglioramento delle relazioni non solo con gli Emirati Arabi Uniti ma anche, seppur con gradazioni diverse, con Israele ed Egitto.

Senza dimenticare il problema dei tre milioni di profughi siriani che si sono rifugiati in Turchia. 

Gli Emirati Arabi Uniti – EAU inizialmente erano favorevoli all’isolamento del Presidente siriano all’interno della Lega Araba, convinti sostenitori dell’opposizione siriana. 

In seguito, il Paese del Golfo, a protezione della propria stabilità interna, è diventato un accanito oppositore delle rivoluzioni arabe che, partendo dalla Tunisia, si sono riverberate in molti altri paesi.

Sempre più gli EAU si sono avvicinati al Presidente siriano, tanto che nel 2018 è stata riaperta l’Ambasciata a Damasco e nel 2021 il Ministro degli Esteri degli EAU Abdullah bin Zayd ha effettuato dopo dieci anni una storica visita a Damasco, ricambiata nel 2022.

Dunque, la volontà degli Emirati di normalizzare i rapporti con Damasco nasce dalla esigenza di raggiungere tre obiettivi: chiudere definitivamente la pagina delle rivoluzioni arabe, stabilizzare i vari regimi al potere ed implementare l’integrazione di Israele nel sistema regionale arabo. 

Anche la Giordania è sempre stata favorevole alla normalizzazione, soprattutto per proteggere i propri interessi economici ma anche securitari, considerando la presenza di circa 700 mila rifugiati siriani sul suolo giordano.

Se la Turchia, gli EAU e seppur con sfumature diverse la Giordania hanno fortemente appoggiato il ritorno della Siria nella Lega Araba, il Qatar ha cercato in tutti i modi di congelare quanto più possibile la situazione. 

Più volte l’Emiro del Qatar, lo sceicco Tamin el Thani ha palesato il suo rifiuto di “…voltare pagina sulla tragedia del popolo siriano senza nulla in cambio…”, ribadendo che la Lega Araba aveva deciso di escludere la Siria per delle evidenti buone ragioni e che nulla, dopo un decennio, è mutato. 

Si ricorda che la decisione di escludere la Siria era stata approvata da 18 membri, mentre 3 paesi, Libano, Yemen e la stessa Siria si erano espressi in senso contrario, con l’Iraq che si era astenuto.

Anche gli Stati Uniti d’America non sono contentissimi di questo risultato, convinti che non sono stati fatti dei progressi verso una soluzione politica basata sulle risoluzioni, in particolare la 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Rimangono ancora operative le sanzioni americane, in particolare il Caesar Syria Civilian Protection Act del 2019, entrato in vigore il 17 giugno 2020, che prevede delle sanzioni per tutti coloro che forniscono un supporto militare, finanziario e tecnico al regime siriano, siano essi persone fisiche, Stati o persone giuridiche.

Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden il 23 dicembre 2022 ha firmato il Captagon Act, che qualifica il traffico di droga legato al regime del Presidente siriano quale minaccia alla sicurezza.

L’Unione Europea, da par suo, rimane coerente nel rifiuto a normalizzare i rapporti con la Siria fintanto che non s’intavolano dei seri negoziati per risolvere politicamente la crisi.

Già nel 2021 l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrel, si era rivolto al Parlamento europeo ribadendo che non si poteva perseguire la normalizzazione dei rapporti con la Siria, tanto meno revocare le sanzioni, sino a quando non si fosse realizzata un’effettiva transizione politica.

A metà dello scorso anno 2022 l’Unione Europea ha rinnovato per un anno (siamo vicini alla scadenza), le sanzioni al regime siriano per la reiterata repressione della popolazione civile e all’inizio di questo 2023 ha ribadito il suo no alla normalizzazione dei rapporti ma anche un secco rifiuto alla ricostruzione e alla revoca delle sanzioni.

Ci sono poi alcuni paesi, tra cui l’Arabia Saudita che, pur avendo votato a favore della riammissione della Siria nella Lega Araba per vari motivi, anche – e soprattutto – strategici per limitare l’influenza iraniana, hanno sempre temporeggiato ed evitato di impegnarsi politicamente. 

Della mutazione d’atteggiamento dell’Arabia Saudita si ha avuto contezza dopo l’incontro tra il Ministro degli Affari Esteri saudita Faisal bin Farhan e l’inviato delle Nazioni Unite in Siria Geir Pederson, a margine del World Economic Forum di Davos dello scorso gennaio 2023. Dichiarazioni di apertura verso la Siria, cui ha fatto seguito la revoca del divieto del regime siriano d’importare prodotti sauditi.

Coerente ed in linea con quella saudita appare la posizione dell’Egitto che già nel 2022 si era espresso favorevolmente per un ripristino dell’adesione della Siria alla Lega Araba, ritrattando successivamente ed assumendo una posizione attendista.

Da questo breve excursus emerge una frantumazione delle posizioni e dei rispettivi interessi degli attori regionali e mondiali nei riguardi della Siria che, in qualche modo, con la riammissione alla Lega Araba, è stata riabilitata nel consesso internazionale. 

In realtà rimane un Paese fragilissimo, sull’orlo della bancarotta, che dev’essere aiutato, superando le riluttanze dei più. Il quadro economico-sociale è estremamente preoccupante con l’80% dei 12 milioni di siriani che soffrono di insicurezza alimentare, mentre più di 2 milioni rischiano di morire di fame. 

Una normalizzazione dei rapporti che arriva in un momento particolarmente buio per i siriani: sembra quasi un paradosso storico!

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