40 anni della Rivoluzione islamica iraniana, Frammenti di memoria di una testimone.

40 anni della Rivoluzione islamica iraniana, Frammenti di memoria di una testimone.

Ingresso del bazar di Kerman (photo ©firuzeh)

Ingresso del bazar di Kerman (photo ©firuzeh)

 

Il 16 gennaio 1979 gli strilloni dei giornali sventolavano nelle strade pagine dei quotidiani più venduti dove campeggiava una scritta cubitale Shah raft…lo Shah se ne andò…infatti quel giorno Mohammad Reza Pahlavi lasciò Teheran con Farah e alcuni cortigiani a lui particolarmente vicini. La rivoluzione era a un passo dalla vittoria.

Pochi giorni dopo, l’11 febbraio, con la caduta dell’’ultimo governo monarchico, quello di Shapur  Baktyar che pur aveva preteso l’uscita di scena del Monarca, con il suo allontanamento dal territorio, la vittoria della rivoluzione fu definitiva.

Quel giorno assistei al primo abbattimento di statue dello Shah. In macchina avevo sul cruscotto due garofani rossi incrociati, segnale che allora indicava: sono per la rivoluzione. Potevo farlo perché avevo già venduto la mia macchina con targa diplomatica e giravo con una vecchia Renault Diane con targa iraniana che mi facilitò molto i pur difficili spostamenti. Parlavo anche uno spedito persiano e quindi non svelavo mai la mia identità di diplomatico, facendomi passare per una studentessa italiana di lingue.

Avevamo passato dei giorni difficili prima di quel fatidico 16 gennaio: banche chiuse, negozi di liquori dati alle fiamme, strade invase dalla folla minacciosa. Notai che vi erano anche molte donne tra i manifestanti ma tutte o quasi con il chador, per lo più quello nero, invece di quelli chiari a fiorellini che si usavano prima.: il nero dappertutto. Molti mullah anche erano nelle strade e nelle piazze.

Non posso dimenticare una notte di dicembre quando sentii uno strano rumore salire verso il palazzo dove abitavo…a mano a mano compresi quel che stava succedendo: gli iraniani di Teheran salivano sui tetti delle loro case dove d’estate dormivano per il caldo intenso e quindi avere qualche refrigerio),  e urlavano Allah U-Akbar (Allah è grande). Sembrava una valanga di rumore assordante che rotolava sempre più forte fino a investire il palazzo dove abitavo e passare oltre.

La parte più dura della rivoluzione era iniziata l’8 settembre 1978 quando a Meidan-e-Jaleh l’esercito dello Shah fece numerosi morti perché l’assembramento era stato vietato. Fu deciso dalle autorità il coprifuoco anche a Teheran. Le manifestazioni si susseguirono ogni giorno  ricordando  i morti. La più grande si ebbe appunto ai 40 giorni dei morti di Maidan-e-Jaleh e poi di seguito perché tra gli sciiti si ricordano i morti ai  i 40 giorni dal decesso. Ogni giorno vi era stato qualche morto negli scontri e quindi manifestazioni in ricordo ogni giorno nonostante lo Shah cercasse di pacificare gli animi destituendo Amir Abbas Hoveida dai suoi compiti ventennali di Primo Ministro; sollevando dalle loro responsabilità collaboratori che lo avevano servito per decenni. L’ultimo incarico che diede fu proprio a una persona che era stata un fiero oppositore del regime con qualche anno di prigione sulle spalle, Shapur Baktyar.

Mohammad Reza fece un discorso in televisione nei primi giorni di novembre 1978: aria sommessa, viso dolorante. Era già molto malato e un tumore l’avrebbe fatto morire nel 1980. Un discorso quale non aveva mai fatto, riconoscendo che erano stati fatti alcuni errori, che stava dando ascolto al suo popolo e alle sue richieste. Servì a nulla….A quei tempi ancora ’Iran era un Paese tollerante; accoglieva tutte le fedi, che con la dovuta discrezione, potevano essere professate.

Khomeini continuava a pretendere la sua deposizione e morte per tradimento verso l’Iran. Shapur Baktyar non riuscì a comoletare  due mesi di governo. Anche contro di lui si scagliava l’ayatollah che intanto aveva lasciato Najaf in Iraq dove viveva in esilio dal 1963, per rifugiarsi in Francia a Neauphle-le-Château, nell’Île-de-France.

E su un aereo dell’Air France rientrò in patria, dopo l’esilio comminatogli dal Monarca. Il suo odiato nemico era partito e l’ayatollah rientrava accolto da migliaia di manifestanti che inneggiavano alla fine di un regime odioso e dispotico. Non sapevano, non riuscirono a prevedere quello cui andavano incontro, felici che il tiranno fosse stato abbattuto e pieni di speranza x il futuro.

Dall’aeroporto si recò appunto al Grande Cimitero, Behest-Zara. Ero in strada; lo vidi passare in mezzo a una folla di giovani e anziani che lo osannavano. Peccato che quegli stessi giovani, ormai anziani, mi abbiano detto nella mia recente visita in Iran, che … stavano meglio con lo Shah. Se ne sono accorti troppo tardi.

Gli altri grandi ayatollah si riunivano nell’Università di Tehran, Taleghani, Shariat Madari che in realtà era un oppositore di Khomeini perché aveva sempre ritenuto che i religiosi shiiti non si dovessero occupare di politica. Infatti, fu arrestato e tenuto agli arresi domiciliari fino alla sua morte nel 1986.

Ebbi in sorte di parlare con Shariat Madari in una manifestazione appunto all’università di Teheran e ne apprezzai la moderatezza e la saggezza. Ero dentro con manifestanti e seguaci di Shariat Madari, mentre fuori dai cancelli era disposto in armi l’esercito dello Shah, ancora titubante se passare dalla parte dei manifestanti o servire il ‘tiranno’. Come è noto, fu proprio il passaggio di una gran parte delle forze armate alla rivoluzione che sancì la vittoria della stessa. Riuscii a uscire senza danni dal recinto dell’Università e ancora adesso non so come ci riuscii: l’incoscienza di chi sa che sta vivendo un pezzo di storia e di altro non si occupa. Già altre volte mi ero trovata di fronte i soldati ma almeno quando io fui lì, essi non spararono…. Si era ormai verso la fine dell’iter rivoluzionario.

Khomeini era tornato e diede l’incarico di Primo Ministro a Mehdi Bazargan…iniziava il nuovo regime con tante speranze dei giovani soprattutto.

Non posso dimenticare un altro momento particolare passato in televisione, quello tra Khomeini e Yasser Arafat venuto a congratularsi per la fine del regime Pahlavi e la vittoria della rivoluzione E’ ben noto ch gli iraniani non sono arabi e almeno a quell’epoca non avevano grandi apprezzamenti per la popolazione araba. Sentire quindi alla televisione che Khomeini si rivolgeva al leader palestinese con le parole ‘fratello nostro’ ci fece comprendere che forse vi era stato un grande cambiamento e chissà anche un avvicinamento tra sunniti e sciiti. Non era una giusta valutazione.

I momenti successivi all’11 febbraio furono apparentemente più calmi: le manifestazioni non erano cessate ma erano rivolte contro gli stati che non avevano riconosciuto la repubblica islamica. Pochi ne parlano ma il 14 o il 15 febbraio 1979 una gran folla minacciosa si era radunata di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti, come se volesse penetrarvi. Anche quella volta mi trovai per caso nei paraggi e assistei al tentativo abortito di occupare la sede diplomatica. Non ci riuscirono quella volta ma nel novembre successivo ebbero successo prendendo in ostaggio il personale che ancora era in servizio.

La maggior parte delle ambasciate aveva ridotto i propri funzionari e a me toccava dopo cinque anni andar via.  E non fu facile passare i controlli in aeroporto presidiato da mujaheddin e pasdaran…ma ci riuscii senza problemi. Era l’8 marzo, il giorno in cui fu imposto a tutte le donne di velarsi il capo.

Non posso dimenticare i negozi messi a ferro e fuoco, le banche chiuse, il problema di non avere contanti per pagare qualsiasi cosa, la benzina che non c’era più…ma stranamente pane, cipolle, riso, montone si potevano trovare: il cibo del popolo. Non si poteva affamare il popolo: gli organizzatori della rivoluzione avevano ben tarato le loro proteste facendo in modo che il loro popolo potesse, sia pur con una certa difficoltà di approvvigionamento, avere la base del loro sostentamento quotidiano.

Vivemmo dall’agosto 1978, quando avvenne una grave tragedia a Abadan con l’incendio del Cinema Rex e 400 morti che portò al primo coprifuoco in alcune città una atmosfera cupa e grave.

Non capimmo in quei giorni la portata storica della rivoluzione islamica sciita: per la prima volta i religiosi avevano preso il potere politico in Iran. Dopo 40 anni abbiamo compreso quel che ha voluto dire l’imposizione della sharia nel mondo contemporaneo.

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