IN IRAN LA SITUAZIONE NON SEMBRA STABILE…

IN IRAN LA SITUAZIONE NON SEMBRA STABILE…

I tetti di Yazd (photo©firuzeh)

I tetti di Yazd (photo©firuzeh)

Continua l’approfondimento sulla situazione attuale in Iran. In questo momento storico è veramente interessante la frattura tra i mercanti del bazar e i religiosi, che era stata asse portante fin dal 1906 di sfida alla Monarchia. Questa alleanza, ora che gli Ayatollah governano, si è frantumata di fronte alle difficoltà della società iraniana e dell’economia dello Stato.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. Le proteste in Iran

Alle proteste di questi giorni, le autorità della Repubblica islamica hanno reagito con i gas lacrimogeni e qualche arresto. Le proteste hanno luogo nella capitale e non in altre località come a fine 2017 e inizio 2018: la gente è scesa in strada davanti al Parlamento ma teatro del dissenso è soprattutto il bazar e quindi i mercanti (i bazari), quel ceto sociale che nell’ottobre 2008 si era ribellato all’imposizione di una tassa del 3% sul valore aggiunto da parte dell’ultraconservatore Ahmedinejad.

Nella storia dell’Iran, i mercati sono da sempre il motore del cambiamento. Erano stati loro, i bazari,  a co-finanziare la rivoluzione del 1979, portando alla caduta dello shah. Negli anni Sessanta e Settanta, l’opposizione alla monarchia era rappresentata dal clero sciita, irritato per le riforme imposte dall’alto che toccavano i loro interessi) e dai mercanti, minacciati dalle tasse e dai tentativi  delle autorità di controllare i prezzi.). L’alleanza tra moschee e bazar era suggellata dalle imposte religiose pagate dai mercanti. In cambio, i bazaripretendevano un sostegno dai Mullah.

Tornando indietro nel tempo, la prima protesta popolare risale al 1891-92: Nasr-ed- Din Shah aveva dato a un inglese la concessione per lo sfruttamento e la vendita del tabacco, largamente consumato in Persia. Con una Fatwa(un decreto religioso) l’Ayatollah Shirazi vietò agli iraniani di fumare. I mercanti e i religiosi fecero fronte comune, astenendosi dal fumo e obbligando il sovrano ad annullare la concessione.

Oggi il clero sciita e i mercanti non sono più allineati sulle stesse posizioni. Gli Ulema controllano (insieme ai pasdaran, alle Guardie rivoluzionarie) le forze armate, i servizi di sicurezza e gli apparati di polizia. Si è così venuti ad alterare la tradizionale alleanza tra la moschea e il bazar. In questi giorni, i bazarihanno tenuto le serrande abbassate. Protesta per il caro vita, la svalutazione del rial e il divieto di importare 1.300 prodotti, fenomeni causati dalla sanzioni americane.

L’obiettivo dei mercanti sono probabilmente le dimissioni  – o l’impeachment – del presidente Rohani, percepito come troppo debole per traghettare il Paese in questo momento di crisi sul fronte interno e internazionale.

C’è poi il caso delle 5.000 auto di lusso entrate in Iran, di contrabbando, senza che nessuno sia incriminato: passa il messaggio che farla franca è troppo facile. In una situazione di grave crisi economica, può essere la goccia che fa traboccare il vaso.

In politica estera, l’Iran ha rinunciato alla sovranità nucleare in cambio di niente: gli americani non hanno rispettato l’accordo del 2105, lasciando in essere le sanzioni che impediscono alla banche iraniane di rientrare nei circuiti finanziari internazionali.

Dopo un primo anno di crescita al 12%, l’economia si è arrestata al 4%, ma le aspettative erano dell’8%.

  1. L’ombra dei militari si allunga sull’Iran

Decifrare la complessa situazione che sta attraversando l’Iran non è facile. L’Occidente ha sbattuto, ancora una volta, la porta in faccia alla Repubblica islamica e ai suoi cittadini: i Paesi dell’Unione Europea raramente concedono loro un visto d’ingresso, e il presidente statunitense Trump ha inserito l’Iran nel decreto contro i musulmani impedendo di chiedere il visto con la procedura semplificata.

Ad aiutarci a comprendere le vicende più recenti è Jamileh Kadivar, deputata riformista del governo Khatami e braccio destro di Karrubi nel movimento d’opposizione del 2009 noto come Onda Verde.

Jemileh Kadivar chiarisce: Trump non vuole che in Medio Oriente  ci sia un Paese forte e indipendente, preferisce la Repubblica Islamica sia debole e obbediente. Per questo ha dato  il via a una guerra economica con l’obiettivo di indebolire il più possibile gli Ayatollah al potere. In questo conflitto, Israele e Arabia saudita sono ovviamente dalla parte degli americani.

In altri termini, se a Teheran prenderanno il potere i militari, dovremo dire grazie a Donald Trump: a forza di insistere, è riuscito nel suo intento.

    3. Rohani in Europa

Il presidente iraniano Hassan Rohani è arrivato il 2 luglio in Svizzera per discutere sull’accordo nucleare negoziato in territorio elvetico il 2015.

La prima tappa del tour europeo di Rohani è stata Zurigo, dove nel pomeriggio dello stesso giorno è stato ricevuto dal presidente della Confederazione Alain Berset, con gli onori militari.

Al di là di un incontro organizzato dalla Camera di commercio svizzero-iraniana, la delegazione di Teheran non è però stata invitata in un’impresa né in un politecnico o altra istituzione accademica.

Se pure nel 2016 una delegazione svizzera guidata dal consigliere federale Johann Schneider – Amman, si era recata in Iran, ora, dopo la decisione di Trump di tirarsi fuori dall’accordo nucleare gli svizzeri pensano ai loro interessi e non vogliono rischiare sanzioni americane.

Per questo, Caran D’Ache e altre imprese che vendono termometri di precisione e materassi di alta qualità si stanno velocemente ritirando dal mercato iraniano.

Dal canto loro, i banchieri svizzeri non hanno mai rischiato, perché di certo non possono rinunciare alle transazioni in dollari. E quei pochi che osavano, come la Banque de Commerce et de Placement, fanno marcia indietro.

Questo porterà a uno spostamento della Repubblica islamica nell’area d’influenza economica cinese. Al tempo stesso, la Russia aumenterà il proprio potere su Teheran, in particolare nei settori dell’energia, del nucleare e degli armamenti.

Dopo le proteste di fine 2017 e l’inizio 2018, ora il regime è consapevole di essere diventato impopolare anche nelle campagne e nelle cittadine. Malgrado questa contestazione sempre più aperta e visibile nello spazio pubblico, la forza della repubblica islamica risiede nella paura del caos, nel monopolio dell’uso della forza e nella capacità di distribuire i petrodollari in maniera clientelare.

  1. Il 7 luglio a Vienna Iran e 4+1 resistono a Trump.

A Vienna, la Russia e gli altri Paesi firmatari dell’accordo nucleare iraniano del 2015 hanno concordato di elaborare altre modalità con la Repubblica islamica indipendentemente dalle intenzioni dell’amministrazione Trump.

La delegazione di Teheran ha promesso che non abbandonerà l’accordo nonostante l’atteggiamento bellicoso del presidente americano e le sanzioni a stelle e strisce. Sanzioni che ricordano il torto già fatto all’Iran vendendo armi all’Iraq nella guerra scatenata da Saddam nel settembre 1980, osserva al telefono da Teheran la scrittrice Mahsa Mohebali, vincitrice del premio Golshiri per il romanzo “Non ti preoccupare”.

Oltre alle sanzioni, Washington minaccia di bloccare le esportazioni di petrolio iraniano, ma i pasdaranreplicano di essere pronti a fermare il passaggio delle petroliere nello stretto di Hormuz.

Mentre sale la tensione, è stato intervistato un altro scrittore a Teheran. Anche le sue opere sono state pubblicate in italiano dalla Casa Editrice Ponte33 nella raffinata traduzione di Giacomo Longhi.

Per Mehdi Rabbi, gli iraniani non possono che provare risentimento verso gli Stati Uniti che negli anni Ottanta  erano a fianco dei militari iracheni, mentre si sono dimenticati che la Germania ha venduto armi chimiche a Saddam e la Francia ha rifornito gli aerei

La rabbia degli iraniani verso Washington è alimentata dal fatto che il 3 luglio 1988 la portaerei Vincennesaveva abbattuto un aereo di linea dell’Iran Air facendo 290 vittime: un crimine che la comunità internazionale non ha mai condannato, un incidente per cui gli americani non si sono neppure scusati e, al contrario, è valsa una medaglia al comandante della portaerei, commenta Mehdi. Per questo gli iraniani non hanno fiducia nella comunità internazionale aggiunge …Gli iraniani riflettono su quanti danni abbia causato l’inimicizia con gli Stati Uniti. Vogliamo la pace ma abbiamo motivo di essere diffidenti: gli americani si sono intromessi più volte nelle nostre vicende interne, non solo nella guerra Iran-Iraq, ma anche nel colpo di Stato del 1953 contro il premier Mossadeq… che aveva nazionalizzato il petrolio.

All’indomani dell’incontro di Vienna, secondo Mehdi sebbene l’Europa abbia fatto grandi sforzi per l’Iran, non potrà rinunciare ai rapporti con gli USA. E’ probabile che la situazione economica ritorni indietro al 2007, quando le sanzioni erano pesanti. In questi giorni il costante e ingiustificato aumento dei prezzi e l’incertezza economica hanno spaventato gli iraniani, i bazar sono stati teatro di proteste: la gente cerca di investire nell’oro e di comprare dollari ed euro per fare fronte alla svalutazione del rial

Per Mahsa quando il governo non riesce a gestire la situazione,  a trarne vantaggio sono i Pasdaran. Nelle ultime elezioni sono stati loro il rivale principale del fronte moderato, ora faranno di tutto per approfittare del disordine. Non faranno un colpo di Stato, ma saranno favoriti alle prossime elezioni… anche perché hanno giocato un ruolo fondamentale nel frenare l’avanzata dell’ISIS in Siria e Iraq. Di fatto, interrompe Mehdi,  mandando a rotoli l’accordo nucleare, Trump favorisce i falchi di Teheran. Ma non credo si possa costituire una giunta militare,  anche perché nella storia dell’Iran i governi dei generali non hanno mai funzionato… Gli iraniani non vogliono i pasdaranal potere, temono le sanzioni, la povertà e la fame.

Ma non hanno paura che si scateni una nuova guerra, anche se ne hanno memoria: Quest’anno ricorrono esattamente 30 anni dalla fine del conflitto scatenato da Saddam. Trenta anni significano una generazione. E’ normale che i giovani non abbiano un ricordo della guerra, tuttavia due generazioni fanno di tutto affinché la memoria non vada persa e la storia non si ripeta. I mutilati, i morti per gli attacchi chimici non sono cose che si dimenticano facilmente. Settant’anni dopo,  gli europei hanno forse scordato che cosa è stata fatta per loro la seconda guerra mondiale? si chiede Mahsa. Con il fatalismo tipico dei suoi connazionali, Mehdi conclude: Sono 2500 anni che l’Iran esiste e non è la prima volta che, Paese della storia millenaria, attraversa periodi difficili. Anche quei momenti bui passeranno. Troveremo un compromesso con gli USA…

  1. Rohani avverte Trump

Frasi pesanti di avvertimento agli Stati Uniti di Donald Trump il 22 luglio da parte del presidente iraniano Hassan Rouhani.

Parlando a un gruppo di diplomatici iraniani, Rouhani mette in guardia Trump dal perseguire politiche ostili nei confronti di Teheran: …L’America dovrebbe sapere che la pace con l’Iran è la madre di tutte le paci, e la guerra è la madre di tutte le guerre. Mister Trump non giochi con la coda del leone. Se ne potrebbe solo pentire

I rapporti fra USA e Iran sono precipitati con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca.

Nel maggio scorso, il presidente americano annuncia l’abbandono degli accordi multilaterali sullo smantellamento del nucleare iraniano, promossi insieme all’Unione Europea. E il dipartimento di Stato guidato da Mike Pompeo sta lanciando proprio in questi giorni una campagna di discorsi pubblici e dichiarazioni sui social media mirata a screditare il governo Rouhani.

Secondo le fonti dell’amministrazione citate dalla Reuters, la campagna ha come obiettivo di fomentare la rivolta interna e incrementare la pressione sulle autorità iraniane perché abbandonino il programma nucleare e il sostegno ai gruppi armati in Medio Oriente. La campagna è sostenuta dal segretario di Stato Pompeo e dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, e va di concerto con l’imposizione di nuove sanzioni all’Iran annunciata da Trump.

Nel mese di luglio  Pompeo è intervenuto a un convegno di iraniani americani (molti dei quali sono fuggiti negli USA dopo la rivoluzione islamica) in California, con un discorso intitolato “Supporting Iranian Voices” (sosteniamo le voci iraniani).

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