La riconciliazione tra Etiopia ed Eritrea: è la volta buona?

La riconciliazione tra Etiopia ed Eritrea: è la volta buona?

 

Presidente Isaias Afwerki

Presidente Isaias Afwerki

 In tempi lontani si scriveva molto sull’Etiopia….poi questo territorio cadde nell’oblio per dimenticare vicende difficili della storia italiana. Tornò alle luci della ribalta quando l’imperatore Hailé Selassiè fu detronizzato negli Anni Settanta. Poi se ne scrisse quando l’Eritrea divenne indipendente rendendo l’Etiopia uno stato enclave. L’oblio nei media italiani persiste. Invece l’Etiopia è interessante e ancor più l’Eritrea, dalla quale peraltro provengono moltissimi profughi, territorio chiave sul Mar Rosso. Di seguito un articolo molto chiaro e esaustivo sulla situazione attuale. Si spera che questa volta la pace fra i due stati sia duratura.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Dopo vent’anni di gelo diplomatico e di guerra “non dichiarata” tra l’Etiopia e l’Eritrea, la recente riconciliazione sembra (finalmente) essere la giusta strada per risolvere l’atavico stato d’ostilità tra i due Paesi.

Il recente accordo stipulato ad Asmara (6 luglio u.s.) tra il Primo Ministro etiope Ably Ahmed e il Presidente eritreo Isaias Afwerki, alimenta la speranza per una pace duratura, a vantaggio di entrambi i contendenti.

Ad accrescerne le aspettative è la notizia del graduale ritiro delle truppe eritree dislocate lungo i confini con l’Etiopia.

Significativa la nomina da parte di Addis Abeba dell’Ambasciatore in Eritrea, dopo vent’anni di blocco delle relazioni diplomatiche.

In aggiunta, l’Etiopia ha anche presentato ufficialmente al Segretario Generale delle Nazioni Unite una richiesta di revoca delle sanzioni imposte dall’ONU all’Eritrea.

Altro effetto collaterale del riavvicinamento è la riapertura dei collegamenti aerei; infatti, l’Ethiopian Airlinesdal 18 luglio u.s. ha ripreso regolarmente a volare con destinazione Asmara, con l’intento altresì di acquisire una partecipazione nella Compagnia aerea eritrea.

L’ottimismo sembra essere condiviso da diversi attori internazionali, compresi gli Stati Uniti d’America, l’Unione Europea, l’Unione Africana, l’IGAD – l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo cui fanno parte il blocco di paesi dell’Africa dell’Est, nonché molti leaderafricani tra cui il Presidente del Kenya Kenyattae del Ruanda Kagame.

Nel quadrante orientale africano l’Etiopia, grazie alla sua posizione strategica, è un importante raccordo per tutte le attività commerciali “da” e “per”i paesi del Golfo Persico e una tra le realtà più interessanti dell’area.

Paese in crescita demografica (secondo paese più popoloso del continente con una popolazione stimata di oltre 102 milioni di abitanti), con un buon potenziale e un bilancio statale in positivo che, nel volgere di due generazioni, ha accelerato la crescita economica.

Un Paese che ha l’ambizione di trasformarsi, da qui alla prossima decade, in un’economia a medio reddito e divenire tra i primi paesi manifatturieri di tutto il continente africano.

L’Eritrea, al contrario, è da lungo tempo in stagnazione economica e buona parte della popolazione (circa sei milioni e mezzo di cittadini), vive sotto la soglia di povertà (175° Paese su 196 per qualità di vita).

Il settore pubblico eroga stipendi bassi (compresi quelli di un mastodontico apparato militare), la corruzione è dilagante, gli effetti delle sanzioni economiche imposte dall’Onu si sono fatti sentire e molta gente fugge ed emigra.

Tra le varie etnie, quella eritrea è una delle più numerose a essere sbarcate sulle coste italiane negli ultimi due anni; tutto ciò per una combinazione di fattori: fuga dall’oppressione di un regime autoritario, dalla miseria e dai rigurgiti delle tensioni regionali.

L’emigrazione eritrea ha radici lontane nella lotta per l’indipendenza e si è acuita, oltre che per i motivi suesposti, anche per le numerose diserzioni da parte dei giovani eritrei vogliosi di scappare da un Paese dove la coscrizione è obbligatoria e l’obiezione di coscienza non è ammessa.

La distensione dei rapporti tra l’Eritrea e l’Etiopia potrebbe potenzialmente avere un impatto positivo sui flussi migratori, trasformandone la natura con l’auspicabile implementazione, venuto meno il nemico principale, di una riforma in materia di leva obbligatoria.

L’economia eritrea dipende in larga misura dalle rimesse degli emigrati all’estero, dall’agricoltura, dal settore zootecnico, dalla pesca e dall’industria.

Il sottosuolo eritreo è ricco di minerali, in particolare oro, rame, ferro, manganese, zinco e cloruro di sodio estratto nelle saline di Massauae diAssab, ma anche di petrolio e di gas, soprattutto offshore, ma non ancora sfruttato appieno.

Il Mar Rosso rappresenta una potenziale risorsa non solo per la pesca, ma anche per il turismo, tuttavia ad oggi sostanzialmente inesistente.

La riconciliazione tra l’Etiopia e l’Eritrea è il frutto di numerose tappe di riavvicinamento che partono da lontano, molto lontano.

Nel 1993 l’Eritrea, dopo una trentennale guerra con l’Etiopia, ottenne l’indipendenza proclamandosi Repubblica; di fatto, null’altro che una rigida autocrazia marcatamente militarizzata.

Due anni dopo, nel 1995, si aprì un contenzioso con lo Yemen per il possesso delle isole Hanish, risolto dall’intervento della Corte Internazionale Permanente d’Arbitrato a vantaggio dello Yemen.

Nello stesso periodo iniziarono nuovamente a deteriorarsi i rapporti con l’Etiopia per gli strascichi della definizione dei confini, lascito della precedente guerra.

Per risolvere il problema, nel 1997 fu costituito un Comitato ad Hocper riscrivere i confini, rifacendosi alle antiche linee tracciate dall’Italia nel periodo coloniale.

La difficoltà di stabilire l’appartenenza della città di Badmènon permise di ricomporre la disputa, che s’intensificò e proseguì sino agli accordi di Algeri del 18 giugno 2000, con la creazione di una zona di sicurezza temporanea e l’invio della missione delle Nazioni Unite (UNMEE).

Per qualche anno i rapporti tra i due paesi rimasero tranquilli sino al 2008 quando la missione ONU terminò, su pressione di entrambi.

Da quel momento ad oggi, s’è assistito al proliferare di gruppi armati anche di stampo jihadistae a un crescendo della violenza, sino all’accettazione da parte etiope dei confini decretati dall’Eritrea Ethiopia Boundary Commission.

La pace tra i due paesi dovrebbe/potrebbe implementare la stabilità in tutta la regione e porre termine ai c.d. “conflitti di faglia” (Scontro di Civiltà di Huntington), basti ricordare l’implosione del Sud Sudan, il dramma della Somalia, le tensioni in Kenia e la guerra nello Yemen.

Ci sono anche vari contenziosi aperti tra cui quello tra Eritrea e Gibuti a causa dello schieramento di truppe eritree al confine tra i due Paesi e, soprattutto, quello legato alla nuova Diga etiope Annahda (Diga del Risorgimento), che sorge nella regione di Beninshangulin prossimità del confine con il Sudan.

Il progetto, realizzato dalla ditta italiana Salini Impregilo, è faraonico per dimensione, estensione, capacità e costi.

Altresì è una struttura che crea forti tensioni con i paesi viciniori a causa dello sfruttamento delle acque del Nilo da parte dell’Etiopia.

Il Nilo, in virtù del retaggio coloniale, continua ad essere associato all’Egitto e, in misura minore, al Sudan; la realtà però è diversa e gli altri otto paesi che si affacciano sul fiume, in primis l’Etiopia ma anche l’Eritrea, l’Uganda, il Kenia, il Ruanda, la Tanzania, il Congo e il Burundi, cercano da molti anni di avere un ruolo.

Il problema è lo squilibrio tra i paesi che forniscono l’acqua (l’Etiopia provvede con il Nilo azzurro e i suoi affluenti per l’85%) e che non hanno tangibili vantaggi, rispetto ai paesi posti a valle del Nilo che ricevono l’acqua e, di fatto, ne controllano lo sfruttamento.

Secondo gli etiopi se è vero che l’Egitto è un dono del Nilo, per converso è altrettanto vero che il Nilo è un dono dell’Etiopia. Un gioco di parole che spiega molto bene la posizione etiope.

L’Etiopia altresì potrebbe/dovrebbe fare da volano e assurgere ad un ruolo guida per rivitalizzare l’intera regione (in particolare la confinante Eritrea), in una nuova allettante area economica attrattiva per gli investimenti stranieri (non solo cinesi) a tutto vantaggio, si spera, delle popolazioni locali.

Con la speranza che il sentimento d’entusiasmo e curiosità germogliato per la notizia della riconciliazione, non ripiombi in breve tempo in un nefasto scetticismo.

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Ably Ahmed Primo Ministro dell'Etiopia

Ably Ahmed Primo Ministro dell’Etiopia

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