UN’ALTRA GRANDE GUERRA SI PREPARA NEL MEDIO ORIENTE?

UN’ALTRA GRANDE GUERRA SI PREPARA NEL MEDIO ORIENTE?

maxresdefault

                   (U.S. Navy photo by Mass Communication Specialist 2nd Class Corey Hensley/Released)

La situazione in Medio Oriente diventa sempre più complicata e fa temere altri spunti di conflitto non virtuale….alcune interessanti riflessioni sulla questione Israele-Palestina da parte di chi conosce bene quei territori. Indubbiamente i venti di guerra soffiano forti.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. La preparazione USA-ISRAELE

Andranno avanti fino al 15 del corrente marzo le esercitazioni “Juni-per Cobra” con le quali migliaia di militari americani e Israeliani si stanno preparando insieme.

Come di consueto, il motivo delle esercitazioni è dichiarato per come vi sia la necessità per proteggersi contro il lancio di migliaia di missili contro Israele da Libano, Siria, Iran e Gaza (da oltre 10 anni, chiusa da Israele da cielo, mare e terra e sottoposta a guerre che ne hanno demolito intere città).

Ma è questo il vero scenario se Israele con il concorso americano darà inizio alla sua offensiva “preventiva” contro il Libano e il movimento sciita Hezb’Allah, di cui si parla quotidianamente da tempo?

Guardiamo i fatti.

In questo contesto non è insignificante l’allarme generale che, secondo alcuni media arabi, avrebbe proclamato Hezb’Allah in risposta a una “luce verde” che l’amministrazione del presidente Donald Trump avrebbe dato al governo Netanyahu per un attacco al Libano.

Di fatto, testimoni riferiscono che a Dahiyeh e in altre parti della periferia meridionale di Beirut, la roccaforte del movimento sciita nella capitale libanese, è aumentato il numero dei posti di blocco e si percepisce una tensione crescente evidenziata da misure di sicurezza adottate nel Sud Libano, a ridosso della linea di confine con Israele.

In questo quadro, un giornalista libanese spiega al quotidiano “Il Manifesto” che l’allerta di Hezb’Allah “non è legato al timore di un imminente attacco a sorpresa quanto al rischio che spie di Israele siano riuscite a infiltrarsi nell’area controllata dal movimento sciita per compiere azioni di sabotaggio”.

In altri termini, Israele avrebbe presentato agli americani che “l’attività Hezb’Allah sarebbe devastante e che Israele dovrebbe combattere lungo un fronte di centinaia di chilometri che comprende anche la Siria, senza dimenticare il coinvolgimento di unità scelte iraniane presenti nei pressi di Quneitra, a ridosso del Golan”.

In realtà, nel frattempo, i comandi israeliani e americani coordinano i sistema di “difesa” anti-missile Iron Dome, Patriot, Fionda di David e Arrow. Stiamo imparando molto in vista di future minacce. Ai soldati è richiesto di operare il sistema di armi in un contesto complesso, con missili nemici che distruggono i quartieri dove vivono” ha dichiarato al sito Ynet il tenente colonnello Robi Regev, responsabile di una batteria della Fionda di Davide. Il Comando Europeo dell’Esercito statunitense (Eucom) da parte sua fa sapere che, in caso di bisogno, i soldati americani potranno arrivare in due o tre giorni.

Per le esercitazioni congiunte gli USA schierano anche la portaelicotteri d’assalto USS Iwo Jima e la nave da guerra USS Mount Whitney, il sistema di difesa anti-missile balistico Aegis, 25 aerei.

Alle manovre in corso, si aggiungono le dichiarazioni fatte a inizio settimana da Ben

jamin Netanyahu in visita a Washington, dove ha incontrato Donald Trump. Il premier israeliano ha insistito sull’appoggio pieno della Casa Bianca a Israele, in particolare su una politica del pugno di ferro contro Iran e Hezb’Allah.

  1. Come il ruolo di Israele sarebbe diventato fondamentale nella guerra al cosidetto “pericolo islamico”.

E’ perché crea l’equazione “lotta di liberazione uguale al terrorismo”.

Lo storico israeliano Ilan Pappe, autore di fondamentali ricerche storiche sul progetto sionista e i suoi effetti sul popolo palestinese, chiarisce un tema centrale su “decolonizzazione e libertà”.

“Il discorso sionista è fondato su basi fragili: la realtà non coincide con la narrazione – spiega Ilan Pappe -. Per questo, il mondo accademico israeliano si è mobilitato: si dovevano rafforzare quelle basi. Identificare i materiali con cui la narrazione sionista è stata costruita non è solo un esercizio intellettuale, perché quel discorso ha un impatto sulla vita di un popolo. Il primo materiale utilizzato è l’assorbimento della Palestina all’interno della storia dell’Europa. Dalla dichiarazione Balfour (1916), passando per il piano di ripartizione dell’ONU nel 1947 fino alla dichiarazione di Trump su Gerusalemme, l’Europa occidentale e l’Occidente percepiscono la Palestina come un affare interno. E questa falsa rappresentazione è stata traslata su Israele. In tale visione i palestinesi, in quanto arabi e musulmani, sono visti come migranti e non come nativi”

“Il secondo materiale è la natura del progetto coloniale sionista: un colonialismo d’insediamento del tutto simile a quello perpetrato in Nord America, Australia e Sudafrica. La presenza di popoli indigeni che non corrispondevano alla popolazione desiderata dai coloni europei si è tradotta in genocidio nei primi due casi, in apartheid in Sudafrica e in pulizia etnica in Palestina” (vedi La Pulizia etnica della Palestina, Fazi editore, 2015).

L’idea che gli indigeni siano gli invasori sta alla base di questo tipo di colonialismo e narra la storia della Palestina in questi termini. E quella israeliana si spinge oltre quando discute di questione demografica, legittimando le politiche di riduzione del numero di palestinesi sul territorio. In atto c’è lo stesso processo di disumanizzazione che il neoliberismo applica ai lavoratori.

Il sei dicembre scorso, il presidente USA Trump ha riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele.

E’ questo un atto meramente simbolico che non modifica lo status della Città Santa, o un atto con effetti concreti?

3.La questione di Gerusalemme.

Il riconoscimento della Città Santa come capitale di Israele non è simbolismo. L’importanza di questa sta nel messaggio inviato alle Nazioni Unite e al mondo: il diritto internazionale, nel caso di Israele e Palestina non conta più.

Lo status di Gerusalemme è protetto dal diritto internazionale e per questo nemmeno gli Stati Uniti avevano mai trasferito l’ambasciata a Gerusalemme. E’ vero che il diritto internazionale non è mai stato rispettato da Israele, come del resto le Relazioni dell’Assemblea Generale USA e del Consiglio di Sicurezza, ma la comunità internazionale ha sempre sperato che quella legge avesse un significato. Quindi, la dichiarazione di Trump ha un effetto concreto, tanto più che il presidente americano ha assicurato Israele che nel maggio di questo anno sposterà l’Ambasciata nella Città Santa.

In sostanza, secondo il presidente americano, se il diritto internazionale non ha valore a Gerusalemme allora non ha valore nemmeno nel resto della Palestina. Qui sta il cuore del riconoscimento: costringere a un cambio di marcia e di riferimenti politici e dire a chi ha sempre creduto nel diritto, nella soluzione a due Stati, nel processo di pace, che tutti questi strumenti non saranno d’aiuto nella lotta contro il colonialismo di Israele. Si deve dunque pensare a un approccio diverso, simile a quello che fu adottato contro il Sudafrica dell’apartheid.

Israele è assunto come modello securitario, sia nel sistema di controllo che nella logistica della separazione tra un “noi” e un “loro”, che nella fortezza-Europa si traduce nella chiusura ai rifugiati.

La cosiddetta guerra al terrorismo ha aiutato moltissimo Israele. A Francia, Belgio, Stati Uniti e altri Paesi, Israele ha dato consigli e sostegno sul modo di gestione della comunità musulmana e su come sovvertire o aggirare il sistema legale per affrontare la cosiddetta minaccia islamica. Tel Aviv è diventato il guru globale della lotta al cosiddetto pericolo islamico. E’ scioccante perché la competenza israeliana deriva dalla lotta a un movimento di liberazione nazionale e non al terrorismo.

Da cosa deriva l’impunità di cui gode Israele per le violazioni contro il popolo palestinese? E’ l’effetto dell’auto-assoluzione del colonialismo europeo, che ha preso parte alla nascita di Israele, o il sionismo è ormai sfuggito al controllo occidentale?

In Europa l’impunità di Israele ha a che fare con l’Olocausto e con la questione ebraica che non è mai stata realmente affrontata. L’antisemitismo non è mai stato sviscerato, per cui per certe generazioni europee Israele è uscito dal radar, un capitolo nero

da risolvere, lasciandolo fare. A questo vanno aggiunti oggi l’islamo-fobia, l’eredità coloniale, il neoliberismo che ha un’alleanza strategica con Israele. Per gli Stati Uniti è diverso: qui l’impunità è figlia del potere delle lobby ebraiche, cristiano-sionisti e ovviamente di quello dell’industria militare.

Quello che sarà interessante vedere è se le future generazioni occidentali si porteranno ancora dietro il senso di colpa europeo per l’Olocausto e se gestiranno la questione Israele allo stesso modo.

Quanto si è modificata nel tempo la società Israeliana?

Oggi siamo di fronte a un popolo che – salvo le eccezioni di piccoli gruppi, militari e civili che protestano contro l’attuale politica israeliana e si rifiutano anche di combattere contro i palestinesi – è sempre più spostato a desta, come la leadership.

Era inevitabile che la società israeliana si spostasse a destra. La possibilità che un colonialismo d’insediamento potesse anche essere democratico o socialista era nulla.

Il vero Israele si sta mostrando oggi. E’ un inevitabile processo storico, sebbene Israele provi a esporre la carta della democrazia. Passerà del tempo prima che la società israeliana cambi o si trasformi. Anche se il primo ministro Netanyahu dovesse dimettersi a causa degli scandali per asserita corruzione che sta affrontando oggi, la natura del regime non cambierà.

©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

140814-N-UE250-020 GULF OF NAPOULE (Aug. 14, 2014) The U.S. 6th Fleet command ship USS Mount Whitney (LCC 20) is anchored off the coast of Theoule-sur-Mer, France. Mount Whitney, homeported in Gaeta, Italy, is in Theoule-sur-Mer to participate in the commemoration of the 70th anniversary of Operation Dragoon, which led to the liberation of Southern France by Allied Forces during World War II. (U.S. Navy photo by Mass Communication Specialist 2nd Class Corey Hensley/Released)

140814-N-UE250-020
 The U.S. 6th Fleet command ship USS Mount Whitney  (U.S. Navy photo by Mass Communication Specialist 2nd Class Corey Hensley/Released)

Comments are closed.