ATTACCO DI ISRAELE ALLA SIRIA

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Le ultime ‘scaramucce’ tra Israele e Siria…se ne parla poco ma i bombardamenti continuano e le accuse di uso di armi chimiche. Sono più di cinque anni che la Sirria è in guerra e non si vede la fine del conflitto. Assad è ancora padrone dello Stato siriano.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La notte del 6 settembre quattro aerei israeliani bombardano la Siria – in uno dei cento attacchi aerei eseguiti da Tel Aviv dal 2011 – nei pressi della città di Hama, a 200 km da Damasco colpendo il Centro statale di studi e ricerche che si occuperebbe di ricerca e sviluppo di armi biologiche e chimiche facendo almeno due morti.

L’attacco aereo israeliano contro il presunto “centro per la produzione di armi chimiche” avviene dopo la conclusione di indagini delle Nazioni Unite che avevano attribuito a Damasco un attacco chimico che sarebbe stato compiuto lo scorso aprile nella provincia di Idlib – controllato dall’ex Fronte al Nustra (Al Qaaeda) – in cui sarebbero morte decine di persone. La Siria ha sempre negato con fermezza di avere usato armi chimiche.

Da parte su, l’esercito siriano parla di un raid aereo israeliano su un impianto militare nei pressi della città di Masyaf” (Hama) e in un comunicato rilanciato dall’agenzia statale Sana, mettono in guardia contro “pericolose ripercussioni di questi atti ostili sulla sicurezza e la stabilità della regione” e sottolinea che l’attacco “arriva dopo le vittorie militari siriane contro Daesh e mostra il sostegno di Israele a Daesh”.

L’Osservatorio per i diritti umani riferisce invece di sette fra morti e feriti: un centro di ricerca e di una base militare annessa, dove sono dislocati missili a corto raggio.

Israele, che non rivendica come di consueto l’azione, fa sapere di avere colpito anche presunti convogli di armi per il movimento sciita libanese Hezb’Allah, alleato della Siria nella lotta contro i jihadisti.

Esattamente dieci anni fa otto caccia F-16 israeliani, con il benestare dell’allora presidente americano Bush, trasformarono in un cumulo di macerie a al Kibar, provincia di Deir Ezzor, un edificio in costruzione che, secondo il premier di allora, Ehud Olmert, era destinato ad accogliere un centro per la produzione di armi atomiche.

In merito, gli interrogativi non sono pochi:

  • La Siria si era liberata del suo arsenale chimico sulla base dell’accordo mediato con Mosca che quattro anni addietro fermò all’ultimo istante l’attacco militare americano contro la Siria. Possibile che la Russia, garante di quell’accordo, abbia consentito ai siriani di produrre armi chimiche in un centro ricerche molto noto e in funzione da anni, rischiando essa stessa forti ripercussioni internazionali?
  • Se il sito distrutto è davvero lo Scientific Researchers Center, branca di agenzia governativa siriana accusata dagli Stati Uniti di produrre armi chimiche, perché Washington non ha colpito prima con i suoi bombardieri che volano nei cieli della Siria?

Non certo per timore di una reazione della Russia se si considera che la scorsa primavera il presidente Trump ha ordinato il lancio di 40 missili contro una base militare siriana.

I comandanti militari siriani hanno ammesso l’attacco subito. Poi hanno detto che si trattava di un “impianto militare”, descritto il raid americano come un “tentativo disperato di sollevare il morale delle truppe di Daesh, dopo le schiaccianti vittorie dell’esercito siriano”. In altri termini, un supporto a Daesh.

Invece, il generale Yaakov Amidror, consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, sembra privilegiare la tesi che l’aviazione abbia distrutto il sito, dove si produrrebbero anche missili, dopo aver raccolto informazioni sul passaggio della sua gestione all’Iran e ad Hezb’ Allah, stretti alleati del presidente siriano Assad.

Proprio il movimento sciita è sempre più nel mirino di Israele che, questa settimana, ha avviato ampie esercitazioni militari al confine con il Libano dimostrando di essere pronto a un conflitto sempre più vicino.

Il 7 settembre, il presidente israeliano Rivlin, incontrando a Berlino Angela Merkel, ha affermato che le infrastrutture per la produzione di armi da parte del movimento sciita costringeranno Israele a reagire e ha invitato la Cancelliera tedesca a riconoscere “la minaccia posta da Hezb’Allah al confine settentrionale di Israele”.

Tel Aviv ripete che Hezb’Allah disporrebbe di circa 100 mila razzi e battaglioni e brigate con circa 40 mila combattenti ben addestrati e armati.

Sulla questione dell’arsenale missilistico del movimento islamico, la settimana scorsa, è intervenuto il premier Saad Hariri, che pure è avversario di HezAllah e del presidente Assad, per affermare in un’intervista rilasciata al quotidiano francese “Le Monde”, che “Israele sa bene che in Libano non c’è alcuna fabbrica per la produzione di missili. Gli israeliani dicono che Hezb’Allah controlla il Libano, ma non è vero. Hezb’Allah esiste, è al governo, ha un sostegno nel Paese ma questo non vuol dire che tutto il Libano è controllato da Hezb’Allah”.

Invece, il premier israeliano Netanyahu ripete ancora una volta che Teheran vorrebbe trasformare la Siria in una “base militare di appoggio nel suo obiettivo dichiarato di sradicare Israele e per questo scopo sta costruendo siti di produzione di missili di precisione in Siria e in Libano”.

I leader israeliani non portano però alcun dato che supporti le loro affermazioni.

Mentre Israele bombarda la Siria, le truppe siriane riprendono il giacimento petrolifero di Al Taim e delle zone circostanti e hanno rotto l’assedio in cui i jihadisti da mesi tenevano la base militare di Tami.

L’esercito siriano conta di riprendere il controllo di tutta la regione di Deir Ezzor fino al confine con l’Iraq. Ma sulla sua strada rischia di trovare le “Forze democratiche siriane” (SDF), dominate dalle “Unità di Difesa del popolo curdo” (YPG) e appoggiate dagli USA le SDF sono già impegnate nella battaglia per il controllo di Raqqa nella provincia di Deir Ezzor.

L’obiettivo ufficiale è quello di far arretrare i jihadisti di Daesh. Ma nella realtà con l’appoggio aperto degli USA, le SDF cercano di impedire che le forze armate siriane possano riprendere il controllo di tuta la provincia di Deir Ezzor, con i suoi vitali giacimenti di petrolio e le sue centinaia di chilometri di confine con l’Iraq. Senza dimenticare che per questa provincia passa un’autostrada che collega Baghdad con Damasco.

L’ultima riunione decisiva per il lancio dell’offensiva si è svolta a al Shadadi.

All’incontro avrebbero partecipato anche ufficiali statunitensi. I curdi pensano a una Siria federata. Così facendo però assecondano anche i disegni americani decisi a impedire che Damasco possa controllare il confine con l’Iraq, realizzando quello che Israele e USA descrivono come il piano dell’Iran di arrivare, attraverso i territori degli alleati Iraq e Siria, fino al Mediterraneo.

E molti ritengono che l’attacco dell’aviazione militare di Maysaf (Hama) sia un avvertimento rivolto ai vari attori della crisi siriana, in particolare Russia, alleata di damasco e Teheran, per spingerla a intervenire con più decisione per limitare la presenza degli iraniani in Siria.

Contro quel raid, il Libano presenterà un reclamo al Consiglio di Sicurezza ONU. I jet israeliani, denuncia Beirut, sono entrati nello spazio aereo libanese e poi da una zona a ridosso del confine, hanno sganciato i missili contro Maysaf.

Il giorno 9 settembre, ad Astana erano presenti i presidenti di Turchia e Iran. Nelle prossime settimane è inoltre previsto il negoziato di Ginevra tra governo siriano e opposizioni, mediato dall’inviato dell’ONU per la Siria, Staffan de Mistura.

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Rovine della guerra on Siria

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