LA CRISI NEL CORTILE DI AL AQSA.2

LA CRISI NEL CORTILE DI AL AQSA.2

Re Abdallah II di Giordania

Re Abdallah II di Giordania

Continua l’analisi puntuale di quel che è avvenuto e avviene sulla Spianata delle Moschee in questi giorni

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. Cosa succede nella Striscia di Gaza

I gazawi capiscono che “la prigione a cielo aperto della Striscia” – da 10 anni circondata da cielo, terra e mare da Israele – è all’inizio di una nuova fase caratterizzata persino da misure punitive senza precedenti imposte dall’ANP di Fatah e dal suo presidente Abbas.

In realtà, la vittoria elettorale del movimento islamico nel gennaio 2006 non è mai stata accettata né dall’ANP né da Fatah, tanto da portare al frazionamento della popolazione palestinese con scontri militari e alla divisione, politica e territoriale, che permane tuttora.

Attualmente, l’ANP sospende e/o riduce i salari dei suoi impiegati nella Striscia, elimina i fondi per il pagamento dell’energia e si spinge a chiedere a Israele di fare altrettanto, sospende la fornitura di medicine e sistema sanitario, accantona le pensioni dei prigionieri liberati, nega ai pazienti gazawi i trattamenti negli ospedali di Cisgiordania e Israele.

Abbas si comporta da nemico e giustifica queste odiose decisioni sostenendo siano prese “in nome del popolo palestinese” ‘ o del “progetto nazionale palestinese”, presentando le misure come “un modo per spingere Hamas verso la riconciliazione” e affermando che “il progetto nazionale è più importante dei bisogni dei cittadini”.

In risposta, Hamas si rivolge all’Egitto e all’ex nemico Mohammed Dahlan, dopo aver inutilmente tentato di coinvolgere gli USA presentando la modifica del suo Statuto in cui riconosce Israele e si dichiara pronta all’adozione della soluzione a due Stati sui confini ante guerra 1967.

Gli americani non hanno neppure risposto perché puntano a consolidare la normalizzazione araba con Israele senza l’ottenimento dei diritti umani e territoriali di base per il popolo palestinese pur se garantiti dal diritto internazionale dal 1948.

Hamas, ormai alla mercé di Israele, USA e ANP si trova quindi a rivolgersi all’Egitto e a Dahlan, sperando che l’aiutino a unirsi al “Quartetto arabo” formato da Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati paradossalmente grazie a Dahlan, che da capo della sicurezza a Gaza è stato uno dei peggiori nemici di Hamas.

Tuttavia, entrambi i contendenti ANP e Hamas mancano di una strategia verso le questioni più urgenti: la crescente colonizzazione israeliana, la pulizia etnica di Gerusalemme e l’attuazione di leggi contro i palestinesi del 1948 (cittadini israeliani).

Nel breve periodo, tutte le altre forze politiche, in particolare quelle con influenza sull” Organizzazione per la Liberazione della Palestina” (PLO), come il Fronte Popolare e il Fronte Democratico devono fare pressione su Abbas perché cancelli tutte le misure punitive inflitte ai gazawi. Sul lungo periodo, è necessario un approccio che mostri l’illegalità del blocco di Gaza come forma di punizione collettiva, approccio che deve chiamare in causa Israele e la leadership palestinese responsabile (ANP e Fatah). Infine, Gaza deve essere messa al centro di un discorso più ampio: i diritti al ritorno e all’autodeterminazione del suo milione e mezzo di rifugiati che sono sanciti dal diritto internazionale e devono essere messi in pratica.

Dal suo canto, Israele continua nel suo programma evidenziato dal portavoce della polizia, Mickey Rosefeld. L’esercito israeliano predispone dozzine di posti di blocco ovunque in Cisgiordania per fermare i palestinesi diretti a Gerusalemme, in risposta all’appello delle autorità islamiche e i partiti politici in difesa di al-Aqsa.

I militari bloccano, prima degli ingressi in città, decine di bus e auto. La polizia nega l’accesso all’area delle Moschee ai palestinesi maschi con meno di 50 anni. Nonostante ciò, migliaia di palestinesi residenti a Gerusalemme si sono diretti in massa verso la Spianata, con l’intenzione di pregare in strada, in modo da non legittimare i metal detector.

Ad attenderli circa 3 mila poliziotti schierati prima dell’alba in tutta la zona anche perché già prima della preghiera erano scoppiati scontri davanti alla Porta di Damasco e alla Porta dei Leoni, la più vicina alla Spianata.

Lentamente gli scontri si diffondono in vari quartieri arabi di Gerusalemme e a Bethlehem, Hebron, Qalandiya e altri centri abitati della Cisgiordania mentre la polizia a Gerusalemme prima lancia granate assordanti e lacrimogeni e poi apre il fuoco non mancando di lanciarsi in blitz negli ospedali per arrestare i feriti, indicati in 390 dalla Mezzaluna Rossa, la maggior parte dei quali intossicati dai gas, 38 a Gerusalemme e 66 in Cisgiordania da pallottole vere e proiettili di gomma.

L’inizio di una nuova Intifada non è lontano.

  1. La reazione dei popoli arabi e islamici

Marocco, Sudan, Turchia, Malesia, Indonesia: il mondo islamico scende in piazza sin dal primo giorno della crisi a difesa della Spianata delle Moschee e in solidarietà con i palestinesi che combattono i tentativi di modificare lo status quo del terzo luogo sacro dell’Islam.

In Sudan, cento moschee di Khartoum decidono di dedicare i sermoni del venerdì sera 14 luglio alla Moschea di al-Aqsa. A Istanbul, nel distretto di Beyazid, migliaia di persone marciano in solidarietà con il popolo palestinese.

Stesse immagini arrivano da Amman, in Giordania, e da Malesia e Indonesia: anche qui migliaia in piazza con bandiere palestinesi e cartelli chiedono al mondo di tutelare al-Aqsa “la più lontana” (per la tradizione islamica è la seconda moschea che fu costruita).

In Sudafrica le organizzazioni della società civile e le associazioni islamiche optano per il digiuno: ogni giovedì rifiuteranno il cibo “fino a quando al-Aqsa non sarà liberata”.

Appoggio arriva anche dallo Yemen in guerra, dove il movimento ribelle Houthi, con un discorso pubblico del leader Sayyd Abdul-Malik Badreddin al-Houthi, si è detto pronto a unirsi alla lotta contro Israele e ai tentativi di mettere sotto silenzio la resistenza palestinese, mentre migliaia scendevano per le strade a Sana’a.

Un elemento, quello delle piazze del mondo islamico, che Israele non può ignorare: se le leadership, quelle arabe, in primis a partire dal Golfo, hanno accantonato da decenni la questione palestinese, i popoli mantengono alta l’attenzione sull’occupazione della Palestina. In netto contrasto con governi e regimi, le società e le opinioni pubbliche del mondo arabo e del mondo islamico considerano la questione palestinese centrale, lotta comune contro un progetto coloniale nel cuore del Medio Oriente.

Dopo decenni di silenzio-assenso, si muove anche l’Europa. La Francia invia un chiaro messaggio a Israele, chiedendo di non modificare in alcun modo lo status quo della Spianata e simile appello proviene dall’Alto Rappresentante UE Mogherini.

Il presidente turco Erdogan dichiara che “ogni restrizione ai musulmani che entrano ad al-Aqsa è inaccettabile… Lo interpretiamo come un tentativo di modificarne lo status quo”.

Il ministro degli esteri egiziano pubblica un comunicato in cui chiede a Israele di interrompere subito “le violenze contro i palestinesi e i luoghi sacri e di non prendere misure che riducono la possibilità di raggiungere la pace”. Condanne arrivano anche dal Libano, dall’ufficio del presidente Aoun e dal quartier generale del movimento sciita Hezab’Allah.

Appelli che in realtà fino a oggi sono sempre caduti nel vuoto: da tempo Paesi del mondo arabo che intessono rapporti normali con Israele, come Turchia, Egitto e Giordania, tentano una mediazione impossibile per salvaguardare al- Aqsa. Poi, condanne arrivano dall’Arabia Saudita, prima ufficialmente “nemica” di Israele, ma in realtà da sempre partner commerciale e militare.

Nei giorni scorsi, la Casa Bianca fa un appello “allo Stato di Israele e al regno di Giordania (custode della Spianata)” perché riducano le tensioni e trovino una soluzione che garantisca la sicurezza e lo status quo.

Non mancano le chiese cristiane a difesa dei luoghi dell’Islam. Il comunicato congiunto delle chiese cristiane della Città Santa inizia così:” Noi, capi delle chiese di Gerusalemme, esprimiamo la nostra grave preoccupazione per la recente escalation di sviluppi violenti intorno ad Haram ash-Sharif (la Spianata delle Moschee) e il nostro dolore per la perdita di vite umane”. Il comunicato è firmato dai patriarcati greco-ortodosso, cattolico, armeno-ortodosso, copto, siriano ortodosso, etiope ortodosso, maronita, luterano evangelico, greco-melchita-cattolico, siriano cattolico e armeno cattolico e della Custodia di Terra Santa e la Chiesa episcopale di Gerusalemme e Medio Oriente.

Il comunicato prosegue: “Siamo preoccupati per ogni cambiamento dello status quo della Moschea di al-Aqsa e della Città Santa di Gerusalemme, scrivono i patriarchi e gli arcivescovi. Ogni minaccia alla sua integrità potrebbe condurre facilmente a serie e imprevedibili conseguenze. Riteniamo che la custodia del regno Hashemita di Giordania sulla Moschea di al Aqsa e sui luoghi sacri di Gerusalemme e della Terra Santa garantisca il diritto di tutti i musulmani ad accedere liberamente e a pregare ad al-Aqsa, secondo quanto previsto dallo status quo.”

  1. La spartizione di al-Aqsa

Sul quotidiano “Il Manifesto” è riportata l’intervista di Uraib al Rintawi, analista arabo e editorialista di al Dustour, di cui si sintetizzano i punti salienti.

Secondo al Rintawi, gli eventi sulla Spianata delle moschee sono un piano concreto e già in atto, come emerge da chiari segnali. Basta osservare in quali aree furono stati istallati i metal detector sulla Spianata per capire che gli stessi tracciano una bozza di divisione del sito. Ed è significativo che, nonostante la tensione, sia garantito l’accesso sulla Spianata ai ”turisti” israeliani, che in realtà non sono turisti ma estremisti religiosi che spingono per la ricostruzione del Tempio ebraico.

Dall’altro canto, la Giordania, sul piano diplomatico, sta facendo quanto è in suo potere per persuadere USA, Europa e altri Paesi a imporre a Netanyahu di tornare indietro. Il re Abd-Allah II di Giordania deve tenere conto anche della popolazione di cui a migliaia sono scesi in piazza nella capitale e in altre città per protestare contro Israele e in difesa delle Moschee di Gerusalemme.

D’altronde, bisogna ricordare che la Giordania ospita milioni di palestinesi. E non è certo un caso la sparatoria avvenuta la sera del 23 corrente nel compound residenziale dell’ambasciata israeliana ad Amman. Secondo le prime informazioni, un giovane, entrato nel compound per eseguire lavori di riparazione, ha aggredito un diplomatico israeliano – identificato come il vice direttore della sicurezza – ferendolo gravemente con un cacciavite e una delle guardie presenti ha aperto il fuoco, uccidendo l’aggressore, di 17 anni e di origine palestinese, e un secondo cittadino giordano, proprietario dell’appartamento e che stava passando vicino al luogo dell’attacco.

Il governo giordano ha chiesto di poter interrogare la guardia israeliana, ma il ministero dell’estero israeliano ha rifiutato assumendo che la guardia gode dell’immunità diplomatica, secondo la convenzione di Vienna, ed ha ordinato la censura dell’evento.

La stessa sera, la Lega Araba avverte Israele: “State giocando con il fuoco”. Inoltre, persino quei Paesi che procedono verso la normalizzazione di rapporti con Israele sono costretti ad allontanarsi sotto l’onda dello sdegno che attraversa le loro opinioni pubbliche.

Né va trascurato che gli eventi di questi giorni a Gerusalemme rafforzano gli islamisti più radicali che accusano i loro governi di collaborare con Israele, per cui anche i re del Golfo vedranno i palestinesi in strada a manifestare contro le recenti politiche di avvicinamento con Israele e non potranno che fare il necessario dietro-front.

La mobilitazione contro quella che è ritenuta una vera e propria profanazione del Sacro Sito si estende costantemente. Il direttore generale del Wafq di Gerusalemme, Azzam al –Khatib al-Tamini, assicura i fedeli davanti alla porta del Concilio, che li avrebbe sostenuti fino alla rimozione dei metal-detector da al-Aqsa (avvenuta poi il 25 luglio Nota dell’A.).

Il direttore delle Moschee, Sheyikh Omar, dichiara che la presenza di quel materiale mira a ridurre il numero dei fedeli nella Moschea. Il Grande Mufti del Regno saudita, Abdul Aziz bin Abdullah Sheikh, dichiara che Israele compie una violazione della santità della Moschea, una provocazione dei sentimenti dei musulmani e che questi crimini richiedono una ferma e chiara posizione araba per imporre un termine a questa occupazione. Il Consiglio della Shura saudita esprime preoccupazione per queste misure assurde che potrebbero peggiorare situazioni già tese.

Il premier palestinese, Remi al-Hamdallah, dichiara Israele responsabile di quanto accade ad al-Aqsa e conferma i tentativi sionisti di modificare l’identità islamica di Gerusalemme. Inoltre, invita Paesi arabi e musulmani a fornire protezione internazionale alla popolazione palestinese e ai suoi luoghi sacri. Al Consiglio dei ministri, in una dichiarazione nel corso dell’intervento settimanale a Ramallah, al-Hamdallah sottolinea ”La cosa più semplice che mondo, arabi e musulmani possono offrire ai palestinesi che vivono a Gerusalemme è di convincerli a rimanere nella loro terra” e spiega che sta preparando un piano d’emergenza da sottoporre ai Paesi interessati e ai fondi arabi e islamici, sperando in un loro serio impegno ad adottare questo piano e rispondere alle sue esigenze.

Il PLO, invita il popolo palestinese a scendere in strada, scontrarsi con gli occupanti e organizzare manifestazioni di massa a difesa della loro identità araba, chiedendo tutte le forme di sostegno finanziario e politico per le città e il suo popolo, compreso l’aiuto delle Istituzioni mondiali per l’attuazione delle Risoluzioni di legittimità internazionale, di cui la più recente è stata la decisione dell’UNESCO, secondo cui Israele sta occupando la città di Gerusalemme, e che conferma il diritto del popolo palestinese a resistere e rispondere a questa occupazione.

Hamas e JIP hanno già provveduto a mettere in guardia gli occupanti dal continuare la loro aggressione contro la Moschea al-Aqsa: durante una marcia comune a Gaza hanno minacciato che avrebbero risposto a questi crimini esaltando la resistenza contro gli obiettivi israeliani.

Prima parte pubblicata 25 luglio 2017: www.osservatorioanalitico.com/?p=7898

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