AFGHANISTAN, IRAQ ,SIRIA: QUALE PROCESSO DI PACE ?

Il presidente dell'Afghanistan Ashraf Ghani

Il presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani

Una revisione della situazione in Afghanistan, Iraq e Siria dal 2003 a oggi, passando per gli eventi del 2011. E’ possibile una pace in quello stato che da sempre è uno stato cuscinetto tra appetiti di potere diversi?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini                                                                                                                                                

Continuano all’inizio di settembre gli attentati dei talebani nella capitale. Il primo è il tentativo di un assalto al ministero della difesa che il sito dei combattenti si è precipitato a rivendicare precisando l’uccisione di 58 agenti delle forze di sicurezza.

Poco dopo la notizia è scomparsa dalla rete dei talebani, perché in realtà la strage ha colpito inermi civili con un bilancio di circa 30 morti.

Il secondo attacco è nel quartiere di Sharenaw, sede di ambasciate e Ong umanitarie e si conclude dopo una notte di scontri fra jihadisti forze di sicurezza, la distruzione di un edificio e una vittima. Questa volta i talebani precisano che il target doveva essere un ufficio governativo a ridosso della sede dell’Ong “CARE”.

CARE evidenzia le difficoltà di operare in uno spazio umanitario sempre più rischioso e aggiunge che nella prima metà del 2016 oltre 5.500 civili sono stati uccisi o mutilati mentre più di 8 milioni di cittadini necessitano di assistenza umanitaria.

Questo Paese, devastato da oltre quindici anni di guerra, si trova in una situazione di enorme criticità per il forte contrasto che vi è fra il presidente eletto Ashraf Ghani e il premier imposto dagli statunitensi, Abdullah Abdullah, rivale da sempre di Ghani. Capita quindi che ogni disposizione impartita dal presidente sia annullata o sostituita da altra diversa da parte di Abdullah.

Evidentemente, non è ancora stata acquisita esperienza dalla precipitosa nomina di Lewis Paul Bremer nel maggio 2003 a Governatore dell’Iraq, criticato per l’uso disinvolto del denaro, il tentativo di privatizzazione la gran parte del settore pubblico inerente anche alle risorse energetiche del Paese, il divieto a votare per i partiti che si erano opposti all’invasione statunitense. Bremer, che aveva il potere di legiferare per decreto rese subito esecutivi l’”Order 1”, che metteva al bando il partito Ba’th, e l’”Order 2”, che smantellava le forze armate regolari irachene, rendendosi responsabile della nascita di organizzazioni terroristiche e di una forte polarizzazione sociale su basi etniche e religiose. Fu sostituito a giugno 2004.

Da questo contesto di instabilità traggono vantaggio i talebani e anche Daesh (IS), i cui jihadisti riescono a penetrare la capitale e a luglio inviano due kamikaze che fanno esplodere le loro cinture causando 81 morti e oltre duecento feriti in una manifestazione degli hazara nella zona di Deh Mazang di Kabul, come riporta “Amaq”, agenzia di informazione del movimento di al-Baghdadi.

La protesta era stata organizzata dalla comunità contro il progetto energetico “TUTAP” (Progetto Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Afghanistan) che esclude la provincia di Bayman, nell’Afghanistan centrale, abitata prevalentemente dagli hazara, che, discriminati in passato, rivendicano uguaglianza. Il Progetto dovrebbe rendere autosufficiente il Paese entro il 2030 nel settore energetico e in merito il vice presidente Sarwar Danesh, politico di riferimento degli hazara, ha inviato una lettera a Ghani per contestare la decisione di non far passare la rete elettrica da Bayman privilegiando il passo Salang. Il Governo, alla cui guida è Abdullah ha difeso il piano in esecuzione.

Nel mese di agosto, un attacco provoca sedici morti e oltre cinquanta feriti nell’università americana di Kabul. Un kamikaze non ancora identificato ha fatto saltare con un’autobomba le porte d’ingresso del campus poi due terroristi sono entrati all’interno e sono stati uccisi durante il conflitto a fuoco con agenti della sicurezza. Per la strage, non ancora rivendicata, gli afghani attribuiscono la responsabilità al Pakistan sostenendo che sia stato organizzato oltre la linea “Durand”, mentre i pachistani la attribuiscono agli afghani.

In merito alla situazione afghana, il rapporto ONU presentato a Ginevra a luglio riferisce una situazione tragica sulle vittime civili in Afghanistan nei primi sei mesi dell’anno:

  • 601 morti e 3.565 feriti, con un aumento del 4% rispetto ai primi mesi del 2015 e il totale (5.166) dal 2009;
  • i bambini coinvolti sono 1,509, di cui 388 morti e 1.121 feriti. Il bilancio include 507 donne morte e 377 ferite. Sul punto, il rapporto della “Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan” (UNAMA) sottolinea che forze anti-governative restano responsabili delle maggior parte delle vittime civili (60%) ma che anche i civili uccisi e feriti da forze pro-governative sono aumentati;
  • il rapporto calcola che il totale delle perdite civili registrate tra il 1° gennaio 2009 e il 30 giugno 20116 è ora salito a 63.934 morti e 40.933 feriti.

La relazione dell’ONU “Afghanistan – rapporto di metà anno 2016 – Protezione dei civili nei conflitti armati ” documenta casi di persone “uccise durante la preghiera, il lavoro, lo studio, mentre si recavano a prendere l’acqua, mentre ricevevano cure negli ospedali”

La grave situazione dell’Afghanistan può essere compresa meglio attraverso una sintesi di dati gli eventi successivi alla strage dell11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti.  

Alla vigilia dei quindici anni dall’attacco alle “Torri Gemelli” dell’11 settembre 2001, dall’ “Istituto per gli Studi di Politica Internazionale “(ISPI) apprendiamo che già tre giorni dopo l’evento che avrebbe cambiato l’approccio al crescente terrorismo il deputato laburista George Galloway avvertiva l’Occidente che una risposta sbagliata, cioè la guerra, avrebbe inevitabilmente causato migliaia di vittime fra i civili e fomentato l’odio da parte dei musulmani verso l’Occidente e, nel caso di uccisione di Osama bin Laden, avrebbe generato migliaia di suoi emuli pronti a colpire l’Occidente.

Quanto è costato?

Le spese dell’Occidente fino al 2011 sono calcolate fra i 3.300 miliardi di dollari (dati del New York Times) e 5.000 miliardi (secondo il Time).

Ancora oggi gli USA spendono circa 100 miliardi all’anno per le azioni anti-terrorismo e per le guerre contro Afghanistan, Iraq e Siria finora hanno speso 1.600 miliardi.

Il budget annuale per le spese di sicurezza statunitensi sono:

  • per il Dipartimento di Sicurezza interno: nel 2001, 20,7 miliardi; nel 2016, 64,9 miliardi;
  • per la CIA: nel 2001, 3,3 miliardi; nel 2016 8,8 miliardi;
  • per gli addetti agli aeroporti: nel 2001, 16.000 miliardi; nel 2016, 46.000;
  • per le squadre anti-terrorismo: nel 2001, 35 miliardi; nel 2016, 104 miliardi;
  • per il numero dei poliziotti: nel 2001, 33 miliardi; nel 2016 5.000 miliardi.

Non mancano i dati esposti dal “Global terrorism Index” (GTI) 2015.

I gruppi combattenti sopravvissuti svolgono ancora una guerra asimmetrica che il GTI ritiene possa durare ancora per anni. Solo lo 0’5% di tutte le morti causate da attentati terroristici dal 2000 è avvenuto in Occidente.

Il numero totale dei morti è aumentato di 9 volte: da 3.329 del 2000 a 32.685 nel 2014. Il 78% è avvenuto in soli 5 Paesi: Nigeria, Iraq, Afghanistan, Pakistan e Siria e in 11 Paesi vi sono stati almeno 500 morti.

Nel solo 2004, 93 Paesi hanno subito almeno un attentato terroristico, con un numero di attacchi in costante crescita: mentre nel 2001 erano poco meno di 2.000, nel 2015 hanno sfiorato i 14.000 con un incremento del 180% nel solo periodo 2011 – 2015.

Quanto durerà la guerra per gli USA?

Una settimana dopo l’11 settembre, il Congresso approvò una risoluzione per autorizzare il presidente all’uso di “qualunque mezzo necessario per combattere il terrorismo”.

A quindici anni di distanza è lecito chiedersi se questo provvedimento abbia ancora ragione di esistere. Molto lo giudicano superato, inadatto e abusato, ma la risoluzione resta in vigora negli USA e nessun politico pare disposto a modificarla. La situazione non sembra fornire indicazioni positive.

La realtà sul terreno racconta dell’intesa raggiunta nella notte fra il 9 e il 10 settembre a Ginevra fra il segretario di Stato John Kerry e il ministro degli esteri russi Serghei Lavrov che annunciano il cessate-il- fuoco in Siria a partire dal 12, primo giorno delle festa islamica dell’Eid al Adha. La novità è il coordinamento delle operazioni USA-Russia contro Daesh e la formazione jihadista Fatah al Sham (nuovo nome datosi da Jabbat al-Nusra, qaedista).

Contestualmente vi sarà il congelamento degli attacchi aerei da parte delle forze governative siriane sulle postazioni dei “ribelli” nei quartieri orientali di Aleppo e altre città, con l’obiettivo di porre fine a oltre 5 anni di guerra che ha causato oltre 400 mila morti e la fuga dalla Siria di oltre 9 milione di persone.

Vi sono sul punto numerosi interrogativi destinati a produrre effetti negativi anche sugli altri Paesi in guerra. In realtà l’accordo di cessate-il-fuoco cristallizza la situazione di Aleppo e nel resto della Siria preparando il terreno per una ripartizione del Paese che- non è un caso – farà gli interessi della Turchia che nei giorni scorsi ha creato una prima “zona cuscinetto” all’interno del territorio siriano in modo di continuare ad aiutare i “ribelli” e impedire l’autodeterminazione del popolo curdo.

Inoltre, l’accordo di Ginevra è a vantaggio dell’opposizione siriana e dei “ribelli” in difficoltà di fronte alle ultime e vittoriose offensive dell’esercito siriano.

In aggiunta, gli USA non ritengono che per proteggere i civili siriani e garantire il passaggio degli aiuti umanitari per Aleppo, sia indispensabile obbligare i jihadisti di Fatah al Sham e altre formazioni jihadiste a lasciare subito la città.

Al contrario, l’accordo stabilisce la fine dell’accerchiamento delle zone est di Aleppo da parte dell’esercito governativo, la riapertura della Castello Road, che garantisce i rifornimenti ai civili ma anche armi e mezzi ai jihadisti e la creazione di zone smilitarizzate alla periferia della città.

In termini più chiari, l’accordo blocca l’offensiva governativa per la ripresa di Aleppo ancora occupata per la metà dai ribelli. Non si comprende quindi come sarebbe possibile il bombardamento congiunto contro i jihadisti, atteso che Fatah al Sham è alleata con forze jihadiste riconosciute dagli USA come “opposizione moderata”.

La situazione siriana appare sempre più simile a quella afghana, nella quale l’imposizione al presidente Ghani di essere affiancato dal suo rivale Abdullah per ora ha posto fine ai colloqui di pace fra il presidente e i talebani e a spianare il terreno a Daesh.

Una sintesi storica ci aiuterà a comprendere la ratio di quanto avvenuto e avviene.

L’implosione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste sovietiche fra il 1989 e 1991 è salutata come la fine del mondo bipolare con la vittoria del capitalismo sul comunismo che Francis Fukuyama presenta come la fine della storia perché il mondo sarebbe diventato a guida unipolare, quella degli USA che lo avrebbero avviato al benessere globale.

Accadde e accade esattamente il contrario.

Inizia tutto con l’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono dell’11 settembre 2001, di cui tre giorni fa si è commemorato il 15° anniversario, con circa 3 mila vittime, causato da un nucleo di jihadisti dell’organizzazione Al Qaeda (la base).

Mentre il confronto globale Est a Ovest andava cedendo il posto a quello “per linee di colore” Nord – Sud, il 7 del mese successivo l’ ”Alleanza del Nord” nemico dei talebani, con il supporto tecnico, aereo e logistico di USA e Nato, attaccano i territori governati dai talebani e, conquistata Kabul, le forze truppe occidentali con statunitensi e britannici in prima fila bombardano l’Afghanistan, nei cui territori i talebani ospitare il leader di Al Qaeda, Osama bin Laden e il suo stato maggiore.

Non era stata data alcuna risposta alla proposta del mullah Omar, capo dei talebani (studenti coranici di matrice deobandi della madrassa (scuola coranica), della città Deoband, in India, nell’ Uttar Pradesh a 140 km Nord Est da New Dheli) di consegnarlo dopo aver ricevuto la documentazione che ne dimostrava il coinvolgimento nella strage.

La guerra in Afghanistan è ancora in corso nonostante i contatti fra USA e leader dei talebani per un accordo di pace. Due anni dopo, a marzo 2003, gli anglo-americani iniziano il bombardamento dell’Iraq con i pretesti, risultati falsi, di ospitare jihadisti e possedere armi di distruzione di massa. La devastazione del Paese è ancora in corso.

Come sono in corso le guerre alla Libia, iniziata a marzo 2011 e proseguita dalla NATO e dalla coalizione occidentale, e alla Siria, iniziata nel 2011 dal gruppo “gli amici della Siria” ai quali si aggiungono gli USA pochi mesi dopo.

Tutte guerre in corso, cui si aggiungono quelle francesi in Costa d’Avorio nel 2011, Mali nel 2014, e ancora in Libia con l’Egitto.

Insieme alle guerre in atto, vi sono “macro-aree” con conflitti irrisoluti, che si aggiungono alle crisi finanziaria, economica e migratoria con milioni di persone che fuggono dalle guerre.

Quale processo di pace?

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Abdullah Abdullah, il rivale di Ashraf (AP Photo/Massoud Hossaini)

Abdullah Abdullah, il rivale di Ashraf Ghani,
(AP Photo/Massoud Hossaini)

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