SIRIA. TREGUA E GEOPOLITICA NEL MEDIO ORIENTE

SIRIA. TREGUA E GEOPOLITICA NEL MEDIO ORIENTE

Curde combattenti....

Curde combattenti….

Il problema siriano ha innescato la miccia al riaccendersi di altri problemi quali quello dei curdi, che per ora sono i soli a combattere e a vincere le truppe dell’ISIS. Le donne curde si stanno rivelando delle fantastiche guerriere. E simbolicamente a loro oggi 8 marzo 2016 OA dedica questo articolo, conscio che la loro lotta è la dimostrazione di come il genere femminile sappia combattere con le armi, se richiesto, anche se preferirebbe sicuramente stare accanto alla famiglia. Onore alle donne curde combattenti e a tutte quelle che combattono per la loro dignità a qualunque costo.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

La fragile tregua iniziata in Siria il 27 febbraio regge ancora nonostante i Paesi coinvolti si scambino accuse di violazioni.

La settimana di cessate-il-fuoco resta comunque un segnale positivo che consente all’inviato speciale ONU Staffen de Mistura di annunciare la ripresa dei lavori fra le delegazioni di Paesi e Organizzazioni a Ginevra nei giorni fra il 10 e il 14 marzo.

L’inviato precisa che i colloqui saranno indiretti e con riunioni separate e preparatorie per arrivare alle discussioni sui punti nodali con ciascuna delle parti in sedi separate.

L’accordo da raggiungere ha obiettivi pretensiosi: un nuovo governo, una nuova costituzione, organizzazione di elezioni entro 18 mesi.

Gli esiti di tregua e imminente ripresa degli incontri a Ginevra dipendono da una serie di attori ancora divisi da strategie confliggenti che torna utile analizzare.

In primo luogo, l’accordo russo-statunitense sulla tregua in Siria chiude, di fatto, a Turchia e Arabia Saudita la possibilità di un intervento su terra che porterebbe a uno scontro diretto con la Russia che gli USA non vogliono.

In merito pesa soprattutto l’abbattimento dell’aereo russo lungo il confine turco-siriano di novembre 2015, al quale la Russia ha già dato una prima risposta dispiegando in Armenia sistemi di difesa aerea avanzata a protezione del territorio siriano.

Inoltre, si allontana l’ipotesi dell’immediata deposizione di Bashar al-Assad voluta sin dall’inizio dalla Turchia che perde anche ogni possibilità di creare una zona cuscinetto lungo la frontiera turco-siriana.

Il terzo punto è che il sostegno russo-americano ai curdi delle “Unità di Protezione Popolare” (YPG + YPJ, formato da donne), la più numerosa e organizzata milizia curda che conta su circa 50 mila combattenti è lesivo degli interessi turchi.

I curdi sono un elemento fondamentale per il controllo dell’intera area siriana che si estende da Jarabulus a Mosul occupate da Daesh.

Ma Jarabulus è la stessa che la Turchia intende sottrarre ai siriani avvalendosi della Divisione turcomanna dell’Esercito Libero Siriano presente in zona per impedire all’Ypg (Yekîneyên Parastina Gel in curdo, cioè Unità di Protezione popolare), di prenderne il controllo che rientrerebbe sotto l’esercito siriano.

Comunque, da metà gennaio, la Turchia schiera divisioni lungo il confine turco-siriano, al valico di Karkamis e invia mezzi per lo sminamento degli ordigni piazzati dai militanti di Daesh a Jarabulus.

In sostanza, la Turchia si trova a fronteggiare minacce esterne con ricadute negative anche nel foro interno.

Ankara potrebbe quindi utilizzare a suo vantaggio i gruppi anti-Assad continuando a favorire i conflitti settari e nazionalisti per acuire la crisi e indebolire Siria e i Paesi che ne supportano il regime.

La tregua pone un ulteriore ma non meno importante problema.

Si inizia infatti a parlare con i media di spartizione della Siria anche da parte dei ministri degli esteri di USA, U.K. e Russia conferendo autorità al Pyg, in grado di contrastare Daesh con il supporto aereo russo-statunitense.

Il piano trova la contrarietà di Turchia e Arabia Saudita mentre la Russia, che approva la creazione di una repubblica federale in Siria, lancia appelli al proseguimento del regime.

In pratica, uno Stato federale equivale all’estensione di maggiori diritti regionali, soprattutto per il PYG, mentre il potere centrale resterebbe nella capitale in mano alla famiglia al- Assad, che privilegerebbe gli interessi russi nel Paese.

Infine, c’è da considerare l’attore più importante e devastato da questi oltre 5 anni di guerra.

Appena dopo il cessate-il-fuoco, le proteste popolari riprendono le strade delle città ridotte in macerie da Dara’a a Homs, Aleppo e altre con un obiettivo gridato: ristabilire la rivolta dell’inizio, quella siriana contro ogni opzione militare.

I manifestanti vogliono la fine dell’uso delle armi anche da parte del regime e dai suoi sostenitori; la fine degli armamenti forniti a Daesh, Fronte al-Nusra e altre milizie; la fine della presenza di militari in Siria.

L’obiettivo è di arrivare all’unione di tutte le formazioni nazionaliste per il proseguimento delle trattative e il riconoscimento che gli oltre 400 mila morti e la distruzione di un intero costituiscono il fallimento della soluzione militare e in danno dei cittadini.

Le manifestazioni, nelle intenzioni, dovrebbero continuare sino alla fine della tregua che è sostenuta anche dall’ONU riavviando il negoziato.

In altri termini c’è chi vuole la soluzione politica e una parte di attori che vi si oppongono.

Appare possibile che la parcellizzazione del Paese ponga fine alla catastrofe siriana, da cui deriva una delle maggiori crisi a livello globale nonché la fuga di milioni di persone e non solo verso l’EU ma anche verso Paesi che, anche se meno ricchi, ne accolgono la gran parte.

La tregua quindi è la condizione necessaria per negoziare e nel contempo l’inizio verso una soluzione politica.

I termini della trattativa includeranno la posizione della presenza russa e statunitense in Siria.

Appare possibile anche un altro fatto: se oggi le manifestazioni sono contro il regime, le prossime saranno contro Russia e USA perché l’iniziale e disarmata ribellione del 2011 non voleva sostituire la tirannia con l’occupazione.

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Donne combattenti curde del YPG nel campo di Ras Al Ain nel gennaio 2015. Foto REUTERS/Rodi Said

Donne combattenti curde del YPG nel campo di Ras Al Ain nel gennaio 2015. Foto REUTERS/Rodi Said.

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