GIORDANIA. VERTICE SULLA SPIANATA DELLE MOSCHEE

GIORDANIA. VERTICE SULLA SPIANATA DELLE MOSCHEE

La spianata delle moschee a Gerusalemme

La spianata delle moschee a Gerusalemme

Non si vede l’alba della fine della guerra israelo-palestinese. Da ambo le parti gli errori sono profondi…ma pur comprendendo Israele, rinfreschiamoci la memoria su quanto è accaduto e accade dando dati asettici: non da una sola parte sono le colpe….

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Ad Amman il 24 ottobre re Adallah II incontra il segretario di Stato americano John Kerry e il premier israeliano Benjamin Nataniahu e successivamente solo con Kerry il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas.

Kerry richiede a Mazen maggiore impegno per porre fine alle violenze palestinesi sul luogo sacro e gli comunica la riduzione per il 2016 degli aiuti economici da 370 mila dollari a 290 a causa delle mancate iniziative di contrasto.

Per quanto riguarda l’esito dei colloqui svolti con il re e il premier israeliano, Kerry comunica a Mazen l’avvenuto accordo su due punti.

Il primo, su iniziativa statunitense, prevede il monitoraggio video sulle 24 ore sulla Spianata delle moschee, e da parte del premier israeliano, il riconoscimento della Giordania come custode del sito, l’assicurazione di non cambiarne lo status quo ante e il divieto i per turisti ebrei di pregarvi durante le visite.

Nel costante silenzio della Comunità Internazionale, i fatti declinano una narrazione diversa.

Il re giordano, il segretario di Stato e il premier israeliano dimenticano i dati essenziali della radice degli scontri sul sacro sito.

Gilad Erdan

Gilad Erdan

Ormai, il ministro israeliano Gilad Erdan stabilisce regole e orario delle visite per ingresso e uscita dalla Spianata, mansioni prima decise solo dal Waqf islamico che ne ha la gestione.

In secondo luogo, le persone descritte da segretario di Stato e premier non sono semplici turisti ma fedeli del Primo Tempio ebraico distrutto prima dal re babilonese Nabucodonosor e poi dai Romani.

Inoltre questi “turisti” sono accompagnati da Polizia, esercito ed esponenti politici noti per avere più volte dichiarato che nel sito va ricostruito il Tempio e distrutta la Cupola.

In terzo luogo, né il re, né il segretario di Stato, né il premier hanno memoria della passeggiata dell’allora premier Sharon scortato da 300 soldati sulla Spianata, che dette origine alla 2° intifada.

Questi fattori e quasi 70 anni di occupazione militare hanno causato e generano gli scontri con gli israeliani, il cui premier è arrivato persino ad accusare il Muftì palestinese Haji Amin al-Hussein di avere ispirato a Hitler lo stermino degli ebrei, suscitando vive proteste anche da parte di eminenti esponenti delle migliori scuole rabbiniche.

I coloni più radicali, spalleggiati da esercito ed esponenti politici attaccano notte e giorno i palestinesi, ne bruciano case, siti religiosi, campi agricoli e uccidono, nell’immunità.

Non è la “rivoluzione dei coltelli” ma un movimento giovanile e spontaneo che non vuole combattere sotto bandiere di alcuna forza politica.

E’ un movimento essenzialmente pacifico, che fa riunioni, documenta con video e testimonianze quanto avviene in realtà ai check-point israeliani dove sono numerosi i palestinesi uccisi solo per sospetto, senza che via sia alcun pericolo per i bene armati soldati israeliani.

E’ un movimento che non parla solo con il coltello, “ultima ratio”, ma urla rabbia per l’incapacità della loro leadership politica, la quotidiana vita d’inferno, presente e futura, il silenzio di una Comunità Internazionale, sorda e indifferente agli eventi che narra equiparando il Paese occupante e con l’esercito più armato del mondo ai disarmati civili palestinesi.

Come accadeva durante la prima intifada (dicembre 1987 – settembre 2003), quando anche i minori palestinesi che tiravano pietre subivano dai super armati soldati israeliani la frantumazione di bracci e gambe a colpi di grosse pietre.

Come dicevano i comandanti militare “spezzatene le ossa per spezzare la volontà di resistere”.

A questo scenario vanno aggiunti almeno altri due interrogativi.

Il ministro degli esteri dell’ANP Riyad al-Maliki critica la proposta statunitense sull’installazione delle telecamere nel sito sacro in merito alla quale l’ANP è esclusa per cui non si sa chi e come la controllerà, quali registrazioni saranno fatte e, soprattutto, quali saranno esibite, e con quale finalità.

Il sospetto che avanza al-Maliki di possibile utilizzo strumentale dei dati acquisiti da parte dei controllori non appare peregrino.

Tanto più che il bilancio degli scontri dal 1° ottobre a oggi indica fra i palestinesi 67 uccisi, più di 1.600 feriti e oltre 1.000 arrestati, e fra gli israeliani 12 uccisi e 26 feriti.

Al termine degli incontri, inoltre, il premier Netanyahu – secondo l’emittente israeliana Channel 2 – dichiara l’intenzione di privare una parte dei palestinesi di Gerusalemme Est del permesso di residenza (stimati in oltre 80 mila sui 300 mila presenti) perché “quei quartieri non hanno rispettato i doveri dei residenti israeliani, ma possono godere degli stessi diritti”.

Anche qui la memoria del premier vacilla.

I fatti dicono che gli abitanti palestinesi a Gerusalemme Est, annessa unilateralmente da Tel Aviv nel 1981 ma non riconosciuta dall’ONU, vivono in strade dissestate, senza servizi e in condizioni igieniche precarie, che non corrisponde alla realtà vissuta dai cittadini israeliani di Est o di Ovest.

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