LA GUERRIGLIA A GERUSALEMME

LA GUERRIGLIA A GERUSALEMME

Santo Sepolcro. La Pietra dell'Unzione

Santo Sepolcro. La Pietra dell’Unzione

Perché questa guerriglia a Gerusalemme. Da dove e perché origina? Un interessante riepilogo di alcune vicende del passato.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Un’ondata di violenze è in corso in Cisgiordania con epicentro a Gerusalemme Est e diffusione anche lungo il Valico di Erez che separa Israele dalla Striscia di Gaza.

Nel “giorno della collera” indetto dai palestinesi per il giorno della preghiera venerdì 16 ottobre l’attenzione cade sull’incendio del sito ebraico della tomba del profeta Giuseppe nella città di Nablus ad opera di dimostranti tempestivamente fermati dalla polizia dell’ Autorità Nazionale Palestinese che ne hanno limitato i danni.

Il santuario è venerato da ebrei e musulmani e in esso, secondo la tradizione biblica, riposerebbero le spoglie di Giuseppe, figlio di Giacobbe e Rachele.

Frequentato di nuovo dagli ebrei dopo la guerra del giugno 1967, la tomba rimane aperta anche dopo gli accordi di Oslo del 1993 che riconoscono lo status di città autonoma a Nablus.

Nei casi di particolare tensione comunque il sito è stato più volte centro di violenze come nel 1996, due volte nel 2000 e poi nel 2002.

Anche in Cisgiordania e a Gaza il “giorno della collera” si verificano sanguinosi scontri che registrano altri 5 morti e 100 feriti fra i palestinesi con un bilancio che dal 1° ottobre conta l’uccisione di 7 israeliani e 41 palestinesi e il ferimento di 1.400 palestinesi e 12 israeliani.

Il Governo israeliano dispone dozzine di posti di blocco agli accessi dei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est separandoli dall’Ovest in occasione delle preghiere del venerdì 16 causando il caos fra i 300 mila palestinesi accuratamente perquisiti mentre i coloni di Ataret Cohanim occupano permanentemente l’area della strada dalla Porta Di damasco al Muro del pianto.

Le nuove misure israeliane prevedono demolizione delle case dei responsabili delle aggressioni, sequestro dei beni familiari, spesso tratti in arresto e seppellimento in luogo segreto dei palestinesi uccisi.

Già a settembre sulla Spianata delle moschee (al- Haram ash Sharef, nobile recinto sacro) la Moschea al-Aqsa e la Cupola della Roccia, tutelato dall’ente religioso Waqfa e terzo luogo sacro per i musulmani dopo Mecca e Medina, si verificano scontri fra i palestinesi e gli israeliani protetti da Esercito e Polizia.

Viene di nuovo imposto il limite di accesso ad Al Aqsa per i musulmani inferiori ai 40 anni, e alla vigilia del capodanno ebraico la Polizia sfonda la porta della Moschea introducendovisi per sequestrare materiale esplosivo che sarebbe stato usato contro i visitatori ebrei.

Inizia il fenomeno chiamato “intifada dei coltelli” dagli israeliani perché palestinesi, giovani e no, utilizzano il coltello per aggredire israeliani, e “intifada Gerusalemme dai palestinesi.

Le ragioni di questa insorgenza, ancora spontaneista pur con la presenza di Hamas e Jihad Islamica Palestinese (JIP) in Gaza, hanno radici profonde.

La maggior parte dei visitatori israeliani non sono semplici turisti. Si tratta di gruppi composti dai cultori del primo Tempio ebraico che ritengono sia stato edificato proprio su quella Spianata. Questi gruppi sono guidati da attivisti politici, come Yehuda Glick, che da tempo chiede al governo una presenza ebraica più significativa all’interno della Spianata e che la libertà di culto sia estesa anche agli ebrei, con il fine di ricostruire il primo Tempio ebraico più volte distrutto. E’ presente spesso anche il ministro Uri Ariel che vorrebbe far demolire la Cupola della Roccia per fare spazio al Tempio.

Nel settembre 2000 il premier pro-tempore Sharon, accompagnato da 300 militari, passeggiò sulla Spianata delle Moschee per ribadire la sovranità di Israele anche su Gerusalemme Est, dando origine alla seconda Intifada, nota come l’Intifada Al- Qods.

I palestinesi, e i musulmani in generale, temono che Israele intenda adottare la misura già sperimentata a Hebron per la Moschea Ibrahim, la Tomba dei Patriarchi, cioè dividere le aree di visita o gli orari di preghiera fra ebrei e musulmani.

La soluzione si rivela peggiore del male.

Nel febbraio 1994, il medico Baruk Goldstein, colono proveniente da Brooklyn, indossando un’uniforme militare entrò nella Moschea armato e assassinò 29 musulmani in preghiera, ferendone altri 124 prima di venire ucciso.

Da allora, numerosi fedeli, scortati da militari, si recano a pregare accanto alla lapide di Goldstein, recitandone l’iscrizione che reca “ucciso per avere realizzato la volontà di Dio”.

L’intera città di Hebron è diventata un inferno che inizia il 4 aprile 1968, poco dopo la guerra dei sei giorni, quando il rabbino Moshe Levinger e un gruppo di 30 ebrei decidono di stabilirsi nella città per rivendicarne l’appartenenza alla Terra Promessa.

Fingendosi turisti si registrano nel centro storico della città al Park Hotel e due giorni dopo ne prendono il controllo rifiutando di andarsene, anche in presenza della Polizia che assicura i locali trattarsi di misura temporanea. In realtà non solo la misura diviene permanente ma è l’inizio di una colonizzazione, illegale secondo le Risoluzioni di Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza ONU in atto dal 1948 nonché per il diritto internazionale.

Due anni dopo il governo israeliano concede al gruppo di costruire al posto di una vecchia base militare abbandonata una nuova città nel cuore di Hebron.

Nel 1979, Miriam Levinger, moglie del rabbino, conduce un gruppo di quaranta donne e bambini da Kiryat Arba, di nuovo dentro al centro storico di Hebron, per occupare il vecchio ospedale di Beit Hadassah, che diviene la prima colonia israeliana all’interno di una città palestinese.

Oggi a Hebron vivono 160 mila palestinesi e 600 coloni israeliani che abitano nel centro storico in quattro colonie composte da piccoli raggruppamenti di edifici e protetti da 2 mila soldati.

Dopo la strage eseguita da Goldstein, l’esercito adottò una politica di protezione dei coloni basata sul principio della separazione, che prevede intere aree interdette ai palestinesi, la chiusura di Al Shuhada Street e del mercato delle verdure, principali centri commerciali di Hebron, e lo sfratto di centinaia di commercianti palestinesi.

Come riportano le organizzazioni israeliane B’Tselem e Breaking the Silence con documenti corredati da video e foto dei luoghi, perquisizioni, arresti, aggressioni, insulti, assalti anche da parte di donne, bambini e soldati contro i palestinesi sono la quotidianità di Hebron per una popolazione che vi abitava da 5 mila anni.

In effetti, solo dopo la guerra del giugno 1967, Israele ha iniziato e demolire case, confiscare terre dei palestinesi ed edificare nuove colonie soprattutto in Gerusalemme Est, dopo aver demolito oppure occupato le abitazioni dei palestinesi.

Da documentazione israeliana e americana emergono dati utili a comprendere le dinamiche in corso in un Paese nel quale i due protagonisti non trovano la via della pace.

Il rapporto “Giardino Murato” dell’Organizzazione ebraica no profit Kerem Navot informa che la chiusura delle terre inizia subito dopo la guerra del 1967 per ragioni di sicurezza e già l’8 luglio, con l’Ordine 34, l’intera Cisgiordania viene dichiarata zona militare chiusa. Nel tempo vengono aggiunte altre ragioni con il risultato che attualmente circa 176.500 ettari, più o meno 1/3 della Cisgiordania, è interdetta ai palestinesi perché dichiarata zona militare.

In realtà, secondo il rapporto, il 78% delle terre requisite per manovre militari non viene usato per tali scopi ma per chiudere: i confini della Giordania (il confine della Giordania a Est, l’area di Latrun a Ovest); una considerevole area della linea di frontiera a Ovest del Muro di separazione di 728 Km costruito dal 2002; zone di sicurezza intorno alle colonie; terreni che l’Esercito dichiara di sua necessità.

Attualmente inoltre, i nuovi confini dell’Area C – che secondo gli accordi di Oslo entro il 1995 dovevano passare all’Autorità Nazionale Palestinese – è sotto il controllo israeliano in Cisgiordania (61% dell’intera area occupata) che l’ha dichiarata zona militare chiusa.

E’ impedito l’accesso ai palestinesi dei villaggi vicini alle terre che erano in loro possesso e che sono state dichiarate aree militari chiuse: si tratta di 54.000 ettari, 9,7% di tutta la Cisgiordania.

Le zone interdette vengono estese durante la seconda Intifada quando Israele designa chiusa la linea confinaria intorno al Muro di separazione in Cisgiordania e le speciali zone di sicurezza intorno alle colonie, per impedirne l’accesso ai palestinesi, aggiungendo altre 18 mila ettari di zone vietate.

Un rapporto dell’Ufficio Centrale di Statistiche israeliane del 2014 riferisce che tra il 2009 e il 2014 l’espansione degli insediamenti è oltre il doppio degli edifici innalzati nel territorio israeliano.

Un rapporto del 2013 dell’ONU traccia un legame fra la crescita degli insediamenti e l’aumento della violenza dei coloni che dal 2005 si manifesta come Tag Meir o movimento Price Tag, termine usato per indicare il prezzo che devono pagare i palestinesi per stare in quel luogo.

Oltre a terre e proprietà agricole, si registrano decine di attacchi a scuole da parte dei coloni fra il 2009 e il 2013, e come accade per quanto avviene in contesti simili e più gravi le poche inchieste aperte vengono all’85% dei casi chiusi

Nelle ultime settimane sono riportati 133 episodi di violenza dei coloni in Cisgiordania.

In realtà, prima l’accordo di Oslo del settembre 1993 e poi i Palestinian papers rivelano l’intesa fra Autorità Nazionale Palestinese e l’intelligence britannica in chiave anti-Hamas; costituiscono la fine di ogni reale trattativa di pace e l’inizio di una serie di operazioni devastanti contro la Striscia di Gaza sin dall’inizio della sua vittoria elettorale di Hamas nel gennaio 2006 e subito dopo il sequestro del sottufficiale Shalit da parte del movimento islamico.

Le ulteriori operazioni militari israeliane contro Gaza nel 2008-2009, 2012 e 2014 suscitano da tutto il mondo le voci di intellettuali, molti israeliani, Organizzazioni non Governative e il Tribunale Russel, che cita Gaza come esempio di “punizione collettiva”.

Resta silente la Comunità Internazionale…non un’iniziativa concreta e neppure la costituzione di una struttura internazionale per applicare le leggi internazionali e le Risoluzioni ONU.

Questo silenzio e questo conflitto che durano da oltre 70 anni costituiscono l’humus delle rivolte di ieri e di oggi.

E non basterà l’ennesimo viaggio del segretario di Stato USA John Kerry in Europa e Giordania per facilitare un incontro fra il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas e il premier Benjamin Netanyahu con l’ennesimo annuncio della ripresa quei colloqui di pace nel corso dei quali Israele continua costruzione e ampliamento di colonie erodendo la terra palestinese divisa in enclavi e posti di blocco.

L’inadeguatezza dell’A.N.P., il nuovo contesto internazionale, le guerre e la crisi che attraversano il “Grande Oriente” e parte dell’Asia costituiscono i principali fattori per i quali ormai nessuno crede nell’ulteriore tentativo statunitense.

Tentativi che, secondo la popolazione palestinese, costituiscono la maschera dietro cui si nasconde l’impotenza o la volontà di dimenticarne le radici“.

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L'antica Gerusalemme

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