STRATEGIA USA NEL MEDIO ORIENTE. L’ECONOMIA, GLI USA E LA GUERRA

STRATEGIA USA NEL MEDIO ORIENTE. L’ECONOMIA, GLI USA E LA GUERRA

Il Presidente dell'Iran

Il Presidente dell’Iran

Lo stato dell’arte al giugno 2015. Tre protagonisti: gli Stati Uniti, l’economia, la guerra                                                                                                                                                        

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

A Washington, il 13 e 14 maggio gli Emiri di Qatar e Kuwait in rappresentanza del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e il principe ereditario Mohammed bin Nayef in luogo del re Salman incontrarono il Presidente Obama con un’agenda ricca di proposte.

Le sessioni di lavoro si concentrarono essenzialmente sui tre temi presentati dal CCG:

  • richiesta di armi di ultima generazione;
  • critica all’eventuale Accordo sul nucleare iraniano che dovrebbe concludersi il 30 giugno;
  • supporto per la caduta del regime siriano.

L’obiettivo del CCG è il consolidamento dell’egemonia sunnita nella regione preparata con attenta strategia insieme a diversi partner.

Vediamo come.

  1. a) Il precedente Vertice del CCG si chiude con la decisione di convocare a Riyhad l’opposizione siriana per discutere gli sviluppi dopo l’estromissione di Bashar al- Assad.

Non è casuale il rinnovato coordinamento dell’Arabia Saudita con Turchia e Francia, iniziatori della Coalizione anti-siriana con il Gruppo degli Amici della Siria riconosciuto nel contesto internazionale come “legittimo rappresentante del popolo siriano”.

Finanziamenti e forniture di armi sono in costante aumento per la “coalizione moderata” ora riunita nell’ “Esercito della Conquista”, ombrello di riferimento di numerose formazioni jihadiste a cominciare dal Fronte qaedista di Jabbat al-Nusra.

Armamento che consente ai “moderati” il recente consolidamento sul territorio siriano sia nei pressi dell’aeroporto di Deir Ezzor, che a Qalamoun, nella Siria centrale, vicino al confine libanese.

E proprio a Qalamoun, accanto ad al-Nusra e all’Esercito Libero siriano combattono i jihadisti dell’ “Islamic State” che con oltre 5 mila militanti vogliono creare un Califfato ad Arsal, periferia di Qalamoun, per assicurarsi il passaggio in Siria.

Inoltre, è già arrivato in Giordania e Turchia il primo gruppo dei 15 mila combattenti siriani che verranno addestrati dagli USA per 3 anni contro l’IS e, soprattutto, il regime siriano.

Le coordinate iniziative di CCG, Francia, Turchia e USA hanno già bloccato la disponibilità dei “moderati” a negoziare con DamaSCO e rendono inutile l’organizzazione di una “Terza Ginevra” preparata dai russi per il prossimo mese.

E indebolisce la lotta, già poco attiva, della “Coalizione anti-IS a guida USA.

  1. b) L’accerchiamento all’Iran implica anche lo Yemen, che ha un valore strategico per l’Arabia Saudita ma non per l’Iran il cui sciismo teocratico del velayat-al-faqi (predominio della Suprema Guida sullo Stato) è lontano dallo zaidismo degli Houthi.
Il Principe Adel al-Jubeir, Ministro degli Esteri saudita

Il Principe Adel al-Jubeir, Ministro degli Esteri saudita

Mentre il Ministro degli esteri saudita Adel al-Jubeir proponeva un cessate-il-fuoco umanitario di 5 giorni vincolato all’accettazione da parte degli Houthi, la Coalizione saudita bombarda con 100 raid aerei la roccaforte degli sciiti Houthi a Sana’a, dichiarata “obiettivo militare”.

In merito, il portavoce della Coalizione, il generale saudita Ahmed al- Asiri, dichiara che i bombardamenti non sono inclusi nel cessate – il – fuoco e continueranno.

Gli Houthi accettano la tregua che dovrebbe iniziare alle ore 23,00 locali del 12 maggio.

  1. c) Senza DamaSCO e Beirut, con l’Esercito governativo di Baghdad debole e bisognoso dell’aiuto dei combattenti libanesi di Hezb’ Allah e dei Corpi speciali di Guardie Rivoluzione e Brigate al-Quds iraniane, l’Iran è di fatto depotenziata.

La posizione USA – Iran.

Il Presidente americano è pronto a supportare l’installazione di un sistema di difesa regionale contro eventuali missili dell’Iran, il cui interesse prioritario rimane la conclusione dell’Accordo sul nucleare entro i prossimi 40 giorni, senza commettere errori.

L’Iran sa che senza l’Accordo, già messo in forse dal Presidente americano che ha concesso ai Repubblicani di “rivedere” la bozza del 2 aprile, oltre a essere isolato nella regione dovrà affrontare un’opposizione interna sempre più ostile alla linea del Presidente Rohani.

La posizione saudita rimane critica sull’apertura americana agli iraniani nel timore che Teheran possa realizzare segretamente energia atomica e che la revoca delle sanzioni ne consenta uno sviluppo economico/energetico tale da modificare l’equilibrio nella Regione.

L’ECONOMIA E LA GUERRA. Notizie recenti.

Tra il 10 e il 14 giugno, per gli USA si allontana la possibilità di chiudere due “Trattati-pilastro” che avrebbero ridisegnato l’economia mondiale in chiave neo-liberista.

Iniziato il 7 giugno a Garmish al confine con l’Austria, il G – 7 si riunisce senza la Russia, esclusa dal Gruppo dopo l’annessione della Crimea, per discutere del “Trattato di Libero Scambio USA – UE” (TTIP), su cambiamento climatico e crisi politico-economiche in atto dall’Ucraina al Medio Oriente.

Dopo tre giorni di lavoro, il voto sul TTIP è rinviato sine die per essere forse ripreso in occasione della Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico prevista a fine 2015.

Il rinvio è dovuto agli oltre 60 emendamenti presentati.

Nei tre giorni di lavoro, si mobilitano molte organizzazioni, da quelle ambientaliste ad Attac, che accusano il TTIP di volere in realtà suggellare il primato dei diritti degli investitori su quelli dei cittadini.

Avvolto da un clima di mistero (gli stessi membri possono vedere la bozza ma non divulgarne il contenuto), il TTIP intende allineare gli standard produttivi di USA a quelli dell’ UE aumentando i rischi per la salute alimentare e incidere attraverso lobby e multinazionali sulle normative europee. Secondo studi di alcuni economisti questo Trattato causerebbe la perdita di oltre 600 mila posti di lavoro in Europa.

Tre giorni dopo, i democratici del Congresso USA bloccano la “Trans-Pacific Partnership” (TPP) con dodici Stati asiatici negando al Presidente l’autorizzazione per una procedura abbreviata con facoltà di negoziare presentando al Parlamento per un’approvazione rapida un testo non emendabile. Come nel caso del TTIP, si tratta di Accordi decisi in tutta riservatezza.

Da poche notizie circolate pare che siano previsti il potenziamento dei “diritti intellettuali” e dei brevetti e maggiori possibilità per l’industria di sottrarsi a norme ambientali querelando se necessario gli Stati sovrani. Lo strapotere delle multinazionali spinge molti democratici a evidenziare il rischio di ulteriore delocalizzazione dei lavoratori, specie nei Paesi asiatici.

La preoccupazione trova l’appoggio dei sindacati che chiedono garanzie sull’imposizione di regole internazionali su eventuali firmatari di Paesi emergenti come Messico, Vietnam e Perù.

Secondo la principale confederazione sindacale AFL-CIO, i lavoratori americani avrebbero già perso milioni di posti per precedenti Trattati.

In realtà, non sono le uniche difficoltà per il Presidente USA che, nel marzo 2015, tenta invano di impedire agli Alleati di entrare nella “Banca di Investimenti per le Infrastrutture Asiatiche” (AIIB), creata dalla Cina.

Vi hanno invece aderito Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia (membri del G -7) e l’Australia.

L’AIIB ha come epicentro l’”Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione” (SCO) che, nata nel 2001 dall’Accordo strategico sino-russo per contrastare la penetrazione USA in Asia Centrale, si estende ai settori economico, energetico e culturale.

Ai sei membri (Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan), si aggiungono, per ora in veste di “osservatori”, India, Iran, Pakistan, Mongolia e Afghanistan e, come partner di dialogo, Bielorussia, Sri Lanka e Turchia.

Lo SCO comprende un terzo della popolazione mondiale e potrà arrivare al 50% quando ne entreranno a far parte i Paesi “osservatori” poiché dispone di risorse e capacità lavorative tali da farne la maggiore area economica del mondo.

Lo SCO è collegato al BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che ha deciso di creare una propria Banca per lo sviluppo e un proprio Fondo di riserva.

Questi organismi finanziari e la Banca Asiatica potrebbero, nel tempo, sostituirsi alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, che per 70 anni hanno assicurato a USA e Paesi Occidentali l’egemonia nell’economia mondiale attraverso i “Piani di Aggiustamento Strutturale”, imponendo prestiti-capestro ai Paesi indebitati.

I nuovi organismi potrebbero sostituire con altra moneta i dollari negli scambi commerciali togliendo agli Stati Uniti la capacità di scaricare il loro debito su altri Paesi stampando carta moneta utilizzata come valuta internazionale dominante nonostante la convertibilità del dollaro in oro stabilita nel 1944 a Bretton Woods sia finita nel 1971.

E allora lo strumento per l’egemonia diventa la guerra, come occorso con il conflitto in Ucraina iniziato a Maidan, e seguito dalle sanzioni contro la Russia e dal rafforzamento della NATO.

Da qui la strategia del crescente spostamento di Forze militari USA nella regione Asia/Pacifico in funzione anti-cinese, destinata a concentrare entro il 2020 nella regione il 60% delle Forze navali e aeree della U.S. Navy.

E non è un caso che proprio il 14 giugno gli USA, dopo i mancati Accordi del TTIP e del TTP, dichiarano l’intendimento di schierare in Estonia, Lettonia e Lituania, prive di adeguati sistemi di difesa, carri armati pesanti, veicoli corazzati d’attacco e artiglieria pesante per fronteggiare nel Baltico la minaccia russa con Forze in grado di spostare nel Baltico oltre 5 mila soldati delle truppe scelte dell’US Army.

I piani di difesa coinvolgono anche Bulgaria, Polonia, Romania e Ungheria e prevedono l’utilizzo dell’aeronautica con i C 17 Globmoster e i C 5 Galaxy, nonché il consueto supporto della Gran Bretagna.

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