L’attentato di Charlie Hebdo, un’analisi preliminare su fonti OSINT (Open Source Intelligence)

L’attentato di Charlie Hebdo, un’analisi preliminare su fonti OSINT (Open Source Intelligence)

Analisi rapida del video dell’attentato e considerazioni seguenti 

OA propone, come iconografia,  alcune vignette di caricaturisti arabi dedicate alle vittime del 7 gennaio

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini 

L’attentato di Charlie Hebdo sembra presentarsi ad una prima analisi come un atto compiuto da cosi detti lupi solitari, la cui causa è da cogliere nella dissacrazione dell’immagine del profeta Maometto da parte del suddetto giornale satirico.

L’attentato, per dinamica e modus operandi, ci fornisce grazie alle strazianti immagini diffuse dai mezzi d’informazione una versione un po’ più complessa. I filmati mostrati dai media e ripresi dalle persone nelle vicinanze, denotano pattern assimilabili a quelli utilizzati da operatori specializzati in tecniche di guerriglia o con capacità militari avanzate.

Nadia Khiari (Willis from Tunis) disegnatrice tunisina. Grazie...Nadia e grazie ai vignettisti arabi per la loro solidarietà.

Nadia Khiari (Willis from Tunis) disegnatrice tunisina. Grazie…Nadia e grazie ai vignettisti arabi per la loro solidarietà.

Secondo le prime testimonianze, il commando formato da tre uomini con il volto coperto, ha costretto, sotto minaccia di morte, un’impiegata della testata satirica a digitare il codice alfanumerico della porta d’ingresso agli uffici del giornale.

Il gruppo avrebbe, poi, aperto il fuoco nei confronti degli impiegati presenti in quel momento nella sede del giornale. Colpendo mortalmente il direttore del settimanale Stephan Charbonnier e i più importanti vignettisti tra cui: Cabu, Tignous, Georges Wolinski. Sarebbe stato anche ucciso Bernard Maris, azionista della testata parigina e collaboratore di France Inter. Il fatto che le vittime fossero in quel momento insieme all’interno del comprensorio suggerisce che l’attentato sia stato meticolosamente studiato. Probabilmente con una serie di appostamenti e pedinamenti, in grado di chiarire quali fossero le abitudini dei target.

Oltre all’identità dei bersagli, un altro indizio di una meticolosa preparazione è l’orario d’esecuzione. Il gruppo di attentatori agendo durante l’orario che va dalle 11:30 alle 12:00, ha conseguito, inoltre, due elementi importanti per la riuscita del piano prefissatosi. La sicurezza di poter entrare nella struttura grazie a soggetti che in quell’arco temporale potevano uscire per una pausa e la conferma della presenza all’interno della maggior parte dei bersagli perché in un orario pienamente lavorativo.

L’utilizzo di armi automatiche a fuoco selettivo, quali in prim’analisi AK-47 (Kalashnikov) e MPi-KMS-72 (Copia dell’AK-47 con calcio pieghevole lateralmente), denota capacità nell’utilizzo di armi da guerra e della necessità di utilizzare un volume di fuoco superiore a quello delle forze dell’ordine che sarebbero potute intervenire in un primo momento.

Un altro elemento che si distingue, riguardando più volte le immagini dei video in cui un agente della polizia francese viene ucciso, è l’impiego di modelli operativi di combattimento tipicamente utilizzati in combattimento. Le portiere della Citroen C3, auto utilizzata dal commando, sono lasciate volontariamente aperte per fornire un ipotetico riparo ai terroristi e per favorire una più veloce fuga. La scelta del mezzo non è casuale. Un’auto di piccola cilindrata francese, che non desta particolari sospetti e di dimensioni tali da poter agevolmente far fronte al traffico cittadino anche mimetizzandosi.

I due terroristi che affrontano l’agente, scendendo dal mezzo, passano il selettore dell’arma sul semiautomatico che nell’AK-47, a differenza della gran parte dei fucili d’assalto, è in posizione inferiore, questo, per effettuare colpi con miglior precisione. Scesi dal veicolo l’uomo alla nostra destra, seguendo le immagini del video, si defila dietro il furgone per evitare l’aggiramento dell’agente e attirare il fuoco su di sé, mentre il compagno libero dal fuoco nemico è libero di mirare e sparare all’agente. Nel secondo video ripreso dai tetti vicini all’incrocio dove si svolge la sparatoria, i due operatori del commando al grido di battaglia “Allah-u-akbar” (utilizzato per caricarsi e scaricare l’adrenalina del combattimento compensando l’agitazione provocata dallo scontro a fuoco ravvicinato, migliorando la respirazione al fine di evitare tremori che potrebbero interferire con il processo di coordinazione occhio e arti superiori durante il combattimento) si dispongono su fila quasi parallela per aumentare il volume di fuoco, effettuando nei confronti della polizia un DA (Direct Action) di soppressione.

Mazen Kerbaj, disegnatore libanese

Mazen Kerbaj, disegnatore libanese

Nel primo video dell’uccisione dell’agente, il terrorista sulla nostra sinistra al rientro in auto raccoglie un oggetto, una scarpa da tennis che nella fretta di scendere dall’auto gli si era sfilata. La freddezza del terrorista nello scendere dall’auto subendo comunque la perdita della scarpa e continuando nella sua azione come nulla fosse, può apparire ilare nella sua dinamica, ma dà l’idea di un uomo che conosce benissimo il suo ruolo e come portarlo a compimento.

Ultimo atto di questa vicenda è la fuga che tuttora non è conclusa, ma che denota nella sua freddezza, l’appartenenza di questi attentatori a una rete più vasta in grado di fornire una relativa copertura dagli inquirenti e una via di fuoriuscita collaudata, che, se non interrotta dalle forze dell’ordine, potrebbe avere la sua destinazione finale in Nord Africa.

Gli schemi utilizzati e la pianificazione dell’operazione possono facilmente indurre a pensare che dietro i passamontagna potrebbero nascondersi foreign fighters di ritorno dal Medio Oriente o comunque personale molto addestrato. Nonostante ciò gli attentatori non sono scevri dall’aver commesso degli errori in grado di poter portare gli inquirenti sulle loro tracce: la carta d’identità di uno dei due attentatori è stata ritrovata all’interno dell’auto abbandonata dal commando. Solo gli sviluppi delle prossime ore e l’impegno dell’intelligence francese e degli altri stati europei potrà chiarire i risvolti oscuri di questa tragica vicenda che sembra aver messo in seria difficoltà le capacità di previsione e prevenzione del DCRI (Direction centrale du renseignement intérieur) e del DGSE (Direction générale de la sécurité extérieure).

I responsabili delle forze di sicurezza francesi dovranno chiarire come i fratelli Chérif e Said Kouachi, rispettivamente 32 e 34 anni e l’ipotetico terzo uomo identificato nella figura del genero di Chérif, il diciottenne Mourad Hamyd che sembrerebbe già costituitosi, siano sfuggiti al serrato controllo dell’intelligence dopo che il più grande dei due era già noto alle forze dell’ordine per attività terroristiche affini al reclutamento e al traffico d’armi nell’ambito di una rete terroristica di Al-Qaeda in Francia nel 2008.

Questi fatti dimostrano come il problema dei foreign fighters di ritorno trovi la meta finale in questi atti di suprema barbarie. Per porre un freno a possibili nuovi attentati sulla stessa scia, bisogna operare una condivisione delle informazioni tra le varie agenzie d’intelligence europee e utilizzare le risorse dell’UE (Unione Europea) in maniera oculata, andando a potenziare i meccanismi di prevenzione anche culturale che favoriscano un’integrazione culturale (il progetto ISDEP ne è un interessante esempio), sulla base dei valori della cultura occidentale che non può retrocedere di fronte a queste intimidazioni. Ancora una volta, sfortunatamente, abbiamo avuto la dimostrazione pratica di una sicurezza perpetrata solo con la funzione repressiva dell’investigazione. I fatti del 7 gennaio 2015 devono far riflettere e “chiarire” all’intelligence che la sicurezza deve essere legata a un piano preventivo che stringe a sé tutti gli aspetti della società e del quale il ciclo intelligence non può non tenere conto.

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Makhlouf, disegnatore egiziano 'in solidarietà con Charlie Hebdo

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