CONFLITTO ASIMMETRICO E GUERRA DI GUERRIGLIA. E’ vera tregua?

CONFLITTO ASIMMETRICO E GUERRA DI GUERRIGLIA. E’ vera tregua?

 

Interessanti puntualizzazioni sullo stato del conflitto tra Palestina e Israele. E’ vera tregua?

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il 30 luglio, nel campo profughi di Jabaliya nel Nord della Striscia di Gaza furono uccisi 20 palestinesi rifugiatisi nella scuola ONU, bombardata dagli aerei israeliani, che provocarono altri 8 morti a Khan Yunis e distrussero 3 moschee a Gaza City, Rafah e nel campo profughi di Shati.

Il Valico di Rafah

Il Valico di Rafah

In tre settimane la campagna militare a Gaza registrò fra i palestinesi 1.260 morti e 6.720 feriti con il 75% di civili con oltre 350 minori e 250 donne, 200 mila rifugiati e 400 mila sfollati e fra gli israeliani 52 militari caduti in combattimento e 2 civili.

Numeri destinati a un costante aggiornamento tanto che già da tempo il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU ha chiesto un’indagine sui crimini a Gaza.

Le richieste di “tregue umanitarie”, quando concesse, sono state puntualmente violate dai belligeranti che se ne rimbalzano la responsabilità.

Non decolla neanche la tregua proposta su iniziativa egiziana, che dà luogo a insolite alleanze fra i favorevoli e i contrari, secondo schemi geopolitici a geometria variabile. Fra i primi, vi sono Israele, Autorità Nazionale Palestinese, Arabia Saudita, USA ed EU. Restano contrari Turchia, Qatar, Iran e il movimento islamico Hamas.

Ma perché continua questa guerra asimmetrica e quale è l’obiettivo dei contendenti?

Il Governo israeliano intende demilitarizzare Hamas e le altre formazioni combattenti, ritenendole organizzazioni terroristiche e quindi una minaccia permanente per la sicurezza del Paese e non affidabili partner anche se riconciliatisi con l’Autorità Nazionale Palestinese.

Israele decide di proseguire la guerra dispiegando sul terreno le Israeli Defence Forces (IDF).

Hamas vuole la fine del blocco di Gaza, circondata da cielo, terra e mare, con circa 1,8 milioni di abitanti impossibilitati a vivere, senza elettricità e infime risorse acquifere.

Fin dall’inizio della guerra, Tel Aviv ha scoperto qualcosa di nuovo nel modus operandi della guerriglia palestinese, capace di reagire con lanci di razzi a lunga gittata anche dopo devastanti bombardamenti da cielo, terra e mare.

E impegna gli apparati “sigint” (signal intelligence) e “humint” (human intelligence) alla ricerca del Comandante delle Brigate Ezzedin al Qassam, Mohammed Deif.

Nato nel campo profughi di Khan Yunis, 54 anni, Deif è stato per anni il vice di Salah Shehada, ucciso nel luglio 2002 da un F16 che sganciò una bomba da una tonnellata, polverizzando il palazzo nel quale Shehada si trovava con la famiglia e due guardie del corpo. Morirono 15 persone, di cui 9 bambini.

Il pilota, Yonathan Shapira, poco tempo dopo, scrisse una lettera insieme ai compagni della missione per rinunciare al servizio militare. Immediatamente sospesi, diventarono dei ‘Paria’.

Mohammed Deif

Mohammed Deif

Deif è sopravvissuto a due attentati: nel 2002, a bordo di una macchina nel quartiere Sheikh Radwand di Gaza City, un elicottero Apache lanciò un missile procurandogli ferite e la perdita di un occhio; nel 2006 un F16 esplose contro la sua abitazione un missile che gli troncò un braccio e una gamba.

Deif si muove da allora su una sedia a rotelle, con il volto sempre coperto, e ha ripreso la guida delle Brigate nel novembre 2012, dopo che l’IDF ha ucciso, con un’operazione ”mirata”, Ahmed Jabari.

Su posizioni radicali, sempre contrario alle tregue con Israele pur rispettandole per disciplina, Deif è praticamente invisibile a Gaza, e detta la strategia di lotta direttamente alla leadership.

Per i circa 20 mila combattenti delle Brigate è un modello da imitare e i suoi ordini non vengono mai discussi.

Per Israele, eliminarlo potrebbe sensibilmente ridurre la capacità reattiva di Hamas e delle altre formazioni combattenti della Striscia.

I combattenti sono divisi in nuclei composti da 9 a 5 militanti, guidati da un capo, il solo autorizzato a contattare i suoi omologhi. Le decisioni vengono assunte dalla Shura, il Consiglio di 30 persone guidato da Khaled Meshaal, Ismail Haniyeh, Musa Abu Marzuk e Mahmud Zahar.

La campagna di terra ha consentito a Israele di approfondire la conoscenza del mutamento strategico dei combattenti palestinesi e orientare l’adeguato contrasto.

In effetti, l’IDF ha scoperto che le formazioni armate palestinesi adottano la guerriglia appresa da Hezb’Allah libanese nella guerra del luglio/agosto 2006: costruzione di tunnel e bunker interrati per conservare riserve di armamento e preparare imboscate al nemico; uso di armi anti-carro; razzi a lunga gittata per arrivare a tutte le città del Paese creando un clima di insicurezza e danni economici, come la forzata chiusura ai voli dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv; uso di piccoli droni; protezione delle comunicazioni senza usare linee telefoniche ufficiali, ma realizzando linee alternative che sfuggono anche agli specialisti della cyberwar dell’Unità 8200 israeliana.

Per questo motivo IDF e aeronautica hanno bombardato e distrutto anche la centrale elettrica.

Questo rinnovato modus operandi richiede un alto livello di addestramento e, soprattutto, un’adeguata quantità di armamento e munizionamento, che si possono acquisire solo costruendo solidi e leali rapporti con sperimentate reti combattenti.

Per quanto riguarda l’addestramento, le numerose guerre in Libano e la presenza nel Paese di 12 campi profughi palestinesi sono fattori sufficienti a comprendere la solidarietà militante esistente da decenni con la resistenza libanese di Hezb’Allah.

D’altra parte, Imad Mughniyeh, ucciso a Damasco nel febbraio 2009 con un’autobomba presumibilmente su commissione israeliana, era un palestinese di Forza 17. Rimasto a Beirut anche dopo il forzato esilio dell’intera componente palestinese nel 1982, ha formato, addestrato e preparato i primi e successivi quadri combattenti di Hezb’Allah.

Inoltre, la lunga permanenza in Siria della Direzione Esterna di Hamas, guidata da Khaled Meshaal, del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando Generale di Ahmed Jibril e del Jihad Islamico Palestinese, diretto da Ramadan Abdallah Shallah, hanno consolidato rapporti anche con le analoghe formazioni in Iran.

Per quanto riguarda l’armamento, in realtà avviene attraverso i traffici illegali Golfo arabico, Sinai, Mar Rosso e Sudan. Non è un caso, quindi, che l’aeronautica israeliana il 22 luglio – proprio nel giorno in cui il Segretario Generale di Hamas, Khaled Meshaal, incontrava il presidente Omar Bashir – abbia bombardato in Sudan un deposito di razzi iraniani destinati a Gaza.

Hamas non intende ripetere l’errore dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e dell’ANP, pronti a concedere tutto in attesa di ricevere qualcosa e quando la controparte decide di dare ma vuole uno scambio fra pari, nel rispetto dei diritti e dei doveri reciproci.

Hamas gode di una vasta legittimazione a Gaza e in Cisgiordania per onestà personale e assistenza ai bisognosi in termini di istruzione, alimentazione e servizi sanitari.

Ma la guerra continua, nonostante i ripetuti tentativi egiziani di arrivare a un “cessate il fuoco a fini umanitari”.

Finalmente, il 26 agosto, ormai inattesa, le parti, con la mediazione egiziana, hanno raggiunto un Accordo per la fine delle ostilità che hanno provocato per i palestinesi, oltre 2 mila morti e più di 11 mila feriti, per il 75% civili tra cui 561 minori e 466 donne, oltre a danni stimati in 5 -6 miliardi di dollari e per gli israeliani 71 morti fra cui 66 soldati e 5 civili.

L’agenda dell’Accordo prevede: per i palestinesi, l’apertura di 5 valichi per il transito di materiale edile e il pescaggio entro 6 miglia marine e l’obbligo di non esplodere razzi; per gli israeliani, il ritiro delle Forze impegnate a terra; gli altri temi sono posposti alla fine del settembre nella capitale egiziana. Nella stessa capitale, Egitto e Norvegia hanno convenuto di riunire i Paesi donatori per la ricostruzione di Gaza.

E’ una vera tregua? No.

Dal giorno successivo è ripartita la colonizzazione dei Territori Palestinesi, Tel Aviv ha annunciato che non avrebbe inviato a Il Cairo la delegazione per ulteriori colloqui e il Premier accusa Hamas di essere come l’Islamic State.

Dall’altra parte, l’ANP, sempre più debole e inadeguata a fronteggiare la situazione, ripete che si rivolgerà alle Istituzioni Internazionali per ottenere la fine dell’occupazione mentre Hamas tace.

La tregua continua ma la guerra prosegue su altri livelli, quello mediatico e quello dei fatti realizzati sul terreno unilateralmente.

Sulla possibilità di superare il conflitto israelo-palestinese è significativa la visita del Presidente Emerito Shimon Peres a Papa Francesco il 5 settembre scorso.

Il Presidente Emerito riconosce che l’ONU non è riuscito a realizzare l’obiettivo per il quale era stato creato: quello di sostituire fra i contendenti la negoziazione alla guerra.

Per Shimon Peres necessita quindi la formazione di un’altra più credibile e legittimata Istituzione, che potrebbe essere l’Unione delle religioni, guidata da una personalità di grande esperienza e carisma, come il Papa. Una sfida che Papa Francesco avrebbe accettato.

©www.osservatorioanalitico.com – Riproduzione riservata

Lascia un commento