SOLUZIONE USA PER IL CONFLITTO ISRAELO – PALESTINESE?

SOLUZIONE USA PER IL CONFLITTO ISRAELO – PALESTINESE?

Qualche notizia puntuale su alcuni aspetti della soluzione USA per il conflitto israelo-palestinese e altri aspetti meno noti dell’occupazione militare israeliana nei Territori Occupati. La questione deve essere comunque risolta e uno stato indipendente di Palestina si deve formare, Il mondo globalizzato dovrà aiutare la nuova entità statale che non avrà alcuna risorsa economica.. E con buona pace di tutti, è arrivato il momento che i razzi, da una parte e dell’altra siano resi inoffensivi….Il Mediterraneo ha gravi problemi da risolvere ma questo deve ormai essere risolto.

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Catherine Ashton  e Bibi Netanyau

Catherine Ashton e Bibi Netanyahu

Mentre alla Casa Bianca in questo mese di marzo il Presidente statunitense Barak Obama incontrava il leader del PLO e dell’ANP Mahmoud Abbas, nelle città della Cisgiordania migliaia di palestinesi manifestavano contro le eventuali concessioni fatte dal leader alle coordinate pressioni di USA e Israele.

L’urgente colloquio del 18 marzo era derivato dalla ormai prossima scadenza dei 9 mesi entro i quali si sarebbe dovuto concludere l’Accordo di pace, data quella di aprile 2014, già messa in forse dal Segretario di Stato John Kerry nella recente visita in area proponendo l’ipotesi del proseguimento fino a dicembre 2014.

Il Presidente americano e John Kerry nel corso dei colloqui chiesero al palestinese Abbas forti e rischiose decisioni senza nulla assicurargli sulla richiesta di ottenere da Tel Aviv la scarcerazione del quarto gruppo di trenta palestinesi promessa alla ripresa dei colloqui bilaterali nel luglio 2013.

Sul punto gli israeliani hanno già chiarito che l’eventuale interruzione delle trattative procurerà la mancata scarcerazione dei detenuti, dai quali comunque sarebbero esclusi quelli con cittadinanza israeliana. E rilanciano ponendo il riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico come precondizione per delineare un’accettabile road map del futuro Accordo.

Nonostante in merito vi siano state recenti aperture da parte di esponenti del PLO probabilmente per sondarne le reazioni popolari, la campagna di voci contrarie e indignate ha posto una preclusione assoluta a un simile cedimento che segnerebbe anche la rinuncia del diritto al ritorno.

Il Presidente palestinese sperava di negoziare la sua disponibilità a estendere i tempi negoziali ottenendo in cambio la liberazione di Marwan Barghouti, esponente di spicco dell’Intifada Al Quds, e Ahmad Saadat, Segretario Generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che godono di ampio supporto popolare nei Territori Occupati. Mahmoud Abbas conosceva già la risposta negativa e non negoziabile perché anticipata dal Ministro Israel Katz. Il Presidente Abbas finirà con cedere anche questa volta accettando di posporre la data della chiusura negoziale a quella indicata dal Segretario di Stato Kerry per evitare l’accusa di aver fatto fallire le trattative. Prosieguo che includerà anche la promessa di non attivare alcun contenzioso legale contro Israele sino allo spirare del termine.

Mahmud Abbas

Mahmud Abbas

Anche perché il Governo israeliano ha altre strategie. Nel quadro di un piano di riforme avviato da un anno, Tel Aviv ha presentato alla Knesset quattro proposte di leggi che l’opposizione formata da partiti laburisti, sinistra, ebrei ultraortodossi e arabi boicotta ritenendole incostituzionali perché contrarie ai principi democratici nazionali.

La più recente del marzo 2014 prevede l’aumento della soglia minima di rappresentanza elettorale nel Parlamento dall’attuale 2% al 3,25%. Se la legge sarà approvata resteranno esclusi due Partiti arabi e il Partito di centro Kadima.

In Israele gli arabi costituiscono il 20% della popolazione con 1,6 milioni di abitanti su 7,9 milioni e sono rappresentati nella Knesset da tre formazioni di cui i Partiti Balad e Hadash  nelle elezioni del 2013 non hanno raggiunto la quota del 3%  e solo la coalizione della Lista Araba Unita ha ottenuto il 3,65% dei voti. In vista delle elezioni, i Partiti stanno negoziando una possibile unificazione per superare la nuova soglia.

La seconda proposta prevede di sottomettere a referendum qualsiasi concessione territoriale palestinese che riguardi Israele, Gerusalemme e le Alture del Golan.

La terza riguarda l’integrazione degli ebrei ultraortodossi nell’Esercito.

L’ultima e prima per importanza è il disegno legislativo del febbraio 2014 per imporre la sovranità israeliana sulla Moschea di Al Aqsa e sui luoghi santi di Gerusalemme. Progetto che ha provocato la ferma reazione della Giordania che ha già votato a febbraio per l’espulsione dell’Ambasciatore israeliano da Amman e ritirato il suo da Tel Aviv.

Da non dimenticare che la Giordania ha il compito di tutelare i luoghi sacri di Gerusalemme come previsto nell’Accordo di pace del 1994 oltre che dall’Accordo firmato dal Re Abdullah II e il Presidente dell’ANP.

La cupola d'oro della Moschea di Al Aqsa

La cupola d’oro della Moschea di Al Aqsa

Da Israele non sono arrivati durante gli incontri alla Casa Bianca segnali incoraggianti.

Nonostante l’iniziativa diplomatica giordana, il deputato del Likud Moshe Feiglin, esponente della destra radicale e autore del disegno di legge per dare a Israele il controllo della Spianata delle Moschee sottraendolo al Waqf – ente che amministra e tutela i beni religiosi islamici – si è presentato sul posto. Centinaia di giovani hanno lanciato sassi per la clamorosa provocazione sul luogo sacro e la Polizia israeliana ha scortato il deputato fuori dal sito e arrestato alcuni manifestanti.

Inoltre: il Governo ha autorizzato la costruzione di altri 186 alloggi a Gerusalemme Est, 40 a Pisgot Zeev e 146 ad Har Homa; l’IDF ha ucciso un quindicenne nel villaggio di Al Ramadin, a sud di Hebron perché nei pressi di uno dei tanti checkpoint.

Nello stesso quadro strategico, Tel Aviv sta incentivando gli arabi cristiani ad arruolarsi nell’Esercito come già fatto per drusi e beduini con sensibile miglioramento della loro posizione economica. E questo permetterebbe a Israele di mostrare la pluralità etnica e religiosa del Paese. In merito, i palestinesi sono così divisi: la Chiesa greco- ortodossa che conta 160 mila fedeli li incoraggia  perché consentirebbe alla loro piccola minoranza di partecipare con un ruolo nella società; la maggioranza di arabi cristiani considera l’ingresso dell’Esercito occupante come un tradimento.
L’iniziativa USA del luglio 2013 si è rivelata l’ennesimo tentativo di dilatare i tempi, consentire a Tel Aviv l’erosione delle residuali terre e risorse palestinesi in flagrante contrasto con il diritto internazionale, le Risoluzioni di Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza dell’ONU e imporre all’ANP l’agenda israeliana.

C’è anche un secondo aspetto da considerare, molto particolare:

ISRAELE – ANP. L’OCCUPAZIONE PREMIA

A chi ritiene che l’occupazione militare dei Territori palestinesi costituisca un costo per Israele le stesse Autorità di Tel Aviv rispondono con dati e cifre che le moderne tecnologie testate nella guerra asimmetrica condotta contro i palestinesi consentono al Paese di firmare contratti milionari con Nazioni in tutto il mondo.

Marwan Barghouti

Marwan Barghouti

Dal rapporto 2012 del Governo risulta che in Israele sono 6.784 gli imprenditori privati impiegati nell’esportazione di armi che con le Compagnie di Stato rendono Israele il 6° maggiore esportatore di armi nel mondo avendo totalizzato nell’anno indicato 7 miliardi di dollari, il 20% in più dell’anno precedente.

Inoltre, il Direttore Generale del Ministero della Difesa dal marzo 2014 concede il permesso di esportare armi dello Stato e di venderle a 100 Paesi nel mondo invece che ai 49 di prima. In tal modo gli esportatori sono esentati dal chiedere il permesso speciale al Dipartimento per il controllo delle esportazioni e della sicurezza del Ministero della Difesa.

Il provvedimento si è reso necessario perché nell’anno 2013 sono state presentate oltre 27 mila richieste di permessi speciali per esportazione di armi in 190 Paesi.

Fra gli acquirenti non mancano gli USA il cui Dipartimento per la Sicurezza Interna nel marzo 2014 ha firmato un contratto di 145 milioni di dollari con la Compagnia israeliana Erbit System per la fornitura di macchinari di sorveglianza da utilizzare al confine con il Messico. Il contratto di un anno potrebbe essere prolungato e raggiungere 1 miliardo di dollari se verrà approvata la riforma dell’immigrazione che intensificherà i controlli al confine Sud.

Per chiarire, la Compagnia israeliana Erbit System costruisce torrette di osservazione con visori di avvistamento e centri di comando e controllo. Si tratta della Compagnia che testa armi e tecnologie di sicurezza nei Territori Occupati, soprattutto dopo l’avvio nel 2002 della costruzione del Muro di separazione di 740 km e l’apertura d’innumerevoli checkpoint lungo il confine.

La Compagnia è anche il principale rifornitore di droni e tecnologie militari utilizzati per gli attacchi a Gaza dal 2002 al 2005, nel dicembre 2008 –gennaio 2009 e novembre 2012. Ha venduto gli stessi droni “Hermes 450” alla Polizia di frontiera dell’Arizona per il controllo del confine con il Messico.

drone americano

drone americano

Altra fonte di sicuro vantaggio per l’occupante è l’utilizzo dal 1967 delle risorse naturali palestinesi dall’acqua alla terra, dai fanghi del Mar Morto alle cave di pietra.

E così durante l’incontro alla Casa Bianca fra il Presidente americano e il Presidente dell’ANP il Premier Hamdallah ha aperto bandi per l’esplorazione  e lo scavo per la ricerca di greggio in un’area di 400 kmq in Cisgiordania, gran parte della quale è in “area C”, cioè a controllo israeliano.

La zona è vicina al villaggio di Rantis, a Nord-Ovest di Ramallah, lungo il confine ufficiale della Linea Verde e all’interno di un’area dichiarata da Israele “zona militare”.

Nella stessa zona fra la città israeliana di Rosh Ha’ayin e il villaggio palestinese di Rantis scava da anni la Compagnia petrolifera israeliana Givot Olam che dichiara un ricavo di oltre 40 milioni di dollari negli ultimi tempi e che le riserve del sito Maged 5 conterrebbero 3,5 miliardi di barili di petrolio.

In merito, il ricercatore israeliano Dror Etkes all’inizio del 2014 in un’intervista all’emittente qatarina Al Jazeera ha dichiarato che gli scavi della Compagnia israeliana entrano per decine di metri nel territorio palestinese e che la maggior parte delle risorse si trova nella Cisgiordania.

I palestinesi fanno osservare che Israele negli anni ha modellato il percorso del Muro di separazione per acquisire il migliore accesso al sito nonostante l’Accordo di Oslo del 13 settembre 1993 preveda la formazione di un Comitato Congiunto in materia di valorizzazione delle risorse. E non sembra un caso che nell’asfittico “processo di pace” fra le numerose richieste israeliane vi sia anche lo scambio di territori proprio in questa area.

Al contrario, l’ANP, in costante crisi finanziaria e con un crescente tasso di disoccupazione, è dipendente dagli aiuti internazionali. Inoltre, sottoposta all’economia israeliana ha registrato il crollo della produzione agricola – per la continua confisca della terra – e l’azzeramento delle iniziali infrastrutture industriali.

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