CRISI NELLA REGIONE MEDIORIENTALE. IRAN, IL CONVITATO DI PIETRA.

CRISI NELLA REGIONE MEDIORIENTALE. IRAN, IL CONVITATO DI PIETRA.

Ripropongo alla lettura un articolo di Aldo Madia, pubblicato nel settembre 2013 (cancellato per errore tecnico), che conserva notevole interesse per un’analisi della situazione mediorientale con particolare riguardo alla Siria e al problema delle armi chimiche e della distruzione del loro arsenale.

Il Direttore Scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

L’iniziativa russa (12 settembre 2013)  ha consentito l’adesione della Siria alla “Convenzione sulle armi chimiche” con l’impegno di consegnare il suo arsenale e l’incontro a Ginevra fra il Segretario di Stato statunitense Kerry e il suo omologo russo Lavrov innescando due eccezionali eventi: il posponimento della guerra a Damasco e lo scambio di lettere tra la Casa Bianca e il nuovo Presidente iraniano Hassan Rohani con la proposta della riapertura del canale diplomatico interrotto dal 1979 con l’assalto all’Ambasciata USA a Teheran.

Per il primo punto, la road map prevede che: entro una settimana la Siria comunichi i siti di stoccaggio del materiale chimico indicandone  tipo e quantità; entro novembre 2013 ne venga conclusa l’ispezione e la distruzione dei relativi impianti di produzione; entro giugno 2014 venga completata la distruzione dell’intero arsenale chimico.L’agenda del secondo tema propone l’immediato esame del dossier nucleare e il confronto sulla situazione siriana.

La proposta russa è stata accompagnata da un’altra iniziativa, consustanziale alla crisi attraversante l’intera Regione mediorientale: la ripresa della fornitura all’Iran dei missili terra-aria S-300 – sospesa nel 2010 dal Presidente russo pro tempore Medvedev su pressione di USA e Israele dopo le prime sanzioni dell’UE in danno dell’Iran per il programma nucleare – e la costruzione di una seconda centrale  nucleare nell’impianto di Bushehr come era previsto nel contratto del 2007 fra i Presidenti dell’epoca, il russo Putin e l’iraniano Ahmadinejad.

L’incontro fra i Presidenti russo e iraniano dovrebbe precedere quello sul nucleare in programma tra Iran e USA a New York come prodromo del negoziato dei “P 5 + 1” (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Cina, Francia, Gran Bretagna,  Russia, USA) più la Germania.

La strategia di Putin si muove su due piani.Haniyeh_Teheran_1-0156e

Da un lato, la Russia si cautela nell’ipotesi prevalesse l’opzione bellica contro Damasco fornendo armi all’alleato iraniano e costruendo un secondo reattore accanto a quello ampliato  negli anni ’90 (funzionante solo dal 2010).

Dall’altro canto, per quanto riguarda l’Iran (il “convitato di pietra” di queste rivolte eterodirette nella Regione) la caduta del regime alawita rovescerebbe i rapporti di forza nella Regione spezzando quella “mezzaluna sciita” comprendente Teheran, Baghdad, Beirut, Damasco e (parte della) Striscia di Gaza.

Teheran, con l’Arabia Saudita ai confini, resterebbe accerchiata da un poderoso “Asse sunnita” fortificato dalla restaurazione sunnita in Egitto – che dopo il colpo di stato del luglio 2013 ha interrotto i rapporti aperti dal deposto Presidente Morsi con Iran e Hamas – dal caos iracheno, dall’instabilità libanese la cui componente armata di Hezb’ Allah è stata inserita (da USA ed EU, luglio 2013) nella lista delle organizzazioni terroristiche mentre quella sunnita con l’appoggio degli ondivaghi drusi ha innescato un clima di guerra civile contro gli sciiti a Tripoli nel nord, nella Valle della Beqaa al centro e nella capitale.

Accerchiamento che è fortificato dai restanti Paesi del “Consiglio di Cooperazione del Golfo” (CCG: oltre a Riyadh, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar) e dalla Turchia passata, pochi mesi dopo l’inizio delle contestazioni a Damasco (marzo 2011), da alleata ad acerrima nemica della Siria e che con il dislocamento dei missili “Patriot” (marzo 2013) sul confine turco-siriano  costituisce un’ulteriore minaccia per l’Iran.

Con il rinnovato armamento missilistico e l’appoggio sul nucleare assicurati dall’alleato russo, l’Iran, isolato nella Regione, trova sostegno e forza anche sul piano della diplomazia internazionale che ne limita le ricadute negative.

Si avvia un percorso alternativo alla logica della guerra dopo gli ultimi, disastrosi risultati in Afghanistan, Iraq, Libia e Mali?

I segnali sono contrastanti e non inducono all’ottimismo.

Il 14 giugno 2013 un’indicazione di discontinuità rispetto alle crisi registrate nell’ “Arco Mediterraneo” da Rabat a Teheran (e oltre) è venuta proprio dall’Iran dove con il 50% dei suffragi cui hanno partecipato il 70% dei 50 milioni aventi diritto al voto è stato eletto Presidente al primo turno Hassan Rohani, 65 anni, proveniente da una famiglia di bazarini (commercianti nei bazar), con studi in Occidente e a Qom (in teologia), già Segretario del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale e negoziatore nucleare durante la Presidenza Khatami, riformista.

Il Presidente si è insediato il 4 agosto successivo e trova non pochi problemi da affrontare: una popolazione il cui 65% ha meno di 30 anni, un’alta disoccupazione con picchi del 30% fra i giovani; una crisi economica profonda (tasso di inflazione al 42%, caduta delle vendite del 70%, valuta nazionale svalutata del 75%, produzione del petrolio crollata dal 2011 al 2013 da 2,2 mln b/d a 900 mila) causata dalla dissennata politica del precedente Presidente e dalla pesanti sanzioni internazionali; una significativa  restrizione dei diritti evidenziata da alto numero dei detenuti in carcere, brutalità degli apparati di sicurezza e censura opprimente.

In questo contesto, l’elezione di un tecnocrate riformista costituisce una svolta – appoggiata da Alì Akbar Rafsanjani (Presidente negli anni 1989/97), Reza Aref (vice-presidente con Khatami), Mohammed Khatami (Presidente negli anni 1997/2005) – e sancisce la sconfitta dei conservatori Mohamed Baqer  Qakibal (sindaco di Teheran), Saeed Jalil (attuale capo negoziatore per il nucleare), Mohsen Rezai (capo delle Guardie Nazionali per 16 anni) appoggiati dal Presidente uscente Ahmedinejad (2005/13).

Una sintesi della struttura di potere in Iran può facilitare la comprensione dei complessi meccanismi della teocrazia iraniana obbediente al principio della “velayat – e – faqih” (autorità del giureconsulto, che si traduce in predomino assoluto della Guida Suprema).

La Tour Shayad a Teheran

La Tour Shayad a Teheran

Il Presidente, seconda carica del Paese dopo la Guida Suprema, con mandato di 4 anni rinnovabile per non più di due volte consecutive, è capo del Governo di cui nomina i Ministri che devono essere approvati dal Parlamento, responsabile del rispetto della Costituzione e ha la facoltà di proporre leggi che il Parlamento può approvare o respingere.

L’Assemblea degli esperti è costituita da 86 religiosi con un mandato di 8 anni e ne è Presidente Mohammad Reza Mahdavi Kani. Elegge la Guida Suprema, di cui è Presidente l’Ayatollah Alì Khamenei.

La Guida Suprema determina la linea di politica estera, conferma l’elezione del Presidente nomina i 6 membri religiosi e designa 2.000 alte cariche dello Stato (tra cui i Capi di: apparato giudiziario, Forze Armate – costituite da Guardiani della Rivoluzione e Forze regolari – Pasdaran, radiotelevisione dello Stato, principali fondazioni religiose). I Capi dei Guardiani della Rivoluzione e i Pasdaran (ufficialmente 120 mila unità, proteggono i leader e i siti istituzionali, hanno vasto potere e il controllo capillare del Paese) rispondono direttamente alla Guida Suprema.

Il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione – in ossequio del principio della “velayat – e – faqih” –  ha il compito di controllare che le leggi non siano in contrasto con il Corano e la dottrina islamica. E’ composto da 12 membri: 6 religiosi con il potere di bocciare le nuove leggi e 6 giuristi islamici con il potere di valutare le candidature alla Presidenza (per le elezioni del giugno 2013 ne ha accolte solo 8).

Il Parlamento, eletto con voto popolare, è formato da 290 membri con mandato di 4 anni. Approva/respinge leggi di proposta governativa, ratifica trattati e Convenzioni. L’attuale maggioranza è formata da conservatori.

Le Forze Armate sono costituite dai Guardiani della Rivoluzione e dalle Forze regolari.

L’idea di un dialogo degli USA con l’Iran non è nuova essendo stata proposta in diverse occasioni e recentemente (marzo 2013) non esclusa dalla Guida Suprema Khamenei che ribadendo il diritto del Paese ad arricchire l’uranio per scopi pacifici ha ripetuto che “non cercherà mai l’arma nucleare”.

Al contrario, durante la Presidenza Obama è stato approvato il maggior numero di sanzioni e leggi contro la Repubblica Islamica. Nel biennio 2010 – 2012 sono stati emanati dieci ordini esecutivi del Presidente per imporre sanzioni o estendere lo stato d’emergenza e 12 provvedimenti dai Dipartimenti di Tesoro e Stato (su disinvestimento, Banca Centrale dell’Iran, blocco dell’esportazione del petrolio, inserimento nella “lista nera” di rappresentanti dei Ministeri di Interno, Difesa, Informazione, Cultura e Telecomunicazione nonché degli alti gradi delle Forze Armate e di Sicurezza).

A queste misure si accompagnano la violazione dello spazio aereo con droni e aerei spia nel Golfo Persico e nel mare dell’Oman, il sostegno (coperto) a gruppi terroristici come Jundollah (ammesso da Abdul Malek Righi, capo del gruppo) per destabilizzare il Paese, gli attacchi cibernetici a siti nucleari ed energetici, l’inserimento di Teheran nell’ “asse del male” (2002) fino alla cancellazione (settembre 2012) dalla lista delle organizzazioni terroristiche dei “Mohajeddin del Popolo” (MKO) responsabili dell’uccisione di 12 mila iraniani e di aver collaborato con l’Iraq negli otto anni della guerra con l’Iran (1980 – 1988).

La posizione USA – fortemente spinta da Israele (in possesso di armi nucleari senza avere mai aderito al “Trattato di non Proliferazione”) – rimane negativa come evidenziato (19 settembre 2012) a Istanbul anche a fronte della disponibilità iraniana di sospendere l’arricchimento dell’uranio al 20% in cambio di un alleggerimento delle sanzioni.

 Per iniziare un “nuovo corso” Usa e Iran dovrebbero trovare intese almeno su tre temi.

Sulla questione nucleare gli USA dovrebbero facilitare un nuovo approccio dei P 5 + 1 essendo l’Iran già pronto – come ribadito anche dalla Russia in passato (2012) – ad accettare la sospensione dell’arricchimento dell’uranio al 20% in cambio della riduzione delle sanzioni.

Per quanto riguarda la Siria la presenza attiva di Teheran potrebbe rivelarsi di grande aiuto nel quadro di una soluzione politica abbandonando l’opzione dell’intervento militare voluto soprattutto da Arabia Saudita, Qatar, Turchia, U.K. e Francia.

Altro tema– ma non previsto nell’agenda dei colloqui bilaterali Washington –  potrebbe essere il coinvolgimento iraniano nella stabilizzazione dell’Afghanistan atteso che nel 2001 l’Iran è stato determinante nella sconfitta dei Taliban mentre gli USA, dopo 12 anni di guerra, non solo non li hanno sconfitti ma proseguiranno la loro presenza anche dopo il ritiro delle truppe (2014) stabilendo basi nel Paese.

Da tempo sembrano esserci segnali di (prossima) guerra.

Nel Golfo Persico vi sono portaerei USA, fregate inglesi e francesi, squadre navali, mentre Israele, sensibile alla minaccia nucleare iraniana, è in prima linea sul fronte della guerra.

Tel Aviv ha rafforzato la sua presenza inviando squadre dell’intelligence nel Kurdistan iracheno per reclutare rifugiati curdi da infiltrare nel confinante Iran e avrebbe contatti con militanti di Jundallah, l’organizzazione sunnita pakistana responsabile di numerosi attentati nella Repubblica Islamica.

Israele è ritenuta da Teheran mandante di attentati e di uccisione di scienziati iraniani tra cui: l’esplosione in una base missilistica a sud della capitale che causò la morte di decine di tecnici (novembre 2007); il virus informatico ”Stuxnet”, testato da USA e Israele, che contagiò i computer delle Centrale di Busher (giugno 2010); l’esplosione in una base di missili “Shahab-3” che uccise 8 tecnici (settembre 2010); l’esplosione in una base missilistica in cui rimase ucciso l’ideatore del programma, Brigadiere Generale Hassan Moghadam e 30 tecnici (novembre 2011); lo schianto dell’aereo con a bordo tecnici russi diretti all’impianto nucleare  di Busher che provocò la morte di una decina di persone fra le quali 6 scienziati russi (giugno 2011); l’uccisione con una bomba sulla moto dello scienziato Massud Alì Mohammed, esponente del programma nucleare (gennaio 2010); l’uccisione del fisico nucleare Majid Shahariari (novembre 2010); l’ uccisione nella capitale dello scienziato  Daryosh Rezaei (luglio 2011); l’uccisione con una bomba sull’auto dello scienziato  Mustapha Ahmadi Roshan, che lavorava nello stabilimento di Natanz.images-2

In preparazione della (possibile, nuova guerra) gli USA hanno iniziato (novembre 2012) la costruzione di una stazione radar in Qatar dove c’è la più grande base militare statunitense, “Al Udeid Ait Base” con 8 mila uomini, e sorgerà l’ “X. Band” radar chiudendo lo scudo antimissile triangolare i cui primi due funzionanti sono nel deserto Negev israeliano e nella Turchia centrale in modo da bloccare l’eventuale lancio di missili iraniani ora in grado di raggiungere Israele e l’Europa.

Alla stazione radar si affiancherà un altro sistema di difesa, il primo “Terminal  High Altitude Area Defense” (Thaad) dotato di un proprio radar che lavorando di backup aumenterà l’efficienza dell’intero sistema.

In realtà il timore di un “pericolo imminente” per il nucleare iraniano con finalità atomiche  attribuito alla Comunità  Internazionale è di Israele e USA, mentre non concordano con la politica statunitense verso Teheran Russia, Cina, India e Turchia mentre l’ Europa (tranne l’U.K.) mantiene una posizione più defilata.

Priva di un grande esercito e con una strategia essenzialmente difensiva, l’Iran mira soprattutto a scoraggiare un’invasione e che stia costruendo armi atomiche è ancora da provare mentre nell’area ci sono i Paesi che le hanno: Israele, India, Pakistan che si sono rifiutati di firmare il “Trattato di non Proliferazione” e dove i programmi nucleari sono stati realizzati con il sostegno degli USA.

Il pericolo di un’altra “guerra umanitaria” è elevato.

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