La vittoria di Israele contro Hamas, unica alternativa per Netanyahu.

Una analisi di Paolo Brusadin molto interessante sulla situazione attuale e sulla composizione delle fazioni combattenti ben delineata con le relative origini. Un ringraziamento all’Autore.

Il Direttore Scientifico

Benny Gantz

La guerra di Israele per eliminare Hamas dalla Striscia di Gaza è nel suo terzo mese e continuerà, secondo recenti dichiarazioni governative, per almeno altri due (ma sarà, purtroppo, molto, molto più lunga).

Una prospettiva tragica non solo per i palestinesi ma anche per il popolo israeliano, che non appare così monolitico nel sostegno alle proprie autorità governative.

Un popolo che dopo solo un anno dalla formazione del Governo di Benjamin Netanyahu è stato scosso dalle atrocità dell’operazione improvvisa di Hamas denominata عملية طوفان الأقصى‎, al –Aqsa Flood, cui va sommata la questione divisiva di politica interna riguardo le contestate riforme giudiziarie ad personam messe in campo dal Premier.

Siamo di fronte, dunque, a una polarizzazione non solo politica ma anche sociale, che sta mettendo a dura prova una democrazia consolidata come quella israeliana. 

Basti pensare al tentativo di Netanyahu (comunemente chiamato Bibi) d’indebolire il potere giudiziario a favore di quello esecutivo, con il rischio di minare un delicato equilibrio tra i poteri dello Stato.

L’attacco di Hamas sembra aver accelerato il declino politico di Netanyahu, che ha perso la fiducia della maggioranza degli israeliani, considerato il responsabile delle falle di sicurezza che si sono verificate il 7 ottobre 2023 e che hanno causato un’inattesa lentezza nella risposta delle Forze Armate e dei servizi di sicurezza d’Israele.

Da quel giorno in poi il Premier vive nel palazzo governativo insieme al suo Gabinetto di guerra senza apparire troppo in televisione, evitando di partecipare il più possibile agli avvenimenti pubblici, unicamente concentrato sulle mosse militari contro Hamas.

In realtà la lotta militare è più composita, giacché non c’è solo Hamas ma circa 11 diversi fazioni armate che agiscono n contemporanea nella Striscia di Gaza.

Tra le fazioni Hamas è la più significativa, costituita nel 1987 e governatrice di Gaza dal 2007; si stima che abbia tra i 20 e i 30 mila combattenti nel suo braccio armato – le Brigate Izz al-Din al-Qassam – ed è finanziata e sostenuta dall’Iran.

Il Movimento della Jihad Islamica in Palestina è stato fondato nel 1981 da studenti palestinesi che vivono in Egitto ed è considerato uno stretto alleato dell’Iran. Si ritiene che il numero dei suoi combattenti oscilli tra 1.000 e 8.000 combattenti sotto il nome di Saraya al-Quds.

Le Brigate al-Nasser Salah al-Din rappresentano la terza più grande fazione a Gaza, alleate di Hamas e della Jihadislamica in Palestina.

Infine, si segnala le Brigate Mujahideen, il braccio armato del Movimento Mujahideen palestinese, che opera sia a Gaza che in Cisgiordania, con legami con l’Iran. 

In Israele, il declino nella popolarità di Netanyahu sta emergendo anche nei vari sondaggi che ciclicamente sono svolti.

Un primo sondaggio è stato realizzato qualche giorno dopo l’attacco del 7 ottobre ed ha certificato che la composita coalizione di governo guidata da Bibi, nel caso di un immediato ritorno alle urne, avrebbe ottenuto quarantadue seggi nella Knesset, molto meno degli attuali sessantaquattro seggi. Per contro, i partiti d’opposizione uscirebbero rinforzati, compreso i partiti arabi.

Un analogo sondaggio realizzato qualche tempo prima dell’attacco di Hamas, aveva assegnato al Premier cinquantacinque seggi, comunque in forte calo per le polemiche sulla giustizia.

Secondo il sondaggio il vero vincitore sarebbe il partito di Unità Nazionale di Benny Gantz, che è sostenuto da buona parte dei vertici militari, mentre in crisi risulterebbero anche i partiti religiosi di matrice sionista. 

Gantz è anche il politico più accreditato a diventare, una volta terminata la guerra in corso, il nuovo Primo Ministro, a scapito di Netanyahu che, sempre secondo il sondaggio, non trova conforto nemmeno tra gli elettori del suo stesso partito, il Likud.

Infatti, più di un terzo degli elettori di questo partito vorrebbe che qualcun altro sostituisse Netanyahu come Primo Ministro quando le ostilità saranno terminate.

Sembrerebbero in crescita nel Paese le correnti nazionaliste di destra di matrice laico – militare, dirette da ex generali molto critici versus una politica di deterrenza nei confronti di Hamas e sostenitori invece di una linea interventista su vasta scala. 

Un secondo sondaggio d’opinione, svolto qualche settimana dopo i tristi eventi, non ha registrato grossi scostamenti rispetto a quelli rilevati nel primo.

Interessante è la percentuale molto alta, circa l’80% degli intervistati, secondo cui Netanyahu dovrebbe assumersi la responsabilità di quanto successo il 7 ottobre, così come hanno fatto il Ministro della Sicurezza, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Capo dell’intelligence militare – Aman e il Capo dello Shin Bet

Premesso che ai sondaggi va dato il giusto peso, ciò che sembra emergere, anche leggendo i giornali locali, è una diminuzione della fiducia degli israeliani nei riguardi di Bibi, in particolare nella gestione della guerra a Gaza.

Lo si evince dai risultati di un ulteriore sondaggio secondo cui il 76% degli intervistati è favorevole alle dimissioni immediate del Premier, il 47% ritiene che debba lasciare l’incarico una volta terminata la guerra, mentre il 28% apprezza il suo operato e la gestione della difficile situazione.

Comunque sia, il compito del Premier è estremamente complicato, anche perché l’inquietudine dell’opinione pubblica è destinata a perdurare, così come le tensioni tra il Governo, i partiti e l’establishment militare.

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