La protesta silenziosa, ma non troppo, degli sportivi iraniani.

La protesta silenziosa, ma non troppo, degli sportivi iraniani.

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E’ certamente sorprendente il grado di resistenza di coloro che protestano in Iran nonostante essi siano contrastati pesantemente e molti di loro uccisi dalle forze di sicurezza; eppure continuano a manifestare nelle strade.

L’obbiettivo sembrerebbe non essere il rovesciamento totale del governo degli ayatollah, ma un allentamento della durezza del regime, anche perché almeno dall’Occidente non si intravedono figure ‘laiche’ in grado di sostituirsi agli esponenti del ‘clero’ shiita. Solo una forza militare potrebbe sostituirli ma…non attuerebbero forse un regime ancor più oppressivo di quello attuale, magari su altri presupposti ideologici?

Ci sono vari modi per dimostrare il proprio scontento alle forze di sicurezza e alle politiche brutalmente soppressive che il governo di Teheran sta utilizzando fino ad ora.

La squadra di calcio dell’Iran ha giocato in Qatar mentre le proteste sul territorio iraniano continuavano. Quali sono le dinamiche che da tre mesi, giocano un ben diverso match Usa–Iran da quello fatto a Doha?

Nella Coppa del Mondo del 1998 l’équipe iraniana e quella americana giocarono e accade che l’Iran quella volta sconfisse gli Stati Uniti. Ovviamente grandi manifestazioni popolari non per protestare…

Con la mente si torna anche alla Coppa del Mondo del 1978, giocata qualche mese prima che iniziasse la rivoluzione contro i Pahlavi. Era la prima volta che la squadra iraniana partecipava a quella importante competizione calcistica e ancora adesso gli iraniani celebrano quel team, nonostante la loro presenza fosse stata organizzata in un difficile momento politico di contestazione.

Tornando ai nostri giorni, sono state numerose le proteste in Iran per il fatto che la squadra, prima di partire per il Qatar, fosse stata ricevuta dal presidente Raisi. Molti hanno criticato aspramente questa visita di cortesia al capo di un regime che sta uccidendo coloro che protestano, usando una violenza, mai vista prima.

Le critiche sono state rivolte perché, come vuole la tradizione in Iran, se un cittadino incontra il Presidente della Repubblica islamica, come minimo, leggermente inclina la testa quando viene presentato all’autorità ma molti nel caso specifico hanno interpretato tale comportamento come un inchino servile a un leader autoritario. Peraltro bisogna anche pensare alla pressione alla quale I calciatori sono stati sottoposti, prima di partire perché sembra piuttosto difficile e sicuramente molto pericoloso, non prendere in considerazione l’invito di tale massima autorità, in quel contesto particolare.

C’è però da notare che il capo della équipe iraniana, Ehsan Hajsafi, ha chiaramente espresso quel che pensava, iniziando una sua dichiarazione in conferenza stampa a Doha, ricordando Kian Pirfalakm, un bambino di nove anni, ucciso in una delle città iraniane dalle forze di sicurezza. Un bambino diventato un simbolo, come la giovane donna di 22 anni uccisa tre mesi fa, anch’essa presa a simbolo di quei protestanti innocenti che sono stati uccisi nel corso degli ultimi tre mesi.

Hajsafi affermò chiaramente che la situazione nel suo paese non era buona e che la popolazione non era felice anzi era molto scontenta. Affermò anche che la squadra era lì per giocare e rappresentare la voce protestante della popolazione. Ognuno dei giocatori, infatti, quel 21 novembre nella partita contro il Galles, rifiutò di cantare l’inno nazionale per manifestare l’appoggio totale della squadra al popolo iraniano e per dimostrare la propria insoddisfazione per quello che il regime aveva fatto fino ad allora. Sono stati indubbiamente molto coraggiosi perché sapevano bene che il loro gesto avrebbe fatto il giro del mondo, ripreso da tutte le televisioni presenti a Doha.

Nella partita successiva fu chiaro che la situazione era molto cambiata. Cantarono l’inno nazionale a mezza bocca anche perché il giorno prima il governo aveva arrestato un giocatore di football iraniano curdo molto famoso che aveva giocato in partita con loro nel passato. Un ammonimento evidente.

Non ha fatto il giro del mondo ma bisogna ricordare che le équipe iraniane di basket, di volley, del Polo acquatico e del calcio in spiaggia hanno fatto lo stesso.

È molto interessante che gli sportivi che rappresentano l’Iran all’estero cerchino in qualche modo di manifestare la loro opposizione a regime, come Elnaz Rekabi una arrampicatrice sportiva che in una competizione nella Corea del sud decise di gareggiare, non mettendo il velo, quindi sfidando le regole molto strette imposte dagli ayatollah. Fu costretta alla fine di dire che, vista la difficoltà e la tensione del momento, aveva ‘dimenticato’ di mettere il velo ma la maggioranza della popolazione è sicura che questo sia stato un segno di protesta. Tanto che quando la giovane atleta tornò in patria, molti si riunirono all’aeroporto per salutarla come un eroe e dalla sua protesta altre donne atlete hanno partecipato in competizioni all’estero ‘dimenticando’ di mettere il velo. Da notizie sicure giunte in Occidente, la casa familiare di Rekabi è stata demolita come punizione per il ruolo internazionale di popolarità che la giovane donna ha raggiunto. Una dolorosa forma di punizione, per il momento non cruenta.

È da ricordare anche un giocatore di calcio in spiaggia che fece il gesto di mettere i suoi capelli in un crocchio e di far finta di tagliarlo usando le dita come fossero forbici. Questo era un gesto di solidarietà che si riferiva a quello che moltissime donne avevano fatto in segno di protesta.

È chiaro che determinati atti durante lo svolgimento della Coppa del Mondo del calcio si rivolgono a un mondo globale, ma quando questi gesti sono realizzati all’interno dell’Iran, certamente sono eseguiti soprattutto per un pubblico locale e per confermare le proteste. Da notare che alcune équipe locali, anche quando hanno vinto qualche coppa importante, non celebrano la vittoria…indicando che vi è poco da celebrare in simili contesti.

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