Possibile un rovesciamento di potere in Iran?

Possibile un rovesciamento di potere in Iran?

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Credo che per meglio comprendere quello che sta succedendo in Iran, occorra rileggere con cura due libri, uno di Kermit (detto Kim), Roosevelt e uno di William Sullivan, ultimo ambasciatore americano in Iran, prima della presa di potere di Khomeini.

Il primo volume scritto dal nipote di Teodoro Roosevelt si intitola Countercoup. The struggle for the control of Iran (1979). L’autore era un veterano dell’OSS ed era stato a capo del Dipartimento del Medio Oriente della CIA. Era riconosciuto come un ottimo agente e un organizzatore: questo detto da Kim Philby, noto agente dell’intelligence britannica, divenuto famosa spia a favore della sovietica Mosca.

In questo libro Roosevelt spiega minuto per minuto i dettagli con i quali aveva affrontato la sua missione in Iran durante il governo di Mossadegh, per rovesciarlo, riportando al potere lo Shah; quanto descritto nel libro era così esplosivo che, poco dopo la sua uscita, almeno in America, fu sequestrato. Comunque la pubblicazione era stata molto ritardata anche perché il libro rivela il coinvolgimento del Servizio Segreto britannico nel colpo di stato che ha defenestrato colui che aveva nazionalizzato, tra l’altro, le risorse petrolifere iraniane.

In questo libro si comprende come il popolo, ben organizzato e foraggiato da elementi non iraniani, si espresse, nelle piazze e nelle strade, per il rientro di Mohammed Reza, in quel momento in Italia.

Nel libro dell’ambasciatore americano, pubblicato nel 1981, Mission to Iran, si nota bene come vi sia stata una rapida disintegrazione del potere dello Shah nel 1977/78; un drammatico scivolone verso la rivoluzione islamica e la drastica alterazione dell’equilibrio strategico in un territorio, grande produttore di petrolio, nel cuore del Medioriente.

In questo volume di ricordi, l’ambasciatore Sullivan, che aveva incontrato per la sua missione diplomatica molte volte lo Shah e conosceva ben il Paese, riesce a darci notizie su quello che era il background politico, economico e sociale della opposizione al Pahlavi. Nel rappresentare questa situazione ci mostra la forza dell’Islam nella società iraniana di quel periodo contrapposta all’impossibilità dello Shah di riuscire a industrializzare il paese che avrebbe potuto alleviare i problemi economici di una società contadina e periferica, la quale, per migliorare la propria situazione, si era inurbata, aggravando invece i suoi problemi di sopravvivenza quotidiana.

Altri punti importanti di cui parla Sullivan includono la missione del dicembre 1978 del Gen. Huseyr che Washington inviò, pensando si potesse fermare una rivoluzione che invece era già avanzata e matura per il rovesciamento del potere.

Questo racconto non rappresenta solo un record di storia recente ma si può considerare un esempio di come gli interessi nazionali degli Stati Uniti potessero essere danneggiati dall’assenza di una chiara informata leadership alla Casa Bianca ovvero, secondo le stesse parole dure del diplomatico, di come Washington sia stata inetta a comprendere la vera situazione in Iran e ad avere una politica estera di un certo tipo.

Nel 1953 gli americani avevano rimesso sul trono Mohammed Reza Pahlavi; nel 1979 non riuscirono a comprendere quel che stava succedendo e quale sarebbe stato il futuro dell’Iran sotto il dominio degli ayatollah.

Ho citato questi due libri di ricordi storici perché vi è da riflettere sulla possibilità che le proteste di questi giorni riescano in realtà a rovesciare il governo islamico. Quando si trattò del regime dello Shah, tra la fine del 1978 e i primi due mesi del 1979, una tessera importante della vittoria rivoluzionaria fu la decisione della gran massa dell’esercito di spostarsi a favore dell’Islam e dei religiosi Sciiti.

Quella fu la chiave la chiave di volta, a mio parere, anche per determinare la partenza solenne (ma in realtà dii fuga si trattò), di un sovrano autoritario e molto malato.

Quel giorno in tutte le strade e le piazze di Teheran e delle altre più importanti città, molte persone del popolo urlavano con gioia Shah Raft (Shah partì), sventolando la bandiera tricolore iraniana con un buco al centro, avendo tolto il simbolo Pahlavi del Leone e del Sole.images

Ci si può chiedere chi aiuterà gli uomini e le donne che protestano ora in Iran.  O chi li sta aiutando o coglierà l’occasione per aiutarli e scardinare un regime islamico? Non credo che senza aiuti esterni la massa dei protestanti riuscirà a capovolgere la situazione e a cambiare regime.

il presidente degli Stati Uniti, Biden, ha indicato che la sua amministrazione imporrà ulteriori costi a Teheran, con altre dure sanzioni su coloro che saranno responsabili della violenza contro i protestanti delle piazze di ogni città iraniana, scesi in strada già da più di due settimane per vendicare la morte della ventiduenne Mahsa Amini.

Biden, in un suo comunicato di lunedì sera 3 ottobre, ha riconosciuto di essere molto preoccupato da quel che sta succedendo in quel territorio contro studenti e donne che domandano uguali diritti e una dignità umana.

Naturalmente l’ayatollah Khamenei, Supremo leader dell’Iran, non poteva fare altro che indicare come sobillatori delle proteste Israele e Stati Unitim che avrebbero lo scopo, a suo dire, di fermare il grande progresso economico e politico dell’Iran.

È estremamente interessante che Khamenei abbia fatto questo discorso nell’Università della Polizia di Teheran alla presenza dei cadetti che stavano entrando in servizio, avendo terminato il corso. Questo particolare è da sottolineare perché, ricordando la rivoluzione del 1978/79, il pensiero corre all’esercito iraniano e a parte della polizia locale, ivi compresa la Savak  – Sazman-e Etelaat Va Amniat Keshvar (la terribile polizia segreta, sicurezza interna e servizi di intelligence, una delle tre presenti in quel periodo sul territorio) che decisero di schierarsi a fianco dei religiosi Sciiti. Non è un caso che il leader supremo della rivoluzione abbia deciso di fare questo primo discorso molto duro di fronte a uomini in divisa e probabilmente anche a numerosi esponenti delle organizzazioni di sicurezza interna. È importante tenere compatta e forte una incrollabile fedeltà verso l’attuale sistema di governo, soprattutto da parte di chi ha armi e conoscenza in intelligence, forse ricordando proprio quell’elemento decisivo che ha portato alla vittoria la rivoluzione islamica.

L’elemento femminile in Iran è molto forte anche se il regime tenta di soffocarne la forza. Nel vedere i filmati delle proteste in Iran ho potuto notare una situazione estremamente interessante: alcune donne sventolavano una bandiera, ma non era quella della Repubblica islamica, perché al centro era tornato Il Sole e Il Leone, simbolo centrale della bandiera Pahlavi, invece del simbolo dell’attuale vessillo iraniano.

Fatto assai strano perché è indubbio che quella bandiera non sia stata fatta confezionata di recente ma probabilmente tenuta da parte del segreto delle case, a meno che qualche fornitore di vessilli non ne avesse fatto una scorta in tempi gloriosi e l’avesse poi seppellita in fondo al magazzino, sperando che nessuno mai della polizia islamica ne avesse notizia. Oppure che sia arrivata da…fuori confine.

Le donne ebbero un certo ruolo, durante il regime dello Shah, anche grazie al personale impegno di Farah Diba, consorte di Mohammed Reza, ex studentessa di architettura a Parigi che aveva una visione molto moderna circa la presenza delle donne nella società, sia in quella dell’alta borghesia, sia in quella degli strati più umili della popolazione dove, bisogna ben ricordare, all’interno delle mura domestiche, il capo è sempre stata la donna, e non l’uomo, situazione forse poco conosciuta nel mondo occidentale.

Senza aiuti esterni, di qualsiasi tipo, o interni di tipo militare, le proteste della popolazione non riusciranno a capovolgere l’attuale sistema di governo.  Una volta, più di quarant’anni fa, uomini e donne urlavano Marg bar Shah (morte allo Shah) e ora? Libertà….آزادی….e sia.

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