Sud-Est Asiatico, tra separatismo politico e jihadismo

Sud-Est Asiatico, tra separatismo politico e jihadismo

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Non è facile comprendere la matrice degli attacchi del giorno di Pasqua in Sri Lanka che hanno procurato 250 morti e 500 feriti e la distruzione di alcune chiese. Difficile l’analisi di questi fatti in Europa se non la comprensione immediata dell’attacco alla Cristianità’. La situazione però è molto più complessa. L’articolo che segue cerca di spiegare appunto la presenza jihadista nel Sud-Est asiatico in un quadro transnazionale nei rapporti con la situazione locale e regionale.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il 21 aprile scorso, lo Sri Lanka ha subito numerosi attacchi terroristici di matrice islamista che hanno ucciso almeno 359 persone e ferito oltre 500 persone. 39 vittime erano cittadini stranieri. Secondo le autorità del Paese, numerosi terroristi hanno attaccato tre alberghi e chiese cristiane con esplosivi. I servizi di sicurezza dello Sri Lanka hanno arrestato circa 65 persone.

Il fenomeno del terrorismo e, più in generale, la violenza di matrice politica sono presenti in Sri Lanka (ex Ceylon), da quando il paese è diventato repubblica nel 1971. Lo Sri Lanka è stato vittima di una guerra civile, durata decenni, fino al 2009. Le cause sono da ricercare in politiche sociali e economiche oppressive durante il periodo coloniale e post-coloniale, che hanno limitato i diritti della popolazione Tamil, un gruppo di minoranza indù, presente nel Paese da sempre. Durante il periodo coloniale e quello post-coloniale contemporaneo, il popolo Tamil era politicamente poco rappresentato e sempre più emarginato dalla società.

Nel 1972, quando il Paese cambiò nome da Ceylon a Sri Lanka; fu dichiarata la repubblica e il Buddismo divenne religione ufficiale. I Tamil iniziarono pacificamente a protestare contro le politiche del governo per la costante emarginazione sociale e religiosa. Tuttavia, con il passare del tempo, iniziarono a emergere, tra i Tamil, gruppi di resistenza armata. Questi impiegarono tattiche da guerriglia contro forze governative e iniziarono a compiere attentati terroristici in quella che sarebbe diventata una sanguinosa guerra civile, caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani e dalla morte di oltre 100.000 persone.

Oggi la situazione è molto diversa. In tutta l’Asia sud-orientale, la maggior parte degli atti di violenza politica è dovuta a gruppi jihadisti e movimenti separatisti islamici. I cristiani sono sempre più perseguitati e vittime di attacchi compiuti da gruppi locali affiliati a organizzazioni terroristiche di lunga data, Al-Qaeda, e più recenti, Daesh. Al-Qaeda e Daesh sono da anni impegnati in una competizione per accrescere la propria influenza e leadership all’interno della regione. Ciò ha ripercussioni notevoli a livello sociale e politico. La violenza da parte dei gruppi jihadisti locali e la loro volontà di allearsi con organizzazioni con reti di contatti oltre confine impone una revisione delle misure di sicurezza.

Sebbene Daesh sia fortemente compromesso a livello territoriale in Siria e in Iraq, la sua trasformazione in un’entità puramente asimmetrica e la sua attività nel Web rendono ogni confine territoriale obsoleto e stanno accrescendo una propaganda che riesce a attrarre affiliati e a convincere giovani – anche benestanti e formati all’estero – a unirsi a movimenti locali. Paesi come Indonesia e Filippine stanno avendo difficoltà a contrastare questo fenomeno oramai globale, che certamente permane a causa di povertà, disoccupazione e disuguaglianze, ma anche grazie a un disagio sociale che va oltre i parametri economici e di difficile contrasto. Inoltre, aumenta la preoccupazione per la minaccia rappresentata dai cosiddetti “foreign fighters”,di ritorno da Siria e Iraq nei loro Paesi di origine. Tutto ciò potrebbe avere un profondo impatto sociale su quei Paesi del sudest asiatico (Cambogia, Indonesia, Filippine), che devono fronteggiare altri fenomeni complessi quali traffico di droga e conflitti marittimi. Sebbene questi siano svincolati dal fenomeno jihadista e dalla sua propaganda, si intersecano in una matrice transnazionale difficile da districare.

In Sri Lanka, per esempio, Daesh ha radicalizzato poche persone. Tuttavia, la propaganda del cosiddetto Stato Islamico varca ogni confine senza limiti e si unisce a quella di altri gruppi jihadisti della regione (quali per esempio Jemaah Islamiyah,Jamaah Anshurat Tauhid in Indonesia o Abu Sayyaf nelle Filippine) aumentando complessivamente il livello della minaccia in tutta la regione. Tensioni e rivalità tra le varie fazioni jihadiste rendono poi il contesto intrinsecamente più complesso.

Daesh ha rivendicato gli attentati della domenica di Pasqua in Sri Lanka, quando sono emerse prove evidenti delle sofisticate capacità organizzative e gestionali dei perpetratori, insieme al loro uso di tattiche jihadiste conosciute. Il governo ha accusato il National Thowheeth Jama’ath di aver compiuto gli attacchi con il sostegno di organizzazioni estere, ma l’analisi di alcuni elementi caratteristici del gruppo è fondamentale. Il National Thowheeth Jama’ath è coinvolto in atti di vandalismo piuttosto che terrorismo. Se il gruppo è davvero responsabile degli attentati, la tattica da loro impiegata indica un sostanziale salto qualitativo a livello sia strategico sia tattico. È essenziale che l’indagine in corso chiarisca questo punto e il livello di coinvolgimento del National Thoweeth Jama’ath.

La pista riguardante la ricorrenza della sconfitta dei Tamil nella guerra civile, avvenuta nel 2009, sembra essere poco solida, anche considerando il fatto che i Tamil sono, in parte, cristiani.

Un altro elemento da chiarire è il fallimento dell’intelligence, riconosciuto dalle autorità dello Sri Lanka. Pujith Jayasundara, un alto funzionario del governo di Colombo, secondo quanto riferito, ha ricevuto un avvertimento da servizi di informazione esteri, circa un possibile attacco terroristico contro chiese cristiane nel Paese e avrebbe provveduto a informare chi di dovere. Sfortunatamente, secondo il Ministro delle Telecomunicazioni, Harin Fernando, le informazioni non sono arrivate ai decisori o sono arrivate in ritardo. Vi sarebbe perciò un fallimento di quello che gli esperti chiamano il ciclo dell’intelligence, ovvero quel processo che permette di raccogliere notizie da varie fonti sui rischi per la sicurezza nazionale, per poi trasformarle, tramite analisi, in informazioni comprensibili e utilizzabili dal decisore politico.

Rompere il legame tra Separatismo, Criminalità e Jihadismo

Se il National Thowheeth Jama’ath dovesse essere ritenuto il vero responsabile degli attacchi, questo dimostra che anche piccoli gruppi locali, impegnati di attività a “bassa intensità” possono minacciare seriamente la sicurezza nazionale e gli interessi socio-economici di interi Paesi, soprattutto di quelli in cui il turismo è un settore strategico per l’economia nazionale. La cooperazione interna tra intelligence e forze di polizia è vitale, così come la cooperazione regionale deve urgentemente rafforzarsi. E’ sempre più facile per piccoli gruppi jihadisti locali connettersi e sfruttare i networks di organizzazioni terroristiche e criminali transnazionali per ricevere istruzioni, formazione, equipaggiamento e logistica.

Il Sud-Est asiatico è una regione profondamente colpita da conflitti interni, criminalità e instabilità in molte aree urbane. L’emergere e il rafforzamento di movimenti jihadisti ha quindi un impatto significativo sulla stabilità politica e sociale della regione. Ciò è dovuto alla compresenza di movimenti separatisti religiosi, movimenti etnico-nazionalisti, con il loro intento politico di indipendenza o autonomia, strutture di potere criminalizzate e gruppi jihadisti. Le evidenti lacune nell’implementazione di strategie di anti-terrorismo e contrasto alla criminalità organizzata permettono un radicamento ulteriore dei gruppi jihadisti sul territorio, nonché interconnessione e interdipendenza con movimenti politico-separatisti e religiosi.

Sebbene i vari movimenti separatisti locali presenti nella regione del Sud-East asiatico abbiano diverse strategie e obiettivi rispetto gruppi jihadisti, molti impiegano la retorica e la propaganda jihadista per raggiungere i loro obiettivi. Inoltre le tattiche jihadiste vengono usate dai movimenti separatisti, poiché difficili da contrastare e prevenire, garantendo anche l’impatto desiderato sui media locali e internazionali. È fondamentale che i Paesi della regione rivedano le proprie strategie e politiche di anti-terrorismo per rompere il nesso tra separatismo, criminalità e jihadismo, specialmente ora che “foreign fighters” ben addestrati e veterani stanno tornando in patria.

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