DONNE E JIHADISMO IN MEDIO ORIENTE

DONNE E JIHADISMO IN MEDIO ORIENTE

 

Donne e armi

Donne e armi

Il ruolo delle donne nell’Islam di DAESH e in particolare nella guerra dei jihadisti è molto interessante e soprattutto importante. Ma non come noi potremmo pensare…

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

1.La situazione attuale sui jihadisti dall’inizio di Al Qaida a Daesh.

Al Qaida, titolare del primo terrorismo islamico planetario, cerca di conquistare gli estremisti dello Stato Islamico, mentre il “Califfato” collassa fra pesanti perdite di uomini, materiali, territorio e prestigio.

L’allarme proviene dal britannico The Guardian. Il suo corrispondente dall’Africa, il noto Jason Burke (autore, fra l’altro, del libro “The New Threat from Islamic Militancy”), svela che la campagna di reclutamento è iniziata già dalla scorsa estate (2017) ancora prima che Daesh avesse perso le roccaforti di Mosul e Raqqa. Al Qaida sta cercando di conquistare i combattenti e le risorse dei suoi rivali sconfitti dal nemico occidentale, per prenderne l’eredità.

I fatti citati da Burke:

  • dieci combattenti di una piccola formazione affiliata a Daesh, “convertita” dopo i dibattiti con Studiosi islamici fedeli a Al Qaida;
  • episodio analogo in Siria, nel settembre scorso;
  • nella regione del Sahel, Africa settentrionale, e prossima destinazione anche italiana, è ormai Al Qaida a guidare le azioni armate, compreso l’attacco in cui, ad ottobre scorso, sono stati uccisi in Yemen per “pentimento” combattenti Daesh scoraggiati dal comportamento dei loro leader e dai “maltrattamenti”, e cambio di bandiere del terrore.

Accade anche in Afghanistan, dove un gruppo di combattenti Daesh nella remota ma strategicamente centrale di Ghor, disertato il “Califfato”, passano ai talebani.

Per molti analisti il “Califfato” non si arrende e ciò che ancora rimane, ora farà leva sulla sua vasta rete di gruppi e fazioni affini in tutto il mondo per lanciare attacchi a Ovest e mantenere il suo ruolo di avanguardia fra gli estremisti. Gli affiliati diventano ora una “cassaforte rifugio” di combattenti in fuga da Iraq e Siria. E la lealtà dei miliziani passati alla Stato Islamico proprio da Al Qaida, diventa un indicatore chiave della capacità di recupero delle formazioni di Daesh all’indomani del tentativo fallito di costruirsi come nuovo potere territoriale.

2.Situazione in Africa: Boko Haram e Sahrawi

Boko Haram, gruppo islamista indipendente nel Nord-Est della Nigeria, che ha promesso fedeltà a Daesh nel 2015, è ora diviso, anche se due delle principali fazioni sembrano ancora fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi, vivo o morto che sia.

Si crede che Al Qaida stia cercando di riconquistare la fedeltà di Adnan Abu Walid al-Sahrawi, il comandante i cui uomini si ritiene abbiano ucciso i quattro statunitensi in Niger. Daesh non ha rivendicato l’attacco, ritenendo che il gruppo sia incerto sulla fedeltà di Sahrawi. Per alcuni servizi segreti, Sarhrawi sarebbe ora fedele ad Al Qaida. Nello Yemen, è invece “Il Califfato” che lotta per affermarsi sul predominio di Al Qaida, anche se, secondo l’intelligence USA, i due gruppi stavano collaborando, anche se recentemente le fazioni ex Daesh sarebbero state assorbite da Al Qaida.

Un lungo reportage sul Washington Post espone una sintesi del racconto di Souad Mekhennet e Joby Warrick (“The jihadist plan to use women to launch the next incarnation of ISIS”) secondo i quali fra le donne del Califfato in fuga dalla guerra non tutte si sono arrese.

Si parla di una di loro, “Zarah”, fuggita nell’aprile 2017 attraverso il confine tra Siria a Turchia e ora in Marocco.

Il marito combattente è ucciso e Zarah giura che un giorno i suoi figli reclameranno il loro paradiso islamista rubato: “Cresceremo figli e figlie forti e diremo loro della vita nel Califfato”.

i funzionari anti terrorismo temono non solo Zarah. Negli ultimi mesi sono centinaia le donne che hanno abbandonato il Califfato per tornare ai Paesi natali e che trovano rifugio nei centri di detenzione o nei campi profughi lungo la strada.

Alcune sono madri con bambini piccoli che affermano di essere state spinte a andare in Iraq o in Siria per stare con i loro mariti. Ma un’inquietante parte di loro sembra avere abbracciato l’ideologia del gruppo restando fedele ai suoi obiettivi. Dal Nord Africa all’Europa occidentale una sfida inaspettata, per chi si aspettava un flusso di uomini rimpatriati e si è invece trovato a decidere il destino di decine di donne e bambini.

Poche le donne che hanno combattuto in battaglia, ma tutte sono potenziali minacce. Sappiamo che i leader della Stato islamico hanno recentemente dato istruzioni alle donne per partecipare agli attacchi oltre a crescere futuri terroristi.

Ci sono stati sicuramente casi di donne trascinate dall’ISIS, ma ce ne sono alte che sono state radicalizzate e che hanno assunto ruoli importanti”, afferma Anne Speckhard, direttore del Centro per lo studio dell’estremismo violento. Una nativa del Kosovo, intervistata in Marocco ha ammesso di essere tornata solo perché era nelle ultime settimane di gravidanza e voleva cure mediche migliori. Per poi tornare e crescere figli martiri.

3.La situazione in Marocco

In Marocco sono stati poco più di 1.600 combattenti i maschi tornati a casa. Ma i consolati stranieri in Turchia sono stati assediati da centinaia di donne e bambini – mogli, madri e figli di combattenti dello Stato islamico – che chiedono visto e aiuti per tornare a casa. Decine di loro – come Zarah – sono uscite ed entrate dal Paese inosservate mentre decine di altre sono in attesa in centri di detenzione in Turchia dove i loro casi vengono esaminati. I rimpatriati che hanno commesso reati andranno in prigione, ma le loro donne?

La maggior parte delle donne che sono tornate finora sembrano intenzionate a riprendere le loro vecchie vite e a lasciare dietro di sé lo Stato islamico, dicono i funzionari. Ma la paura tra gli esperti di sicurezza è che alcuni dei rimpatriati continueranno a mantenere punti di vista radicali e cercheranno lo Stato islamico. Storie laceranti, di paure e vite infami tra le reduci dello Stato Islamico nelle interviste raccolte dai reporter del WP. “Pentimento” credibile? La maggior parte delle donne intervistate – rivelano i reporter – continua a indossare l’abito più severo imposto dal gruppo militante islamista, a partire dal niqab, la pesante tunica che copre tutto tranne gli occhi.

Torna la storia di Zarah. Vedova a 20 anni, si risposa e ottenne un posto di lavoro nel servizio dei media della Stato islamico, dove le donne escluse dai combattimenti lavoravano alla propaganda del gruppo. E narra dell’esempio di Fatiha Mejjati, la vedova di 56 anni di un terrorista marocchino diventato il capo della brigata al-Khansaa dello Stato islamico, un distaccamento tutto al femminile che aggira le restrizioni del gruppo con il trucco o la mostra di pelle nuda. La reputazione di Mejjati come severa esecutrice dei codici del gruppo è supportata da testimoni e documenti giudiziari che descrivono le fustigazioni delle donne sospettate di infrangere le regole.

Negli ultimi mesi, un numero crescente di donne ha partecipato a operazioni militari, sia all’interno del Califfato sia nei loro Paesi di origine. I leader dello Stato islamico hanno inizialmente scoraggiato le donne dal servire come combattenti o attentatori suicidi. Ma con il crescere delle perdite, il gruppo ha dato alle donne maggiori spazi militari. Esempio recente, i comandanti hanno ordinato a decine di donne kamikaze di lanciarsi contro le truppe a Mosul. Nel settembre 2016, i leader siriani del gruppo hanno guidato una cellula di cinque donne francesi nel tentativo fallito di portare a termine un attentato terroristico nel centro di Parigi.

4.La propaganda dell’ISIS

Un saggio, il mese scorso, nell’organo di propaganda ufficiale dello Stato islamico, al-Naba, ha cercato di radunare più donne nella lotta invocando una famosa guerriera dell’antica dell’ antica storia dell’Islam: Nussybah po ‘Ka’ab, una tribù del settimo secolo che prese la spada quando il Profeta Maometto fu circondato da nemici in battaglia.

Nel 631 d.c., Maometto tenne il suo ultimo discorso. Nato povero e subito orfano, di professione carovaniere, fu solo sposando una ricca vedova che si affrancò dalle miserie ma rifiutò la vita di lusso per dedicarsi alla meditazione e all’ascesi. Il risultato dell’esperienza fu la nascita dell’Islam. Maometto alla Mecca predicò:

“Non è strano per le donne musulmane oggi avere il senso dell’onestà, del sacrificio e dell’amore per la fede, proprio come le donne mujahidin che hanno sostenuto l’Islam”. E aggiunse:” come è vero che avete dei diritti sulle vostre donne, così esse hanno dei diritti su di voi: Vi raccomando, trattatele bene e con tenerezza poiché sono le vostre compagne e il vostro aiuto” Testuali parole.

Non va trascurata la vicenda dei Sufi, i cui seguaci sono sotto attacco non solo in Afghanistan e Pakistan. Infatti, tra le correnti minoritarie dell’Islam quella sufi è la più invisa al radicalismo jihadista: troppo libertaria, dionisiaca e pacifista, distante anni luce dalla presunta ortodossia Wahabita, segue il culto dei “santi” e altre pratiche considerate eretiche. Ha abbracciato il sufismo, fra gli altri, Hassan Al Turabi, sudanese, alto, magrissimo, vestito di bianco, più volte tratto in arresto. Coltissimo, poliglotta, con studi a Parigi e Londra, si è successivamente avvicinato ai sunniti, del quali è diventato il più rispettato leader mondiale e per anni anche esponente del Governo. Incontrato più volte dallo scrivente, ha confidato di avere ospitato per poco tempo Osama Bin Laden, del quale non aveva stima perché parlava un arabo superficiale, non aveva un’adeguata preparazione militare e si esponeva alla stampa. Insomma non era così importante come gli occidentali ritenevano. Hassan Al Turabi è recentemente deceduto.

Contro i sufi, la strage più grave, anche di civili inermi, nella storia recente dell’Egitto è stata quella di Al Rawanda, e altri diversi luoghi di culto del sufismo sono stati devastati nel Sinai e nel Sud del Paese. Addirittura, nel 2017, è stato rapito di fronte alla sua casa di Harish, un religioso di 100 anni, Abu Haraz, riverito come il grande saggio del sufismo nella penisola, e poco giorni dopo sono state diffuse le immagini della sua esecuzione.

5.L’attività del Sito Intelligence Group Europeo

Afferma il “SITE” (Intelligence European Group), con Rita Katz: “Non sarei sorpresa di vedere un aumento delle donne negli attacchi ispirati o coordinati da ISIS in Occidente e altrove”.

Anticipando tale svolta, diversi governi europei hanno iniziato a rafforzare le leggi per trattare con le donne rimpatriate. In Belgio, Francia e Paesi Bassi, l’accusa e la reclusione sono quasi certe per uomini e donne che si sono uniti al Califfato e ora vogliono tornare a casa. Il governo belga, dopo aver inizialmente permesso a donne e bambini di tornare nei loro vecchi quartieri, sta ora istruendo procedimenti giudiziari per 29 donne che chiedono il rimpatrio dall’Iraq o dalla Siria. La percezione di donne vittime è svanita dopo l’attacco del marzo 2016 a Bruxelles e recenti casi in cui i bambini di famiglie ritornate cercavano di radicalizzare i compagni di classe.

La preoccupazione degli esperti di sicurezza europei è che alcuni rimpatriati manterranno le loro idee radicali, anche dopo aver trascorso del tempo in prigione. Timori sostenuti da anni di ricerche dimostrano la difficoltà di invertire sugli effetti dell’indottrinamento estremista. Gli studi confermano inoltre che le madri hanno un’influenza maggiore quando si tratta di instillare punti di vista radicali nei bambini, spiegano gli esperti. “Dato che i rimpatriati sono per lo più donne giovani, c’è la possibilità che possano avere ancora più figli nei prossimi anni, e una possibilità reale che queste donne possano crescere i loro figli in una versione molto radicale dell’Islam”.

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Abu Bakr Al Baghdadi

Abu Bakr Al Baghdadi

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