LA MIGRAZIONE E LA LIBIA.1

LA MIGRAZIONE E LA LIBIA.1

Mappa LibiaSui giornali italiani, anche di opposizione, raramente si fa riferimento a analisi fatte da istituzioni governative, e non, sul fenomeno della migrazione di massa proveniente dalla Libia. Di seguito invece, un’analisi attenta di due importanti rapporti dell’ONU e di un Think Thank norvegese sullo stato della Libia.

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

  1. Rapporto dell’ONU e del Think Tank norvegese sullo stato della Libia

Il tre luglio, a Sebha, il convoglio del ministro dell’istruzione, Otman Abdul Jalil del governo di Tripoli, è assalito da milizie sconosciute che sequestrano il ministro e lo liberano grazie all’intervento del Consiglio degli anziani.

Che succede ancora in Libia?

Lo spiegano il recente Rapporto delle Nazioni Unite e lo studio del Think Tank norvegese “Global initiative against transnational organized crime”.

Nelle quasi trecento pagine del Rapporto sulle rotte dei migranti africani e le organizzazioni dedite al contrabbando in Libia la città di Sebha è al divenuta l’ hub dei trafficanti di persone.

Un lungo e poco lusinghiero capitolo è dedicato alla Guardia costiera libica cui l’Italia affida crescenti responsabilità sui flussi migratori verso le coste italiane.

Gli autori del rapporto elencano i capi del traffico e i loro referenti politici e tribali.

Il primo è Abd al Rahman Milad, più noto come “al Bija”, comandante della Guardia costiera del porto di Zawiya, città che insieme a Garabulli, Sabratha e Ghadames – verso la frontiera dell’Algeria – Ajdabya e Beni Walid, si contendono il ruolo di primo piano per le partenze dei gommoni.

Lo studio norvegese conferma quanto riporta il dossier dell’ ONU.

Zawiya fra queste località costiere è il centro più importante ed è dominata dalla potente famiglia Koshlaf, che gestisce un centro di detenzione per migranti, uno dei più terribili, dentro un’ex raffineria.

Il comandante “al Bija”, in ottimi rapporti con il clan Koshlaf, è stato coinvolto nell’affondamento di un barcone di migranti, contro il quale ordinò di sparare.

Un altro ufficiale della Guardia costiera, Tarek al Hengari, è accusato di avere partecipato a un’altra strage di migranti “nel tentativo di ostacolare il traffico”.

Sempre dall’ONU si apprende che nei centri di detenzione di Zawiya, Khums (Misurata) e Tripoli non sono rispettati i diritti umani e nei capannoni gestiti dal clan Koshlaf bambini e donne vengono “utilizzati come schiavi sessuali”.

Il Rapporto scrive anche su:

     – lucrosi traffici illegali di petrolio, armi e farmaci;

     – mercenari sudanesi e ciadiani finanziati e armati dall’aprile 2016 contro Daesh;

     – tribù dei Tebu, da sempre in rivalità con i Tuareg, pur condividendone la condizione;

     – Tebu e Tuareg che controllano anche le rotte carovaniere del Fezzan .

Inoltre, in Libia è frequente l’osmosi fra tribù, militari e referenti politici.

  1. Emerge Haftar

Della rivalità fra Tebu e Tuareg trae vantaggio il generale Khalifa Haftar, che dal 3 luglio tenta di sconfiggere i Tebu – i quali gli sono ostili nell’oasi di Kufra – procedendo a rastrellamenti per la consegna delle armi.

Ma neanche le sue truppe, della milizia chiamata ”Esercito nazionale libico” (Lna), sono esenti da gravi crimini di guerra, documentate con il Rapporto ONU anche con fotografie di esecuzioni sommarie.

In più, i clan Ghaddafi e Warfalla, che adesso sembrano appoggiare Haftar, sono indicati anche dai ricercatori norvegesi come attori di primo piano nel contrabbando di petrolio, preziosi e migranti.

Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che ha nominato il libanese Ghassan Salame nuovo inviato speciale per la Libia, a margine di una conferenza stampa per la Giornata del Rifugiato, avrebbe scoraggiato l’Italia dal fare accordi con Farraj per intercettare i profughi dal momento che neppure a Tripoli garantisce il rispetto dei diritti umani.

Inoltre, sulla Guardia costiera libica pende un’inchiesta della procuratrice Fatou Bensouda presso la Corte Internazionale dell’Aja.

  1. Cosa succede in questo quadro caotico?

I quotidiano “Nena News” rileva che all’inizio del mese corrente, durante una conferenza stampa, il portavoce del “Lybian National Army” (Lna), Ahmed al-Nesmari, accusa Qatar, Sudan e Turchia di finanziare il terrorismo jihadista in Libia.

In merito, Al Arabiya riporta che il generale avrebbe dichiarato come “la battaglia dell’esercito libico non sia contro i terroristi libici, ma contro il terrorismo transnazionale”. Un terrorismo aiutato a operare, secondo le dichiarazioni di al-Mesmari, dall’aviazione qatarina e da un continuo scambio di informazioni fra militanti jihadisti locali e corrispondenti dell’emittente Al Jazeera.

Le accuse non vengono solo dall’interno della Libia.

Dopo la pubblicazione dei documenti che proverebbe il coinvolgimento del Qatar nel finanziamento e sostegno delle forze dello Stato Islamico in Libia, l’Egitto si è fatto portavoce della questione presso il Consiglio di Sicurezza ONU.

Durante l’incontro di fine giugno, il vice ministro degli esteri egiziano, Tarq al Qoni, invita il C.d.S. a una maggiore vigilanza sulla situazione libica date le continue violazioni delle sanzioni in fatto di armamenti da parte di Qatar e altri Paesi dell’area.

La condanna netta per l’operato qatarino sembra indicare la necessaria non-ingerenza negli affari interni del Paese come via maestra per la risoluzione del conflitto.

Parallelamente però, Egitto, comunità internazionale e, soprattutto, alcune forze interne alla Libia sembrano voler applicare queste previsioni in maniera unidirezionale alla parte avversa.

In questo senso appare significativa la inchiesta in sede ONU – in concomitanza con la denuncia della violazione delle sanzioni – della cancellazione dell’embargo sugli armamenti diretti all’ Lna.

Nella stessa direzione, il generale egiziano in pensione, Mahmoud Khalaf, intervistato dal portale Sputnik, dichiara che l’Egitto ha il diritto di difendere il proprio confine comune supportando le forze della Cirenaica e di Khalifa Haftar contro le milizie jihadiste.

Allo stesso modo, vanno annotati i raid compiuti dall’aviazione egiziana in territorio libico contro 12 vetture che, secondo informazioni egiziane, avevano tentato nei giorni precedenti di attraversare il confine con armi, munizioni ed esplosivi.

  1. Verso un governo di Haftar

La situazione internazionale e regionale e la ridefinizione di assi di alleanza attraversanti Medio Oriente e Nord-Africa potrebbero facilitare il progetto di riunificazione nazionale di Khalifa Haftar.

Il generale è riuscito ad acquisire in questi ultimi anni relazioni internazionali ad ampio spettro e a radicarsi sul proprio territorio nazionale anche grazie a operazioni belliche vittoriose come la conquista dei porti petroliferi e l’espulsione delle Brigate della Difesa di Bengasi nell’area di Jufra.

In questo ultimo caso, le politiche messe in atto potrebbero portare al Governo della Cirenaica vantaggi che trascendono dal semplice avanzamento territoriale.

L’obiettivo è mettere in atto politiche di controllo effettivo del territorio per avere una base di partenza delle proprie operazioni verso l’Ovest del Paese.

In questo contesto, vanno esaminate la nomina del nuovo comandante della Polizia di Juffra, il colonnello Mahmoud Mohamed Al- Dahabi, e del governatore Militare della regione, il brigadiere Mohamed al-Senussi Nasr, e la notizia diffusa in Italia da Agenzia Nova, che “il comando militare della zona centrale della Libia dalla sua sede di Hon, nel distretto di al- Jufra, ha diramato una nota nella quale chiede a tutti i cittadini di consegnare armi e munizioni in loro possesso immediatamente e mettersi in contatto con i battaglioni che presidiano l’area”.

In un Paese dove la mancanza di sicurezza è caratteristica che accomuna l’intero territorio come nel caso dell’attacco del tre luglio a Bebha o del blackout generale che ha colpito il Paese a causa delle alte temperature, l’uomo forte Haftar acquista legittimità.

Alla luce di quanto emerge, non stupisce l’ultimatum di Haftar alle altre forze politiche del Paese.

Durante un incontro svolto una settimana addietro con i capi tribù dell’area orientale, Haftar avrebbe dichiarato di voler agire unilateralmente entro i prossimi sei mesi per chiudere la questione libica.

Oltre alla possibilità di riprendere Tripoli attaccando da Est, Sud e Ovest, Haftar avrebbe sottolineato come, quando riterrà che il tempo sia maturo, le forze armate libiche non aspetteranno di avere l’appoggio dei partiti, ma agiranno in autonomia.

Tutto questo avviene mentre in Italia ed Europa viene quotidianamente agitato lo spettro dei crescenti flussi migratori.

La prospettiva di un governo capace di fermare le partenze dalle coste libiche, nonostante le evidenti problematiche di delegittimazione per l’eventuale abbandono di un governo come quello di Fayez al Sarraj, calato dall’alto dall’Occidente pilotato dall’ONU, potrebbe indurre molte forze politiche a porsi a fianco del generale che promette controllo e sicurezza.

(continua)

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Khalifa Haftar

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