L’INCESSANTE GUERRA IN LIBIA

Il lungomare di Tripoli ai tempi di Gheddafi (photo©firuzeh)

Il lungomare di Tripoli ai tempi di Gheddafi (photo©firuzeh)

La Libia è nel caos più completo grazie all’intervento sconsiderato dell’Occidente che non ha valutato le conseguenze di una destabilizzazione di un territorio che si reggeva in instabile stabilità per un uomo forte che certamente con metodi che fanno rabbrividire, teneva le tribù. Di seguito la situazione attuale lucidamente analizzata da Aldo Madia

Il Direttore scientifico: Maria Gabriella Pasqualini

Il 17 maggio, nel deserto del Fezzan, a meno di 70 chilometri da Sebha, viene assaltata la base aerea di Brak al Shati, fino a quel momento controllata dalle milizie fedeli al generale Khalifa Haftar.

L’attacco, che viola la tregua raggiunta da pochi giorni fra Tripoli e Bengasi, è subito sconfessato dal governo tripolitano di Fayez Al Serraj.

La strage causa 141 vittime di cui 74 sono militari della “Brigata 12” di Haftar e sarebbe stata eseguita da un gruppo delle milizie di Misurata, la città che fornisce la maggiore forza armata al governo di Tripoli. Il gruppo sarebbe “Terza Forza”, presumibilmente dissociatosi dal governo di Serraj. In merito, il ministro della difesa di Tripoli sostiene di non aver impartito alcun ordine di attacco contro la base aerea e che gli ordini sono sempre quelli per rispettare la tregua e addossa la responsabilità dell’evento alle truppe di Haftar che hanno eseguito raid aerei su Tamanhint.

Dall’altro canto, i deputati del parlamento di Tobruk, legati al generale, e il loro presidente Aguila Saleh addossano la responsabilità proprio al ministro della difesa di Tripoli.

Non riesce ad abbassare i toni Martin Klober, l’inviato speciale delle Nazioni Unite, che condanna l’attacco alla base aerea e invita le parti a cercare soluzioni politiche pacifiche.

Tre giorni dopo, il ministro dell’interno italiano Minniti riceve i suoi omologhi di Libia, Ciad e Niger, Paesi questi ultimi due che confinano con il Sud della Libia e rappresentano due dei principali punti di transito per le carovane di migranti che dall’Africa sub-sahariana cercano di raggiungere il Mediterraneo.

Si tratta di un progetto più complicato del previsto non avendo avuto alcun esito, come già verificatosi in occasione del recente incontro al Viminale fra i sindaci del Fezzan, regione meridionale della Libia praticamente senza controllo, e per il successivo Vertice con i capi delle principali tribù della regione, che avrebbe dovuto portare a un coinvolgimento nelle operazioni di contrasto all’immigrazione. Insieme all’Algeria, Ciad e Niger coprono l’intero confine Sud della Libia d 5.000 chilometri attraverso i quali oltre ai migranti passa ogni genere di contrabbando.

Ma sigillare quella frontiera attraversata dal 90% dei migranti che arrivano in Italia significherebbe sbarrare la strada a decine di migliaia di uomini, donne e bambini rendendone ancora più drammatiche le condizioni di vita poiché non avrebbero altra scelta se non quella di ammassarsi lungo il confine o tentare rotte ancora più difficili pur di raggiungere l’Europa.

Peraltro, neppure il Vertice riunito il 23 maggio a Bruxelles dal c.d. “Quartetto”, formato da ONU, UE, Lega Araba e Unione Africana, ha registrato risultati efficaci.

L’ultimo numero del settimanale britannico The Economist, all’indomani dell’attentato di Manchester e dell’arresto proprio a Tripoli del fratello minore e del padre dell’attentatore suicida, Salman Abedi, aderito a Daesh, scrive che la Libia “continua a essere nel caos”.

E spiega che infuriano ancora le milizie jihadiste di Daesh, che, cacciato da Sirte, può contare ancora di oltre 500 combattenti che si starebbero riorganizzando “nelle valli desertiche e tra le colline rocciose a Est della capitale Tripoli”, mentre ogni tentativo di realizzare un governo di accordo nazionale sponsorizzato dalla comunità internazionale sin dal 2015 deve ormai considerarsi fallito.”

E’ proprio così?

In effetti, la realtà sul terreno sembra confermare quanto scrive il settimanale britannico.

Appena due giorni addietro, proprio nel quartiere di Abu Selim a Tripoli, confinante con quelle colline rocciose e valli desertiche, sanguinosi scontri causano oltre 50 morti, fra i quali civili.

Nel quartiere sparano carri armati e fucili mitragliatori nell’assedio del carcere di massima sicurezza nel quale erano rinchiusi il terzo figlio di Gheddafi, Saadi, e con lui l’ex capo dei servizi segreti del colonnello, Abdallah Senoussi, noto per la sua ferocia.

I due prigionieri comunque – secondo quanto dichiarato dal ministro della difesa del governo Serraj – sarebbero stati alla fine tradotti in “un luogo sicuro”, mentre nella guerra per le strade, inclusa l’autostrada in direzione dell’aeroporto, il bilancio di due giorni di combattimento è di 52 morti, in gran parte della brigata fedele al governo Serraj che è di stanza proprio nel quartiere di Abu Selim.

L’assalto sarebbe stato gestito dall’ex premier Khalifa Ghwell, spodestato da Serraj e non nuovo a colpi di mano militari – l’ultimo nell’ottobre scorso – e scontri con le milizie fedeli al nuovo governo per mostrare chi ancora conta nella capitale.

Dei Gheddafi, dopo un lungo silenzio, si è tornato a parlare giorni addietro, quando sul Times di Londra è apparsa un’intervista scritta al Cairo da Ahmed Gheddafi al Dam, cugino del colonnello, che ha avuto molta eco in Libia.

Gheddafi al Dam sostiene – anche se la stessa sera fa una parziale smentita – che la vedova del colonnello e alcuni dei figli che vivono con lei in Oman, quindi anche l’unica figlia Aysha, ormai appoggiano il generale ribelle Khalifa Haftar che, sostenuto da Egitto e Russia, si è contrapposto a Serraj proponendosi come nuovo forte del Paese.

Haftar è uno dei militari che contribuì alla salita al potere del colonnello Gheddafi nel 1969 ed è stato il suo braccio destro fino alla cattura durante la guerra in Ciad. E’ liberato dagli americani e si trasferisce negli USA fino alla rivolta del 2011.

Adesso il generale della Cirenaica è ancora alle prese con città ribelle di Derna, dove non riesce da mesi ad avere ragione dei miliziani legati ad Al Qaeda.

Il 19 maggio, nel primo giorno di Ramadan, l’Egitto bombarda Derna dove, secondo quanto avrebbe spiegato al telefono il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shukri, al segretario di Stato USA, Rex Tillerdson, si nasconderebbero gli autori della strage di cristiani copti – 35 i morti – nel Sud dell’Egitto il giorno prima.

Le coraggiose iniziative dell’Italia per riportare la Libia alla pace non hanno ancora efficacia per i tanti attori presenti – ufficialmente e no – nel Paese e interessati alla sua parcellizzazione per divedersene le risorse energetiche.

Situazione speculare a quelle in atto in Iraq e Siria.   

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La presenza di Roma in Libia, Leptis Magna. (photo©firuzeh)

La presenza di Roma in Libia, Leptis Magna. (photo©firuzeh)

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